Anche i giardini seguono la moda, dal Liberty in poi, lo sospettavate? Senza addentrarci nei secoli passati, quando eravamo noi Italiani a dettare – in parte – legge con i famosi "giardini all'Italiana", basti guardare ciò che è accaduto negli ultimi 50 anni.
I giardini anni 70 e inizio 80 si riconoscono subito perché sono "infestati" dai cedri – Cedrus atlanticus e C. libani, per ragioni d'ingombro – che oggi, trascorsi appunto 40-50 anni, sono giganti ingovernabili, da potare almeno ogni 3 anni perché debordano nelle proprietà vicine e in strada, oltre a ombreggiare e nascondere l'edificio e a rischiare di cadere con le trombe d'aria sempre più frequenti. In alternativa, ci sono i pini mediterranei, come Pinus pinaster, P. pinea, P. halepensis, anche nel Nord Italia. Il tutto cintato da una siepe di ligustro o di agazzino.
Quelli dalla metà degli anni 80 e fino al 2000, accuratamente bordati dall'immancabile lauroceraso, vedono svettare – oltre agli abeti recuperati dal Natale e orrendamente mutilati a ripetizione per l'invadenza – i salici piangenti, gli aceri negundo, i Prunus da fiore (P. pissardii, P. 'Kanzan'), la robinia rosa (Robinia 'Casque Rouge') e gli alberi di Giuda, tutti di taglia inferiore ai cedri ma campioni di defogliazione in autunno.
Nel Terzo millennio il protagonista è l'olivo, meglio se monumentale – non importa se deve vivere sulle Alpi... – insieme con altre piante alimentari come il ciliegio, il melograno e il fico, e alberelli da fiore come le magnolie giapponesi (M. stellata su tutte), i meli ornamentali e l'ippocastano rosa (Aesculus carnea), che espongono il giardino a un ampio soleggiamento (e accaloramento). Questi giardini vivono circondati da siepi di onnipresente fotinia 'Red Robin' o di ispide tuie.
I GIARDINI LIBERTY DI INIZIO NOVECENTO
Un secolo fa circa, il progetto del giardino (dei ricchi, gli unici che se lo potevano permettere) era radicalmente diverso.
Sull'onda della Belle Époque e dell'Art Nouveau (meglio conosciuta come stile Liberty o floreale), che influenzavano l'architettura degli edifici, anche i giardini si adeguarono di conseguenza, cercando di stimolare i sensi, dalla vista all'olfatto, secondo caratterizzazioni vegetali visibili ancora oggi, almeno per la parte arborea e in una certa misura arbustiva. Alberi e arbusti venivano poi integrati con piante erbacee fiorite dalle fortissime connotazioni artistiche, per il fogliame, per i fiori o per la struttura di entrambi.
Erano i cosiddetti "giardini Liberty", la cui ossatura rimane ancora oggi, nel cuore di certi palazzi monumentali dei centri storici, o in alcuni giardinetti che circondano le villette d'epoca nei quartieri urbani sorti all'inizio del Novecento.
Erano abitati da specie in buon numero diverse da quelle alle quali siamo abituati attualmente: in parte – ma non tutte – esotiche per il tempo, venivano usate proprio come facciamo noi oggi, come simbolo di ricchezza e di potere (pensate al costo di un olivo monumentale oggi...).
Ma proprio perché il verde non era alla portata di tutti, la cultura e la cura giardinieristica erano maggiori e affidate sempre a personale specializzato: giardinieri veri, che avevano seguito una scuola o un capo-giardiniere esperto, prima di osare tagliare anche un solo filo d'erba (a differenza di oggi, quando anche un ex muratore o ex cuoco o ex ragioniere si può spacciare per giardiniere...).
Ne risultavano giardini assai gradevoli, molto equilibrati negli spazi e soprattutto ricchi di forme e di colori ma senza apparire pacchiani o sovrabbondanti, estremamente fruibili e rasserenanti.
Quel che ne resta oggi non rende loro giustizia: anche chi li ha curati per un secolo rispettandone la costruzione originaria e il progetto iniziale, si deve arrendere di fronte alla lenta ma inesorabile crescita di alberi e arbusti, che oggi li fanno apparire quasi sempre ombrosi, chiusi, perfino cupi.
