Dall’estate 2003, mitico paradigma di calore continuo e insostenibile, in poi, per una serie di motivi più o meno accertati – in cui comunque è forte la responsabilità dell’uomo e della società che ha costruito negli ultimi 40 anni – i mesi tra maggio e settembre sono sempre più caldi, non solo di giorno, ma anche e soprattutto di notte, dando poco modo agli esseri viventi di riprendersi almeno per qualche ora al giorno.
Quello che fino a 40 anni fa era il clima mediterraneo, tipico del Sud Italia, si è oggi esteso anche nel Nord del Paese e perfino sulle Alpi (30 °C a 1.000 m d’altezza alle 20 del 3 agosto 2013…). Tanto dolce in inverno e gradevolmente piovoso nelle stagioni di passaggio, quanto micidiale fra maggio e settembre, il clima mediterraneo non perdona, lasciandosi andare a un’estrema avarizia di precipitazioni, per lo più concentrate sui versanti occidentali e in montagna nelle aree interne, per un totale massimo di qualche decina di millimetri d’acqua mensili (salvo i nubifragi degli ultimi anni, che rovesciano anche 80-100 mm d’acqua nell’arco di 1-2 ore).
Va da sé che l’abbinamento della siccità intensa e prolungata con massime termiche che partono da 30-35 °C per toccare quota 42 e anche 45 °C non è proprio dei più vivibili. Senza contare che, di notte, solo nelle zone almeno collinari la temperatura scende fino ai 25-27 °C, mentre in pianura sovente rimane attorno ai 30-32 °C.
Senza contare l’umidità, la vera responsabile dell’insofferenza estiva: soprattutto nelle zone interne di pianura tocca spesso il 50%, rendendo l’aria stagnante, incrementando in noi uomini la sudorazione (va peggio agli animali domestici, che non possono sudare…) e provocando la fastidiosissima sensazione di “appiccicaticcio” che ci portiamo addosso per l’intera giornata (non potendo buttarsi sotto la doccia…).
Dato per scontato che, se non tutte le estati, questo “incubo climatico” ci aspetta comunque al varco ogni anno nei mesi estivi, vediamo nel dettaglio cosa fare con il nostro verde.
Piante mediterranee: le effimere…
Anche avendo una disponibilità illimitata di acqua per l’irrigazione – e non considerando un tantino eticamente scorretto utilizzarla in abbondanza –, molte specie che richiedono un terriccio o un ambiente sempre umido non riusciranno comunque a sopravvivere a un’estate africana (vedi in fondo), nemmeno bagnandole più volte al giorno tutti i giorni.
Allora, laddove le ultime estati sono state invivibili, conviene puntare sulle specie già adattate a tanto calore e poca acqua, come le piante mediterranee, originarie di zone da sempre alle prese con caldo e siccità, oppure su quelle australiane (vedi in fondo), anch’esse provenienti da zone desertiche.
Le strategie di adattamento sono numerose, a volte incrociate fra di loro, talmente ben “studiate” da Madre Natura da garantire la sopravvivenza anche in situazioni limite. Per cominciare, c’è chi vive e fiorisce in contro stagione, per poi seccarsi o entrare in dormienza da maggio in poi. Praticamente offre uno spettacolo effimero, che dura per circa due mesi l’anno, quelli più favorevoli grazie al clima ancora dolce.
Quelle che si seccano sono le annuali (“terofite”), in fiore a marzo oppure a ottobre e per un paio di mesi: dalle centauree ai fiordalisi, dalle nigelle ai papaveri e all’anagallide, dai cardi alla borragine, a fine maggio o dicembre liberano i semi a cui affidano la sopravvivenza per l’annata successiva. Da tenere presente per il giardino, dove regalano il primo tocco di colore dell’anno, ma assolutamente inutili durante l’estate, visto che scompaiono.
Ugualmente dedicati alle stagioni di passaggio sono gli alberi e arbusti che vanno invece a riposo: anch’essi espletano la fioritura in primavera o in autunno, e in estate, se il caldo si fa insostenibile, si liberano del fogliame ed entrano in dormienza estiva, per riprendere a vivere non appena la temperatura si abbassa o ricomincia qualche timida spruzzata di pioggia: in pratica tutte le funzioni vitali rallentano fino a cessare, per riprendere poi al ripristino di condizioni ambientali favorevoli. È il caso dell’euforbia dendroide e delle ginestre (Genista) villosa, di Lipari e della Corsica. Anche queste piante assicurano lo spettacolo nelle stagioni di passaggio, ma non si può contare su di loro durante l’estate.
