I grandi chef stellati da alcuni anni non mancano di inserirle nelle loro ricette più gustose, servite in autunno e inverno: la scorzonera e la scorzobianca sono radici prelibate che richiamano la lunga tradizione gastronomica contadina italiana ed europea in generale. Intuitivamente, la prima ha una scorza nera e la seconda color crema, racchiudendo entrambe una polpa chiara, tenera, saporita e più o meno dolce, da consumare semplicemente lessata con olio e sale, in tegame al burro o gratinata in forno con formaggio o besciamella.
Chi sono la scorzonera e la scorzobianca
Scorzonera hispanica (scorzonera), Tragopogon porrifolius (scorzobianca), famiglia Asteracee, sono piante perenni (trattate da annuali) dalle foglie allungate, lineari lungo lo stelo all’apice del quale in maggio-luglio si producono grandi (anche 10 cm ø) capolini rispettivamente gialli o viola, circondati da punte verdi. Questi, dopo un mese, si trasformano in un’infruttescenza globosa (20 cm ø) ed eterea, i cui pappi a maturazione volano via.
Resistono fino a –8 e + 40 °C purché coltivate in piena terra. Inadatte, a causa della lunghezza delle radici, a vivere in vaso.
Scorzonera, brutta ma deliziosa
Scorzonera hispanica, come racconta il nome, è originaria della Spagna, ma in Italia è chiamata localmente anche “barba di becco” o “barba di prete”. Tra le eccellenze tipiche del nostro Paese, si annoverano la scorzonera della Valle Arroscia, nel Savonese, per tradizione consumata fritta in pastella al vino bianco o impanata; quella della Val Bormida nell’Alessandrino, fra gli ingredienti della bagna cauda; e la barba massese della provincia di Massa Carrara, coltivata e consumata solo in famiglia.
La radice dalla scorza scura è allungata (fino a 30 cm) a mo’ di daikon, soda e inodore. Si monda pelandola dalla scorza: la polpa chiara tende però ad annerire perché l’ortaggio fa parte della stessa famiglia dei carciofi e, come loro, va tuffato in acqua acidulata con limone in attesa della preparazione. Si consuma cruda, a julienne o grattugiata in insalate e su carpacci, oppure cotta, tagliata a dadini o a rondelle, lessata con olio e limone o con la maionese, fritta, stufata per accompagnare la carne (rossa in Piemonte, di pollo in Toscana), tirata in padella con aglio e acciughe sott’olio (in Liguria), gratinata al forno con i formaggi.
Il sapore è dolce, con solo un accenno di retrogusto amarognolo: in Liguria la chiamano anche “radice dolce” per distinguerla dall’“amara” scorzobianca. La sua virtù principale è quella di saziare senza far ingrassare (solo 20 kcal per etto), grazie all’elevato contenuto di fibre, che la rendono anche amica dell’intestino pigro. È un diuretico naturale, per l’abbondanza di potassio e la povertà di sodio, ed è indicatissima in inverno perché apporta molta vitamina C, soprattutto appena raccolta.
Scorzobianca, amara ma dolce
Ha una diffusione più limitata la scorzobianca, simile alla precedente, ma più corta e tozza (sembra una grossa carota color crema), e dalla scorza di colore chiaro: è circoscritta al Piemonte, dove la chiamano “barbabuc”, con epicentro produttivo fra Moncalieri e Nichelino, e alla Tuscia, dov’è denominata “sassefrica”. Il motivo è semplice: il gusto amaro sprigionato dalla polpa chiara (la scorza va comunque eliminata), che non a tutti è gradito. Dopo cottura, però, l’amaro si attenua e la polpa diventa morbidissima, con un vago retrogusto di noce, perfetto con i formaggi fusi, con le carni bianche e con il pesce.
Si prepara, si cucina e si consuma come la scorzonera, con la differenza che del Tragopogon porrifolius si utilizzano anche le foglie, raccolte tra marzo e giugno quando sono più tenere: s’impiegano come gli spinaci e, nel Lazio, come ripieno per i ravioli insieme con altre erbette selvatiche. Del resto, anche la radice va estratta tra marzo e maggio del secondo anno di coltivazione della pianta, momento in cui ha buone dimensioni ma è ancora morbida al palato.
Rispetto alla scorzonera è ancora più povera di calorie (15 kcal/hg) e molto più depurativa, anche a livello epatico, grazie alle sostanze amare che contiene.
COLTIVIAMO COSÌ scorzonera e scorzobianca
- Sono piante perenni che vanno trattate come annuali: si seminano nell’orto a dimora in febbraio-marzo (in ottobre nel Sud), su file distanti 70 cm e sulla fila a 40-50 cm. Il terreno deve essere fertile e ricco ma non troppo, privo di sassi o ghiaia per non rovinare il fittone. Per un corretto ingrossamento è necessario eliminare regolarmente le malerbe, concimare un mese dopo il trapianto, sfoltire periodicamente il fogliame e irrigare in abbondanza per scorrimento laterale.
- Si ammirano i fiori, si consumano le foglie nel corso della primavera-estate, si raccolgono le infruttescenze (decorative dopo essiccazione) e si estirpa la radice nell’autunno del primo anno (al Sud) e l’inizio primavera successiva (nel Nord).
- Le radici si estraggono afferrando alla base le foglie e tirando, aiutandosi con una pala o una forca, senza lesionare l’ortaggio. Dopo la raccolta e una sommaria pulizia dalla terra e dalle radicole filiformi, le radici si privano delle foglie e si conservano in frigorifero per 10-15 giorni avvolte in uno strofinaccio umido, oppure fino a 2 mesi (controllandole ogni settimana) in una cantina asciutta immerse in sabbia di fiume leggermente umida.