Ma buona parte di quelle specie, ancora reperibili nei vivai italiani con un po' di pazienza, meriterebbe un recupero nei giardini moderni, non foss'altro per "andare controcorrente", senza seguire obbligatoriamente la moda vegetale di questo inizio millennio.
Con l'unico accorgimento di non sovraffollare il giardino: quasi tutti gli alberi sono "di prima grandezza" ossia superano i 20 m d'altezza da adulti, e nel giardinetto di una villetta a schiera non possono proprio starci...
SEMPREVERDI DI GRANDE IMPATTO
Il manto arboreo perenne, ossatura del giardino, era affidato durante il Liberty, oltre che alle imponenti araucarie (vedi in fondo), al maestoso cedro dell'Himalaya, al lentissimo tasso, al mediterraneo leccio, alla svettante magnolia estiva, al simpatico nespolo del Giappone e all'insospettabile fotinia.
Supera i 30 m d'altezza e altrettanti di diametro il cedro dell'Himalaya (Cedrus deodara), che infatti oggi è molto raro anche nei vivai, perché la richiesta è drasticamente calata: chi può permettersi simili spazi, oltretutto nudi al di sotto della chioma? Eppure nei parchi dei nobili a inizio Novecento questo "bestione" era spesso presente, in quanto componente della parte "romantica" del giardino: i suoi rami con la crescita si abbassano fino a toccare terra e, permanendo anche quelli più bassi, crea ambienti riparati ove rifugiarsi, per esempio per un incontro amoroso proibito... Non per niente attorno al tronco veniva collocata almeno una panca in pietra... L'andamento regolare e dolcemente declive dei suoi rami fogliosi rispettava i canoni Liberty, così come le sue curiose pigne: assomigliano a grosse uova d'anatra, perfettamente ovoidali, di colore bianco-grigiastro con cui spiccano appoggiate sulle fronde morbide verde cupo, quasi fossero appunto uova adagiate nel muschio...
Il buio tasso (Taxus baccata) faceva anch'esso parte del "giardino romantico", per la cupezza delle sue fronde aghiformi verde scurissimo, e per l'aura di morte che lo circonda: tutta la pianta infatti è velenosa, a eccezione della polpa rossa ("arillo") che circonda il seme. L'estenuante lentezza di crescita non costituiva evidentemente un problema, visto che veniva piantato in abbondanza sia come esemplare singolo allevato ad alto fusto – provvisto di sufficiente spazio, visto che da anziano raggiunge i 20 m d'altezza e quasi altrettanti di diametro – sia come cespuglio, a costituire altri angoli per la "camporella". Oggi si adatta a chi ha pazienza e spazio, e non ha bambini né quattrozampe.
Il leccio (Quercus ilex) e la magnolia estiva (Magnolia grandiflora) sono tuttora presenti nel catalogo del verde italico, anche se spesso considerati e utilizzati a sproposito, oggi. Ho visto lecci costretti in vasche di 100 x 100 x 80 h cm: morti in meno di un anno. Ho visto magnolie di taglia normale piantate a 2 m di distanza dall'edificio: orribilmente potate sul lato rivolto alla muratura per riuscire ad aprire le finestre. Ho visto magnolie 'Little Gem' (compatte, di taglia nana) accusate di non crescere e di non fiorire...
Il leccio è una quercia, e come tutte le querce ha un apparato radicale imponente e profondo: non può certo vivere in un vascone. Ambedue le specie hanno crescita lenta: si piantano per i propri figli, saranno loro a godersi l'imponenza del primo e la fioritura spettacolare della seconda. Ma la lentezza non deve ingannare: il primo da adulto tocca i 20 m d'altezza e altrettanti di diametro, la seconda rispettivamente 20 e 8-10 m; entrambe necessitano di spazio e non devono venire snaturate con una potatura drastica e squilibrata. Nei giardini Liberty costituivano un punto focale: al centro di un'aiuola centrale o sulla sommità di una collinetta, sempre lontani da manufatti!
L'allegro nespolo giapponese (Eriobotrya japonica), dalle dimensioni contenute (max 7 m d'altezza), era apprezzato per le grandi foglie sempreverdi corrugate nelle nervature evidenti, per la fioritura mielata in ottobre-novembre, e per i deliziosi frutti in maggio (che allora venivano anche raccolti e mangiati, a differenza di oggi). Ha riscosso simpatie fino agli anni 70, dopodiché è stato trascurato nelle preferenze: peccato, perché è perfetto nei piccoli giardini, dove si vuole l'ombra ma anche il colore...