… quelle con la crema solare…
Poiché il calore dell’aria va di pari passo con l’insolazione, e poiché negli ultimi tempi l’intensità dei raggi solari è aumentata anche nel Nord Italia e perfino sulle Alpi, non è più solo il Meridione a risentire maggiormente del fenomeno, anche se nel Sud i raggi solari presentano un maggiore angolo d’incidenza sulla superficie terrestre (cioè si avvicinano alla perpendicolarità più che nel Nord Italia), e dunque hanno un potere riscaldante maggiore.
Un’insolazione così forte si accompagna a un massiccio fenomeno d’irraggiamento della luce solare, fondamentale per la vita di tutti gli organismi viventi, e delle piante in particolare, senza la quale luce esse non potrebbero eseguire la fotosintesi clorofilliana, processo essenziale per ricavare l’energia necessaria alla vita.
Tuttavia, quando il soleggiamento è troppo (e nelle estati meridionali lo è ancora di più, soprattutto nelle assolate esposizioni a mezzogiorno), è troppo anche per i vegetali, per quanto eliofili possano essere. Le piante eliofile, infatti, dal greco “amanti del sole”, hanno bisogno di forti quantità di luce solare, della quale ne utilizzano all’incirca il 90% per produrre energia vitale; mentre all’opposto ci sono le piante “sciafile”, cioè “amanti dell’ombra”, alle quali basta un misero 5-10% dell’irradiazione totale. In mezzo fra le due categorie estreme sta la maggior parte dei vegetali, definiti perciò “tendenzialmente sciafili o eliofili”. In linea di massima, le piante giovani sono piuttosto sciafile e quelle adulte tendenzialmente eliofile, ma non è raro che una specie sciafila a Palermo divenga eliofila a Bolzano per sopperire alla minore insolazione della latitudine nordica.
Sotto un sole “esagerato” le piante mediterranee hanno sviluppato durante l’evoluzione un sistema protettivo peculiare, fatto di foglie pelose o lucide – con lo stesso effetto della nostra crema solare –, nate apposta per riflettere i raggi solari, com’è il caso di Eryngium maritimum e papaveri delle sabbie (Glaucium), mollemente sprofondati nella rena, di cocomeri asinini (Ecballium elaterium), Echium, eliotropio (Heliotropium), Phlomis che spuntano a bordo strada, o di Alkanna, Cerinthe, Cineraria (= Senecio) maritima, cisti, Convolvulus cneorum, elicrisi, Paronychia argentea, santolina e violacciocca (Matthiola), abbarbicati sulle bianche rocce costiere ai lembi esterni della macchia mediterranea. A causa di queste “infelici” collocazioni, eccoli uniformemente e copiosamente ricoperti di peluria morta, di colore grigio-biancastro. Ma anche l’umile e comune salvia, pianta mediterranea prima che apprezzato aroma da condimento, sfoggia nella specie selvatica, legata ai chiari suoli calcarei, un candido manto riflettente.
… le piante che “sudano”...
Dato che la temperatura è una diretta conseguenza dell'irraggiamento solare che si trasforma in calore, è evidente che, quanto maggiore è il soleggiamento, tanto più la temperatura sale. La maggior parte delle piante in generale resiste egregiamente fino ai 40 °C, se naturalmente è disponibile nel sottosuolo acqua in proporzione. E le specie termofile (“amanti del caldo”) sono le più fortunate – in questi ultimi anni –, perché sono quelle che raggiungono l’optimum bio-fisico oltre i 25 °C: vivono bene solo in aree a clima mite (generalmente mediterraneo), dove la temperatura non scende (o quasi) sotto zero e non compie escursioni repentine.
Il problema è che quando la colonnina del mercurio sale inesorabilmente, i vegetali tendono a perdere molti liquidi traspirando, che devono però essere compensati da altrettanta acqua assorbita dalle radici. Del resto, anche noi reagiamo alla calura bevendo ed espellendo gocce di sudore che, evaporando, consentono al nostro organismo di abbassare la temperatura.
