Il tartufo bianco e quello nero sono molto ricercati per il loro gusto, ma per apprezzarli al massimo bisogna conoscerli fin nei dettagli. Il tartufo è un fungo che appartiene a un gruppo (Ascomiceti) diverso rispetto al classico porcino (Basidiomiceti). Come quest’ultimo tuttavia, intreccia una stretta simbiosi (chiamata “micorriza”) con le radici di alcune piante, con la differenza che il porcino è un fungo epigeo, e quindi visibile a tutti, mentre il tartufo è ipogeo (sotterraneo), localizzato in genere a 20-30 cm di profondità. Deve perciò essere reperito attraverso l’intenso odore che sviluppa a maturazione.
Il tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum) matura quando la temperatura scende sotto i 10 °C (la produzione estiva precoce, il cosiddetto “fiorone”, è immangiabile, perché molliccia; ha solo funzione riproduttiva), quello nero pregiato (Tuber melanosporum) tra 20 e 10 °C, il bianchetto (Tuber borchii) tra 15 e 0 °C e lo scorzone (Tuber aestivum) tra 25 e 15 °C. Quindi i due bianchi sono pronti tra l'autunno e la primavera, mentre i due neri in tarda estate.
Dove cresce il tartufo bianco e quello nero
Man mano che il tartufo (tecnicamente si chiama "carpoforo") cresce, maturano a migliaia al suo interno le spore (equivalenti ai semi). Questo è il momento in cui il tartufo incomincia a sviluppare un intenso odore, caratteristico per ciascuna specie, indispensabile per il suo ritrovamento e quindi per la dispersione delle spore. Essendo i carpofori chiusi, è necessario che un animale (vermi, insetti, lumache, topi, maiali, cinghiali e cani) lo danneggi, così da provocare un varco per la fuoriuscita delle spore. Se l'animale è goloso e divora il prelibato frutto della terra, le spore, ben protette da una parete spessa e dura, resistono ai succhi gastrici fuoriuscendo intatte, anche a qualche chilometro di distanza dal luogo di nascita.
Scodellata sul terreno, la spora vi penetra al seguito dell'acqua piovana e lì rimane a riposo (dormiente) finché, a un dato momento, germina. In base a quali motivi non si sa ancora, ma si è osservato che la germinazione si verifica in primavera, stimolata dal terreno più caldo e umido, e dalla ripresa vegetativa delle piante simbionti, che emettono secrezioni a livello delle radici.
Germinando, le spore producono alcune ife ("rametti") di micelio ("radici") primario, le quali si fondono tra loro a creare una rete di micelio secondario. Le ife secondarie perlustrano il terreno fino a trovare le radici adatte con cui instaurare la simbiosi. La ricerca non è semplice: le radici devono appartenere alla specie simbionte idonea, e devono derivare da una pianta giovane, o comunque devono essere giovani. Le specie simbionti sono generalmente alberi, a eccezione del nocciolo, e ogni specie di tartufo si lega solo ad alcune specie arboree e non ad altre.
Micorrizazione del tartufo: cosa è e a cosa serve
Le ife del micelio secondario avvolgono la radicina con una specie di manicotto, che dona un aspetto turgido e rigonfio alla radice. Poi le ife penetrano nella radice, colonizzando gli spazi liberi tra le cellule e formando così una fitta rete all'interno della radice, utile agli scambi di sostanze tra pianta e fungo. Il manicotto esterno continua a produrre ife secondarie, sottilissime (pochi micron) e lunghissime (anche 100 m), che si insinuano negli spazi del suolo, sia per cercare nuove radici da colonizzare, sia per assorbire acqua e minerali.
La micorrizazione è vantaggiosa per entrambi gli organismi (simbiosi mutualistica): per la pianta verde perché tramite le ife fungine riceve una maggiore quantità di nutrienti grezzi (acqua e minerali), indipendentemente dalla dotazione del terreno; il fungo invece, essendo incapace di effettuare la fotosintesi clorofilliana, trae dalla pianta le sostanze nutritive da essa elaborate (zuccheri semplici), indispensabili per il suo sviluppo. Inoltre, le piante che hanno le radici micorrizate sono più resistenti ai patogeni e più longeve.
Dopo 3-10 anni dalla formazione della micorriza, le ife vegetative più giovani e attive producono, per motivi ancora poco conosciuti, il carpoforo. Le micorrize in natura permangono per tutta la vita della pianta simbionte, e in generale, i tartufi si ritrovano ogni anno nel medesimo luogo sotto le stesse piante. Se una tartufaia smette di produrre, le cause sono le condizioni climatiche inadeguate (per esempio un'estate torrida e secca), o in un danneggiamento delle radicine micorrizate.
La ricerca del tartufo bianco e nero
La collocazione ipogea spiega tante cose, prima tra tutte il prezzo di vendita dei tartufi pregiati. Costano molto perché sono difficili da scovare, anche nelle zone e nelle annate in cui sono più abbondanti. La loro ricerca richiede da parte del tartufaio molta pazienza e tempo libero, levatacce nel cuore della notte, lunghe camminate nel freddo e nell’umidità autunnali. Ma il cercatore da solo non può fare nulla, dato che l’uomo non possiede un odorato sviluppato.
Tramontata, con la legge nazionale n. 752/85, la possibilità di ricercare il tartufo con l’ausilio del maiale (meglio, di una scrofa, più sensibile agli effluvi del fungo), devastatore del bosco, la preziosa prelibatezza si cerca con il cane da tartufi, appositamente addestrato sfruttando l’intelligenza e le buone doti olfattive che l’animale deve possedere. Un buon quattro zampe, non necessariamente di razza Lagotto, vale oltre 2.000 Euro.
Il tartufo nero pregiato si può anche coltivare in un bosco o perfino nel proprio giardino.