Infine, fra gli alberi sempreverdi, c'era la fotinia! Non l'ibrido Photinia x fraseri che impera oggi, bensì P. serratifolia (= P. serrulata), che si differenzia dall'ibrido proprio per la capacità di divenire un piccolo albero, alto fino a 6-7 m, poco ingombrante, dalla chioma leggera color verde chiaro situata nella parte apicale della pianta. Perché piaceva tanto? Perché in aprile diventava una nuvola eterea bianco-giallastra e profumatissima, grazie alla copiosa fioritura percepibile a decine di metri di distanza. La mettevano a poca distanza dal portico di casa o dal chiosco o dal berceaux, in modo da potersi sedere ad ammirarla immergendosi nella scia profumata.
CADUCIFOGLI GRANDI...
In altre zone del giardino Liberty, laddove necessitava la luce durante l'inverno, trovavano spazio alcuni alberi caducifogli di grandi dimensioni, come lo spettacolare spino di Giuda o acacia spinosa, la maestosa sofora e il grandioso tiglio.
Diventa un albero alto fino a 30 m lo spino di Giuda (Gleditschia triacanthos), parente spinosissimo della robinia, caratterizzato da una chioma leggera costituita da minuscole foglioline che, appena emesse, hanno un color giallo oro, per poi divenire verde chiaro, depositate su rami sottili e aggraziati anche su piante gigantesche. Non fa troppa ombra, grazie al fogliame rado, che si muove delicato a ogni alito di vento. In autunno lascia cadere le lunghe e secche silique scure e piatte, contenenti numerosi semi tintinnanti e tutti della stessa dimensione (come nel carrubo).
Della sofora oggi è di moda la varietà 'Pendula', che rimane di dimensioni contenute, anziché raggiungere i 20 m di altezza e poco meno di diametro come la specie, Sophora japonica, e i cui rami si ripiegano a L verso il basso. Anch'essa una Leguminosa, ha crescita lenta e portamento sempre aggraziato e simmetrico, caratteristica apprezzata a inizio Novecento. Così come molto gradita era la fioritura, di curiose corolle papilionacee gialle da cui si spande un fragrante profumo. Porta foglie composte da foglioline simili a quelle della robinia, e in autunno lascia cadere i numerosissimi frutti, baccelli scuri sagomati in lobi intorno ai grossi semi piatti.
Infine c'era il tiglio (Tilia sp.), ancora oggi richiesto nei giardini moderni, senza pensare che cresce molto in fretta, fino a 25 m d'altezza; produce una chioma fitta e ombrosa; emette di continuo polloni basali che vanno levati con regolarità; dopo la fioritura riempie il giardino dei petali sfioriti, e in autunno di semi alati e di foglie gialle. Nel giardino Liberty si usava lungo il viale d'ingresso a delimitarlo ai due lati, per accogliere con il soave profumo chi entrava in maggio-giugno.
Oltre che ingombranti, tutti e tre gli alberi sono "sporchi" quando rilasciano a fine stagione le loro parti mobili, minutissime come le foglioline della gleditsia, i frutti della sofora e i petali del tiglio, capaci d'infilarsi ovunque e di ridursi a un pastone se piove... La collocazione ideale è in mezzo al prato, dove i residui caduti non nocciono, e in posizione centrale al giardino.
... E PICCOLI
Dei cinque alberelli in voga a inizio secolo scorso durante il Liberty, tre – albero di Giuda, albizzia e paulonia – sono ancora reperibili e più o meno utilizzati nei giardini, mentre due sono pressoché scomparsi dai vivai moderni. Si tratta del gelso da carta e dell'arancio degli Osagi.
Il primo, Broussonetia (= Morus) papyrifera, è un parente dei gelsi originario della Cina, introdotto in Europa per ricavare carta dalla corteccia. Abbandonato il progetto industriale, l'alberello (alto fino a 10 m) entrò nei giardini dell'epoca in virtù delle foglie morbide e vellutate caratterizzate da eteromorfismo, cioè da forma diversa lungo i rami: a cuore intero, con un lobo, due, tre e fino a cinque, ad apparire quasi laciniate. Il portamento scomposto e disordinato dei rami lo confinò nelle zone estreme dei giardini, lungo la recinzione, dove si apprezzavano le foglie che sporgevano, ma senza recepire il disordine dell'alberello. È l'unica specie che oggi non varrebbe la pena di cercare e coltivare, perché è proprio bruttina... Ma è utilissima per consolidare pendii e scarpate grazie alle radici penetranti e alla crescita rapidissima...