Il meccanismo è esattamente identico anche per le piante: la traspirazione aumenta proprio per difendere il vegetale dal caldo, eventualmente espellendo vere e proprie goccioline d’acqua mediante peli vivi secernenti, oppure volatilizzando oli essenziali al posto della preziosa acqua; in questo modo la temperatura dell’intera pianta si abbassa di 1-2 gradi, quel tanto che basta per agevolare la sopravvivenza sotto il solleone. È questo il caso delle diverse specie di Cistus ed eucalipto, e delle tipiche piante da gariga mediterranea, come lavanda, rosmarino, timo, origano, maggiorana, elicriso ecc., le cui essenze volatili deliziano le nostre narici soprattutto in estate. E, secondariamente, offrono anche un altro vantaggio: oltre alla funzione termoregolatrice, queste essenze hanno il compito di allontanare, con il loro aroma, i parassiti divoratori che potrebbero altrimenti essere tentati dall’affondare i denti nelle foglie verdi.
… e quelle “con la corazza”…
Ma queste piante profumatissime fanno ancora di più per sfidare la calura: le loro foglie, spalmate con uno spesso strato di cutina (una miscela di sostanze grasse impermeabili e di fibre di cellulosa a indurire la struttura), sono in grado di rimanere erette e rigide anche in mancanza d’acqua che, notoriamente, conferisce il necessario turgore all’intera pianta erbacea e al fogliame delle specie legnose. Quasi tutte le sempreverdi mediterranee (dette anche “sclerofille”, cioè “a foglie rigide”), dal leccio alla sughera, dal carrubo all’olivo, sfoggiano un fogliame cutinizzato, e non potrebbe essere altrimenti, visto che è uno fra i più semplici mezzi di difesa dal caldo: praticamente “si mettono una corazza” per evitare di perdere acqua.
Questi alberi mediterranei abbisognano inoltre di pochissima acqua per vivere, adattandosi egregiamente a luoghi aridi, oltreché caldi: vengono definiti “xerofite”, cioè “piante per l’aridità”. I loro apparati radicali raggiungono profondità maggiori rispetto alla norma, per catturare quel minimo di umidità raccolta nelle viscere della terra.
In aggiunta, tronchi e foglie vengono irrobustiti da abbondanti strati di sclerenchima, un particolare tessuto meccanico, costituito da sovrabbondanza di fibre di lignina, ricchissime di cellulosa che ha il compito di sostenere e mantenere eretto il vegetale. Sono tipicamente costituiti da tessuti sclerenchimatici il tronco e i rami di tutte le piante legnose, per impedire alla pianta di afflosciarsi miseramente se viene meno la pressione di turgore, cioè la pressione dovuta all’abbondante presenza di liquidi interni.
… infine, le piante “risparmiose”
Quando però l’acqua veramente scarseggia, diventa un obbligo (anche per noi uomini) fare economia. Allora, per ridurre la traspirazione e riflettere i raggi solari, le foglie si rivestono di cere isolanti a base di cutina, che impediscono all’acqua interna di fuoriuscire. Se ne avvalgono, per esempio, alloro, mirto, cappero, pittosforo, filirrea (Phillyrea angustifolia, P. latifolia), lentisco (Pistacia lentiscus), terebinto (P. terebinthus), pistacchio (P. vera), pungitopo (Ruscus aculeatus), alaterno (Rhamnus alaternus), poligala (Polygala myrtifolia), salsapariglia (Smilax aspera) e corbezzolo.
Una pericolosissima “falla” per la fuoriuscita dell’acqua è data dagli stomi, microscopiche “porte” dislocate sulla pagina inferiore della foglia, aventi il compito di aprirsi, di norma di giorno, per far entrare l’anidride carbonica indispensabile alla fotosintesi. Durante questa apertura tuttavia, è normale che fuoriesca per traspirazione un certo quantitativo d’acqua che evapora. Per ridurre le perdite durante la loro apertura, gli stomi s’infossano, come avviene nell’oleandro e, se non basta, si aprono solo di notte, sempre per risparmiare liquidi, svolgendo magicamente al buio una parte delle operazioni fotosintetiche: in pratica, queste piante (chiamate “CAM”, come le Crassulacee, le Cactacee, l’ananas, le agavi, i Sedum ecc.) “dormono” di giorno e lavorano di notte.