Lo statunitense arancio degli Osagi (Maclura pomifera) è un alberello di 7-8 m d'altezza che vanta un unico pregio, allora come oggi: i frutti veramente insoliti. Delle dimensioni di un'arancia, color verde mela, con una buccia rugosa e rilevata, duri e durevoli, non sono commestibili, ma suscitano curiosità appesi ai rami e si possono utilizzare per composizioni fresche o secche in casa. Il fogliame – a forma di picca – è gradevole e non eccessivamente ombreggiante ma, alla caduta, è difficoltoso da raccogliere (come quello dell'acero negundo); i fiori, in giugno, hanno forma di pompon bianco-verdastri, poco appariscenti e inodori.
Le altre tre specie venivano apprezzate per le vistosissime fioriture e il portamento aggraziato dell'albero (altezza massima per tutti e tre 6 m) e del fogliame. L'albero di Giuda (Cercis siliquastrum) si ammanta di rosa carico sui rami nudi e scuri in aprile; vive una seconda stagione di gloria in maggio quando emette le foglie, inizialmente rossastre e poi verde tenero e verde carico, di forma rotonda; e una terza quando in luglio-agosto maturano i baccelli penduli che inizialmente sono color carminio.
L'albizzia o gaggia (Albizzia julibrissin) dalla chioma leggerissima, fatta di foglioline minute, espansa in larghezza, esplode in giugno, quando all'apice dei rami si formano i morbidi piumini dati dai vistosissimi stami gialli e rosa, somiglianti ai ciuffi occipitali delle africane gru coronate.
Infine la paulonia (Paulownia tomentosa) si faceva – e si fa – apprezzare per l'eccezionale fioritura color ametista, in aprile sui rami spogli, molto elegante nelle infiorescenze grandi e piramidali, a cui segue l'emissione delle grandi foglie soffici e vellutate.
Sono tre alberi ancora molto moderni, apprezzabili per l'ingombro contenuto, adatto anche a piccoli giardini, e per le spettacolari fioriture, nonché per l'ombra più o meno leggera che regalano in estate. L'albero di Giuda sporca alla caduta dei petali, mentre l'albizzia lo fa quando in autunno si libera delle foglie.
I SEMPREVERDI DA SIEPE LIBERTY
A inizio Novecento durante il Liberty le siepi di recinzione erano molto rare: i giardini erano per lo più all'interno dei palazzi nobiliari, quindi "recintati" dalle mura stesse dell'edificio. Solo quelli dei villini abbisognavano di una delimitazione fisica, non solo con la recinzione in ferro battuto (forgiato in stile floreale), ma anche vegetale. La specie elettiva era il pittosporo (Pittosporum tobira), un robusto sempreverde tuttora in commercio ma poco richiesto. Ed è un peccato, perché ci si perde la speciale fioritura, in maggio, costituita da infiorescenze di corolle piccole, compatte, quasi cerose, candide all'inizio e crema alla fine, ma soprattutto profumatissime, di una fragranza che non stanca né stona, a differenza degli attuali laurocerasi. Oggi il pittosporo resta in auge nelle zone marittime, specialmente nel verde pubblico, allevato ad alberetto da plasmare con una potatura topiaria, ma meriterebbe di essere riscoperto come specie da siepe. Attenzione alla densità, che all'impianto deve prevedere una distanza di 80 cm tra un esemplare e l'altro, e successivamente, alla maturità, va regolata con la potatura, che sopporta benissimo. Le piante troppo fitte si riempiono di cocciniglie...
Anche l'edera (vedi oltre) riscuoteva grande favore come elemento di recinzione, così come l'oleandro (Nerium oleander), ampiamente impiegato nelle siepi da Firenze in giù. Questo elastico arbusto mediterraneo veniva tuttavia utilizzato anche come piccolo albero sempreverde, soprattutto nei giardini di ridotta estensione attorno ai villini: allevarlo ad alberetto è semplicissimo, basta eliminare – strappandoli con le dita – man mano che spuntano tutti (ma proprio tutti) i polloni dalla base e lungo il fusto che è destinato a divenire il tronco dell'albero.