E poi le foglie dapprima si verticalizzano, come nell’osiride (Osyris alba) o nell’olivo di Boemia (Elaeagnus angustifolia), per ridurre l’angolo d’incidenza dei raggi solari, e poi progressivamente riducono le proprie dimensioni: per es. la tamerice (Tamarix gallica dai fiori rosa e T. africana bianchi) o lo statice (Limonium).
Analogamente si rimpicciolisce l’intera pianta – ecco perché sono pochi gli alberi nella flora mediterranea, e sono di più gli arbusti –, come nel caso del mirto e del lentisco. La riduzione delle dimensioni prosegue poi con la scomparsa del fogliame, per es. molte ginestre, che si spogliano già in giugno, anticipando alla primavera la propria stagione vitale, o con la sua utile trasformazione in spine a doppio uso, anticaldo e antiparassiti mangiatori: basta pensare a un pungente incontro con una Cactacea come il fico d’India (le pale sono in realtà i fusti modificati) o a una Leguminosa come il ginestrone (Ulex parviflorus) per afferrare appieno l’utilità di un simile dispositivo.
Le Cactacee, ma anche le Crassulacee e le Aizoacee, ossia le piante succulente, rappresentano il paradigma della resistenza alla siccità, grazie ai tessuti “spugnosi” che sono in grado di trattenere ogni più piccola goccia d’acqua. Veri campioni di resistenza alla siccità, al calore e spesso anche ai potenti raggi solari, possono superare un’intera estate senza bere, una vera, grande, preziosissima risorsa per i giardini del Sud Italia, che arredano con le loro forme scultoree e geometriche, e con le loro vistosissime fioriture.
Ciò non toglie che anche le “normali” piante mediterranee, capaci di miscelare in varia proporzione i diversi sistemi di resistenza appena visti, siano ciascuna un piccolo prodigio di adattamento a condizioni-limite, che le rendono perfette per resistere a estati sempre più torride e riarse.
Il rovescio della medaglia
Creare un giardino di sole piante mediterranee (o australiane) o succulente consente dunque di ottenere il massimo risultato con il minimo impegno nel Sud Italia, ma può rivelarsi rischioso nel Nord: tutte le specie citate, infatti, resistono talmente bene al caldo, quanto male o malissimo al freddo. Questo significa che, se le minime invernali scendono vicino o sotto lo zero, quasi tutte rischiano la sopravvivenza. È tuttavia innegabile che, perdurando il riscaldamento del clima, da un lato aumentano le probabilità di sopravvivenza anche nel Settentrione, e dall’altro non è comunque più possibile pensare di arredare gli spazi verdi anche nel Nord con specie che chiedono acqua e clima fresco in estate (vedi in fondo).
Che fare, allora, per salvare il decoro del giardino, ma anche le piante? Due sono le soluzioni percorribili, scartando a priori l’idea di un usa-e-getta stagionale (eticamente scorretto e improponibile per il portafoglio): la più semplice consiste nella coltivazione in vaso degli esemplari delicati, che permette di ricoverarli in un luogo fresco e luminoso durante la cattiva stagione, ma che richiede anche maggiori cure estive rispetto alla piena terra (vedi dopo).
La seconda richiede di approntare un arsenale di mezzi di protezione da installare su ogni soggetto per aumentare le chance di sopravvivenza: teli di plastica pesante o di non tessuto, piccoli tunnel, pacciamatura con paglia della base della pianta possono aiutare un esemplare delicato a superare qualche notte sotto lo zero, a condizione però che non venga un inverno particolarmente gelido o nevoso…
A monte va comunque fatta una rigida selezione delle specie: nessuna succulenta, tranne l’agave e i delosperma, può svernare all’aperto in Pianura Padana, ma cisti, tamerici, corbezzoli, mandorlo, olivo, mirto, pittosforo e palme, se collocati in posizione soleggiata anche d’inverno e riparata dai venti freddi (per es. a ridosso di un muro esposto a sud), con qualche protezione possono tenervi compagnia per qualche decennio.