Infine c'era il bosso (Buxus sempervirens), che era utilizzato per siepette basse di delimitazione delle aiuole, come retaggio del giardino all'Italiana, più raramente – lasciato crescere fino a 2 m – per creare un labirinto (frequente nell'Ottocento), oppure come esemplare singolo allevato ad alberetto e poi potato in forma topiaria. Oggi è raro vederlo nei giardini, perché è lento a crescere e viene associato ai cimiteri, ma c'è chi trova comunque piacevolissima la fragranza che sprigiona al sole ogniqualvolta viene sfiorato.
I CESPUGLI DELLA BELLE ÉPOQUE
Le camelie, le ortensie e i rododendri a inizio 900 erano ancora uniformemente presenti in tutti i giardini, sull'onda del successo che avevano avuto a partire dalla fine dell'800: se noi tendiamo a coltivarle in macchie, addensando più esemplari da allevare a cespuglio, i nostri avi preferivano la soluzione isolata e ad alberello. Oggi non è raro vedere, nei giardini d'epoca ben conservati, camelie (Camellia japonica) di 3 m d'altezza che ogni fine inverno regalano uno spettacolo impagabile...
Ma l'arbusto grande protagonista del periodo Liberty è senza dubbio il balcanico lillà (Syringa vulgaris), del quale un secolo fa esistevano alcune centinaia (!) di varietà. Rispondeva perfettamente all'estetica dell'epoca: forma aggraziata del cespuglio (ma più spesso veniva allevato ad alberetto), gentili foglie cuoriformi, pannocchie regolari di fiori simmetrici lilla (ma anche rosa, blu, bianchi), e un profumo soave e intenso. Sono tutte virtù da spendere anche nel Terzo millennio, unitamente alla rusticità (resiste fino a –25 e a +50 °C), all'ingombro modesto (2 h x 1 m), alla bassissima manutenzione (basta tagliare le infiorescenze sfiorite prima che vadano a seme), all'eccezionale resistenza a malattie e parassiti.
Il lillà divideva la scena con un solo rivale, l'asiatica kerria (Kerria japonica) o corcoro o rosa del Giappone, una Rosacea ugualmente rustica e inattaccabile dalle avversità, caratterizzata da una profusione di fiori a rosellina – semplice o doppia – color giallo frittata. Rispetto al rivale, offre in più una seconda fioritura sparpagliata fra luglio e agosto, e la possibilità di venire utilizzata come pianta da siepe, grazie all'emissione continua di nuovi getti a fianco al cespo madre, a formare una frangitura vegetale di tutto rispetto. Oggi si utilizza – sbagliando – come esemplare isolato, con il risultato di una perenne lotta a estirpare i polloni... Molto meglio darle la possibilità di "correre" attorno a una superficie: recinzione, capanno, fianco dell'edificio, torrente...
RAMPICANTI LIBERTY DA USARE DIVERSAMENTE
Edera e glicine sono piante rampicanti lianose che non hanno bisogno di presentazioni, diffuse come sono anche nei giardini contemporanei. Ciò che cambiava, in quelli Liberty, era l'uso che se ne faceva.
L'edera (Hedera helix), nelle sue molteplici varietà a foglia variegata di crema o di ghiaccio, veniva apprezzata per la geometria regolare e gradevole delle foglie e delle loro colorazioni. La si lasciava arrampicare liberamente sugli alberi di un eventuale boschetto, naturale o creato con cipressi e allori (vedi in fondo), nel nome della spontaneità della natura. Oppure, la si faceva salire e poi ricadere sui manufatti: il muro o la cancellata di recinzione, ma anche la casa del giardiniere e il suo capanno per gli attrezzi, i muretti a lato delle scalinate, le fontanelle e perfino le statue di putti, angioletti, animali mitologici, divinità greche o romane disseminate negli angoli focali del giardino.
Oggi, se il primo tipo d'impiego è generalmente inviso – anche nell'erronea convinzione che l'edera strangoli invariabilmente gli alberi, il che accade ma non così di frequente come si pensa –, il secondo può tornare utilissimo. Controllando lo sviluppo della pianta e indirizzandone i tralci, è possibile ricoprire eventuali manufatti sgradevoli alla vista: dal cassonetto con il contatore del gas o dell'elettricità al capanno degli attrezzi, dalla rete di recinzione in metallo arrugginito al muro sbrecciato, dal separé che maschera la compostiera a quello che occulta i bidoni per la raccolta differenziata... Attenzione però al calore e all'esposizione: l'edera preferisce l'ombra e, in pieno sole, possono resistere solo varietà a foglia variegata di chiaro, come la 'Gloire de Marengo'.