Un aiuto per la sopravvivenza
- Acqua. In giardino è essenziale l’impianto automatizzato d’irrigazione: controllate che gli irrigatori bagnino tutti i settori e che non si otturino nel corso della stagione; programmatelo nelle ore notturne in modo da rendere l’acqua tutta utilizzabile dalle piante, anziché farla evaporare per il caldo; preferite erogazioni di grandi quantità a distanza di 2-3 giorni per costringere le radici ad approfondirsi nel suolo in modo che sfruttino anche l’acqua rimasta in profondità; aggiungete il sensore di umidità che blocca l’irrigazione se la terra è sufficientemente umida; correggete la programmazione in base alla stagione (molta acqua e più frequente in maggio-luglio, meno in agosto-settembre). Se annaffiate a mano, fatelo ugualmente al tramonto, e ogni giorno con regolarità. Ricordatevi però che quando il calore è eccessivo, alcune specie (quelle non adatte a luoghi torridi) bloccano le funzioni vitali in maniera irreversibile, anche con grandi quantità d’acqua a disposizione: aumentandola perché le vedete “appassite”, le “annegherete” definitivamente.
- Syringing. Con l’impianto automatizzato, nel clou del calore programmate i cicli brevissimi di nebulizzazione (syringing): 2-3 minuti più volte al giorno (fino a 4-5) di vaporizzazione dell’acqua, anche a mezzogiorno, in modo da creare un leggerissimo velo d’acqua che non ustiona le piante ma le rinfresca evaporando.
- Pacciamatura. Spargendo nelle aiuole e al piede di alberi e arbusti un abbondante strato di paglia, foglie secche, sacchi di iuta e perfino lana vecchia, si riduce l’evaporazione da parte del terreno, trattenendo una maggiore umidità a disposizione delle radici.
- Concime. Sospendete le somministrazioni fra l’inizio-metà di giugno e l’inizio-metà di agosto, perché “spingono” troppo la pianta quando il calore riduce al minimo le sue funzioni vitali, sfiancandola.
- Ombra. Le piante da mezz’ombra devono essere ombreggiate tra la metà di giugno e la metà di agosto, soprattutto fra le 11 e le 16, altrimenti non resistono. Basta un albero o un grosso arbusto, oppure installate una rete ombreggiante o un cannicciato sostenuti da robusti tutori alti almeno 2,20 m in modo che possa passare l’aria, ma ben fissati perché non volino via con il vento. Rimuoveteli quando il pericolo solleone sarà passato.
No alle specie amanti dell’umidità
- Se non disponete di sufficiente acqua per irrigare, o se il vostro giardino è nel Sud Italia o in altra zona particolarmente riarsa durante la bella stagione, eliminate dalla lista dei desideri alcune specie che non sono assolutamente in grado di sopportare, nemmeno aiutandole, queste per loro infernali condizioni. Ecco un piccolo elenco.
- Piante per zone umide: Cryptomeria, Metasequoia, Taxodium; betulle, liquidambar, ontani, pioppi, Quercus palustris, salici, sorbi; amelanchier, aronia, buddleja, ortensie (tutte), Symphoricarpos, Vaccinium (mirtilli, tutti), Viburnum opulus; anemoni, aquilegia, Arum, Aruncus, Caltha palustris, campanule, dicentra, Eupatorium, felci, gunnera, Helxine soleirolii, Hibiscus moscheutos, H. militaris, Houttuynia, Iris pseudacorus, I. sysirinchium, I. ensata, liatris, Lysimachia, Lythrum salicaria (nella foto), primule, ranuncoli, rodgersia, Symphytumofficinale, tulbaghia, zantedeschia (calla, nella foto).
- Naturalmente, la formazione vegetale che richiede il maggior quantitativo d’acqua rimane il tappeto erboso. Solo se è composto da Cynodon dactylon si può ridurre leggermente l’irrigazione, ma se manca completamente gli steli d’erba si seccheranno, sebbene non muoia la pianta, che però si riprende solo con le prime piogge di settembre-ottobre.
In vaso, ancora più difficile
- Vaso. Accertatevi che le dimensioni siano congrue con lo sviluppo della pianta: se il contenitore è troppo piccolo, la terra si asciugherà dopo poche ore, mandando in sofferenza l’esemplare, o peggio. I vasi in terracotta “respirano” maggiormente, tenendo più “fresco” il pane radicale, ma disperdendo più rapidamente l’acqua erogata; quelli in plastica trattengono di più l’umidità, ma possono “lessare” le radici sotto i raggi solari.