Anche il glicine (Wisteria sinensis, W. floribunda) si utilizzava per coperture: la più comune era quella del chiosco (oggi chiamato "gazebo") o del berceau (oggi detto "pergola"), sotto i quali sostare o passeggiare ricavando – durante la fioritura – tutto il piacere scatenato dal dolcissimo profumo. Oppure si faceva arrampicare sulla facciata dell'abitazione, attorno all'ingresso, o sulla casetta che ufficialmente era il ricovero degli attrezzi e ufficiosamente diventava alcova amorosa... In ogni caso la pianta era libera di espandersi a piacimento e l'unica cura (a parte la necessaria potatura estiva e invernale) consisteva nel l'indirizzare i tralci sui supporti (sulle facciate erano numerosi fili metallici robusti fissati alla muratura).
TUTTI I FIORI DELLO STILE FLOREALE LIBERTY
- Anche i fiori dell'epoca Liberty sono fortemente caratterizzati per le forme e/o i profumi, a cominciare dal simbolo del periodo: l'acanto.
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Acanthus mollis è un'erbacea perenne scenografica in ogni stagione (inverno escluso, perché al freddo il fogliame scompare): quando nascono, le foglie rattrappite sono verde chiarissimo, per poi spiegarsi in tutta la loro architettura decorata e spinulosa e divenire scure. In giugno, dal centro del rosone basale spunta l'eclatante spiga, alta fino a 1,5 m, di grandi fiori bianchi e violetti. Ha bisogno di spazio (almeno 2 m di diametro) e tende a moltiplicarsi: è perfetto come bordura, o a cornice del giardino roccioso o ai piedi di una collinetta a mezz'ombra.
- Piaceva invece per l'aspetto compatto l'iberide (Iberis sempervirens), un piccolo arbusto che forma un cespuglietto sempreverde di foglie spatolate scure, fra le quali in marzo appaiono le infiorescenze regolari e candide, fittissime. È l'ideale nei giardini rocciosi e alla sommità dei muretti come piccola bordura.
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Per le foglie grassocce e arrotondate, persistenti, e per le pannocchie di fiori rosa carico in marzo piaceva invece la bergenia (Bergenia cordata), da riscoprire oggi come bordura bassa delle aiuole.
- Fra le erbacee di taglia alta, avevano grande successo, per la vistosità e la forma scolpita dei fiori, i lupini, i delfinium e le digitali, tuttora facili da reperire e utilizzabili per quinte o bordure alte; e poi la belladonna e l'aconito che, data la tossicità acuta (rispetto a quella lenta di delfinium e digitali), sarebbe meglio non ospitare nel proprio giardino, a meno di non essere certi che mai vi entreranno bambini o quattrozampe...
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Decisamente più tranquille, per innocuità e dimensioni, ma ugualmente stimolanti per le corolle, sono il cuor di Maria (Dicentra spectabilis) dai fiori a forma di cuore bianco e rosa, e le aquilegie (Aquilegia sp.) dalle elaborate corolle a canne e speroni multicolori, entrambe usate in macchie nelle piccole aiuole. E poi i roboanti gigli (Lilium sp.) per giunta profumatissimi e adatti come reciso, ma anche ai parterre vicino a portici e chioschi. E le eleganti iris (Iris sp.) e le gentili fresie, entrambe riconoscibili a distanza per la fragranza: si utilizzavano per bordure, assolate e povere per le prime, umide e ricche per le seconde, spesso affiancate dai tulipani olandesi.
- I garofanini (Dianthus) venivano sparsi a profusione nei prati più selvatici, al margine del bosco e attorno alle chiome degli alberi sempreverdi, proprio come l'acetosella (Oxalis acetosella), che bordava anche le aiuole delimitate da pietre.
- Infine c'erano le Hosta, amate per le grandi foglie cuoriformi, regolari anche nel disegno parallelo delle nervature: le distribuivano in gran numero nelle zone ombrose sotto i grandi alberi come tappezzanti.
ARAUCARIE, LE REGINE DEL LIBERTY
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Simbolo a pieno titolo dell'epoca Liberty, l'Araucaria araucana, proveniente dal Cile, colpì – e colpisce tuttora – per l'incredibile struttura dell'albero. Rami sinuosi che sembrano scovolini verdi, coperti di foglie squamiformi, ad assumere forme scultoree ed essenziali che, da sole, riempiono il giardino.