- Annaffiatura. Fra maggio e agosto quasi tutte le piante non succulente vanno annaffiate quotidianamente, la mattina presto con acqua corrente o la sera con acqua riposata, con una buona quantità d’acqua. In genere non rimane liquido nel sottovaso. Anche su balconi e terrazzi è preferibile automatizzare l’operazione (se non altro in vista delle ferie): esistono appositi kit con tutto l’occorrente, disponibili in versione con o senza allaccio alla corrente elettrica (con o senza centralina) e con o senza presa d’acqua sul terrazzo, ampliabili all’infinito scegliendo ulteriori accessori della stessa marca iniziale; programmate l’impianto automatico per bagnare di notte; controllate ogni mese che gli ugelli non si otturino.
- Vaporizzazione. Sempre in piena estate alcune piante necessitano di una vaporizzazione giornaliera, lontano dal momento in cui sono battute dai raggi del sole.
- Concimazione. Tra la metà di giugno e la fine di luglio sospendetela per non forzare la pianta a crescere in un periodo in cui riduce l’impegno al minimo.
- Solleone. Valutate se le piante più delicate devono essere protette mediante una rete ombreggiante, da fissare a sostegni ben agganciati. Se il balcone o terrazzo tra giugno e agosto riceve i raggi del sole di mezzogiorno, dovete proteggere anche i vasi dal calore. Quelli appesi alla ringhiera devono essere inseriti in una balconiera portavasi chiusa da pareti di legno. Assolutamente sconsigliate le balconiere a vasca di metallo; poco adatte anche le balconiere in tubolare rivestito di plastica o in ferro battuto: i raggi solari colpiscono le pareti dei vasi surriscaldandole. Non appoggiate mai i vasi vicino a un muro battuto dal sole: il riverbero raddoppia il calore dei raggi solari, “arrostendo” le piante.
Dall’Australia con resistenza
- In Australia buona parte del suolo è in aree desertiche, e anche laddove non c’è la sabbia, il terreno rimane arido per lunghi periodi dell’anno, battuto dal sole cocente e pochissimo bagnato da precipitazioni che sono veramente scarse. In pratica, il clima è analogo a quello mediterraneo, forse ancora più infuocato.
- Proprio come il bacino del Mediterraneo, anche la terra dei canguri beneficia di numerose piante perfettamente adattate al clima desertico, le quali, come le nostre, tollerano minime invernali attorno a 0 °C, preferibilmente con suolo asciutto.
- Negli ultimi 15 anni, i floricoltori hanno “pescato a piene mani” dalla flora australiana, regalandoci alberi e arbusti che non solo prosperano splendidamente e abbelliscono i giardini del nostro Sud o della Riviera tirrenica, ma che in vaso o con opportune protezioni resistono discretamente anche in Val Padana. Quasi tutte producono fiori a margherita oppure “a scovolino”.
- Ecco l’elenco delle specie più facilmente reperibili: Acacia dealbata e altre (mimosa), Eucalyptus ficifolia (fiori rossi) e altri (solo Sud), Lagunaria patersonii (Primrose Tree, solo Sud, fiori rosa); Anigozanthos (zampa di canguro, fiori rossi), Banksia (varie specie, solo Sud, fiori rossi, gialli, bianchi), Callistemon (varie specie e varietà, fiori rossi, rosa, gialli), Chamaelaucium (Wax Flower, fiori bianchi), Dodonaea (Hop Bush, solo Sud, foglie rosse), Grevillea (varie specie e varietà, fiori rossi o fucsia), Hakea verrucosa (solo Sud, fiori bianchi e rossi), Leptospermum scoparium (Manuka, fiori rosa), Metrosideros excelsus (New Zealand Christmas Tree, fiori rossi), Telopea (Waratah, fiori rossi), Westringia fruticosa (Coastal Rosemary, fiori rosati); Clianthus puniceus (Kakabeak, solo Sud, fiori rossi), Pandorea jasminoides (fiori bianco-rosati); Brachyscome (margherite lilla o viola).
- Tra le rarità, ancora poco diffuse e limitate a zone calde, si citano Alyogine huegelii (fiori viola), Correa (fiori rosa), Blandfordia (Christmas Bell, fiori giallo-arancio), Actinotus (Flannel Flower, fiori a stella candidi).