- E se una non bastava, ce n'era una seconda: Araucaria excelsa (= A. heterophylla, pino di Norfolk), di origine australiana, è munita di rami a forma di spazzola con le "setole" (che sono le foglie rigide) rivolte verso l'alto, in una geometria perfettamente conica.
- Questi alberi giganti (fino a 30 m d'altezza e più di 20 di diametro) sono più frequenti dalle coste tirreniche della Liguria in giù.
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Oltre che di spazio, hanno bisogno all'impianto di un terriccio leggermente acido, e di annaffiature di soccorso nel primo anno.
- Non sono facilissime da trovare in vivaio perché il genere Araucaria è inserito nell'elenco Cites di protezione di piante e animali fortemente minacciati d'estinzione nei rispettivi Paesi d'origine. In Italia viene coltivata attraverso la riproduzione per talea, con una serie di adempimenti burocratico-amministrativi a carico dei vivaisti, i quali non sempre hanno voglia di proseguire la coltivazione delle araucarie.
ESOTISMI NEL NORD ITALIA
- Palme e banani in un giardino del Settentrione dimostravano immediatamente la cultura – più che il denaro – dei proprietari, esperti giardinieri e viaggiatori...
- Tra le palme, al freddo resiste solo Trachycarpus fortunei, collocata in pieno sole e vicino alla muratura dell'edificio (bastano 3 m di distanza), con una copertura apicale solo nei primi anni di vita e solo negli inverni più gelidi. Ancora oggi sono numerose le palme d'epoca nei giardini Liberty superstiti della Pianura Padana.
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Anche il banano (Musa ensete) vive bene in Val Padana, se coperto d'inverno con stuoie o teli di non tessuto. Con le estati sempre più calde, alcuni riescono perfino a fruttificare, sebbene le bananine (insipide) non arrivino a maturare. Il suo fascino esotico è indubbio, supportato dalle larghe foglie che evocano i Tropici. È comunque una pianta erbacea che periodicamente si rinnova con giovani "fusti" in sostituzione di quelli vecchi.
ALLORO E CIPRESSO, ALBERI DA RISCOPRIRE
- Oggi alleviamo l'alloro (Laurus nobilis) per lo più a cespuglio, e solo a volte in siepe. A inizio 900 durante il Liberty invece prevaleva la forma ad alberello, alto fino a 8 m e largo fino a 2. Spesso si piantavano fitti boschetti, che divenivano ombrosi e odorosi: quelli che rimangono oggi sono sempre preda di orde di cocciniglie a scudetto, e quindi di fumaggini. Va collocato in pieno sole, e con un pochino di spazio intorno: si esprimerà al meglio, senza infestazioni di sorta.
- Il cipresso (Cupressus sempervirens) attualmente evoca il cimitero o i paesaggi collinari toscani (e marchigiani). Nell'Ottocento (e anche prima) veniva utilizzato come alberatura ai lati del viale d'ingresso, ma a inizio 900 si prestò come albero da siepe di recinzione o di separazione delle "stanze" del giardino, e anche come singolo esemplare isolato al culmine di una collinetta, con una panca in pietra per riposare e ammirare il paesaggio. Due impieghi ancora oggi interessanti, soprattutto per lo spazio ridotto che l'albero occupa: al massimo 2 m di diametro della chioma.
CALICANTO, D'INVERNO E D'ESTATE
- Nei giardini d'epoca Liberty resiste ancora il Calicanto per eccellenza, quello d'inverno (Chimonanthus praecox), apprezzato allora come oggi per la fioritura invernale, esangue e quasi trasparente, ma individuabilissima grazie al delizioso profumo che si spande a decine di metri di distanza. Va collocato in pieno sole, ben visibile d'inverno ma seminascosto in estate, quando non offre motivi d'interesse.
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Ma un secolo fa era ben presente anche il calicanto d'estate (Calycanthus floridus), che oggi abbiamo dimenticato: largo circa 2 m e poco più basso, ricco di foglie grandi, ovate, scure e fragranti, tra giugno e agosto si copre di fiori in gruppi di tre, color porpora, dai molti petali lunghi, leggermente profumati. Merita una posizione focale al centro di un'aiuola riparata, al sole.