sedano rapa radici
Radici di sedano rapa.
Sedano rapa, prezzemolo da radice, scorzonera, scorzobianca e pastinaca sono prelibate radici dai sapori antichi, da riproporre in cucina

Un tempo, l’inverno era una stagione tristissima dal punto di vista alimentare: terminati i frutti del sole (pomodori, melanzane, zucchine, cetrioli ecc.), non rimanevano che patate e cavoli. Ma non per tutti era “penitenza gustativa”: i contadini più previdenti, per assicurarsi una varietà di sapori e pietanze (nonché cibo per vivere), in estate avevano coltivato con cura una serie di pianticelle misteriose agli occhi dei “signori”. Senza frutti né foglie appetibili, né vistose per fioritura, rimanevano a disposizione dei braccianti, che ne conoscevano il segreto: una radice buonissima!

Oggi sono nomi sconosciuti al grande pubblico italiano: sedano rapa, prezzemolo da radice, scorzonera, scorzobianca e pastinaca meritano nuovamente un posto in cucina, per riassaporare piaceri sconosciuti, a tratti intensi e quasi ruvidi, ma più appaganti rispetto ad altri ortaggi più comuni.

Sedano rapa, nel Nord con sapore

Fin dal Medioevo ne vanno pazzi i Francesi, ma lo si gusta anche in Belgio, Olanda, Germania e Paesi scandinavi, perché la pianta ama il freddo: in Italia viene coltivata quasi solo nel Nord, in particolare in Piemonte e nel Triveneto. Il sedano rapa (Apium graveolens ssp. rapa) non è altro che un comune sedano, più povero di foglie ma dotato di una grossa (fino a 1 kg) radice rotonda, dalla polpa candida e profumatissima, soda, da consumare sia cruda, grattugiata in insalata o sul carpaccio, sia cotta e condita con olio e sale, stufata con cipolle e patate, fritta in padella, ripassata al forno con la besciamella o i formaggi (impagabile l’abbinamento con un gorgonzola dolce). Senza trascurare il fogliame che può essere impiegato come il sedano nel minestrone.

Certo non è bello a vedersi, e anche la pulizia del radicione richiede pazienza, per eliminare tutto il terriccio che si annida fra le radicole e negli “occhi” della radice: oltre a tagliare di netto le radici cilindriche (che spesso, anche se ben pulite, mantengono un retrogusto “terroso”), un buon sistema per una mondatura rapida ed efficace consiste nel pelare il tubero con il pelapatate oppure nel raschiarlo bene con una spazzola sotto l’acqua corrente.

Come molte radici, dà il meglio di sé tagliato a cubetti di 1,5 x 1,5 cm, il cui tempo di cottura al dente è veramente da record: in 10 minuti a fuoco medio sono già morbidi e pastosi. Come ben sanno i patiti della cucina vegetariana e vegana, che lo aggiungono allo spezzatino di seitan o lo combinano con le patate gratinandolo al forno.

Mangiarlo appaga il gusto e lascia la linea intatta: costituito per il 90% da acqua, è anche diuretico e depurativo grazie al potassio e favorisce il buon mantenimento della coagulazione del sangue grazie alla vitamina K. Attenzione solo se si è allergici, ma del resto l’allergia dovrebbe già essere conclamata mangiando il sedano normale…

Due le eccellenze tipiche: il sedano rapa della Val di Gresta, in Trentino, nei Comuni di Ronzo Chienis, Mori, Isera e Villalagarina; e quello di Ronco all’Adige, sulle rive veronesi del fiume. In entrambi i siti il panciuto ortaggio ha tradizione antica: fin da inizio 900 veniva coltivato per la vendita alla fiera di S. Andrea, il 30 novembre, a Riva del Garda (Tn); e il poeta dialettale veronese Berto Barbarani (1872-1945) ci ha lasciato una ricetta ancora oggi attuale: “Si prende una testa di sedano-rapa piuttosto grossa. Si monda bene e si taglia a fette dello spessore di uno scudo di vecchio conio. Per ogni due di queste s’insinua una fetta di prosciutto cotto e si salda con filo. Così preparate si adagiano nel tegame su di un soffritto di burro e cipolla che abbia già preso il biondore, e dopo averle ben rosolate si unisce sugo di pomodoro, mezzo bicchiere di Marsala vecchio, mezzo cucchiaio di farina. Giunto il tutto a lenta condensazione e cottura, si serve caldo con buon parmigiano abbondante”.

Prezzemolo da radice, dolce aroma

Oltre al ben noto aroma ubiquitario, il Petroselinum crispum annovera anche una varietà di cui, oltre al fogliame, si consuma la radice: è appunto il prezzemolo da radice o prezzemolo Hamberg, molto simile alla comune aromatica, ma con una radice carnosa, ben sviluppata (fino a 300 g di peso), simile a una carota ma di colore chiaro, con lo stesso sapore delle foglie ma con una nota di dolcezza in più.

prezzemolo radice
Prezzemolo da radice.

Si consuma esattamente come il sedano rapa, e come questo viene coltivato quasi solo nel Nord Italia. Un’avvertenza: proprio come per il prezzemolo da foglia, che va coltivato per un solo anno perché dal secondo le foglie perdono vigore e sapore, anche la radice va raccolta nell’autunno del primo anno, perché in quello successivo diventa fibrosa, dura e legnosa, inadatta alla tavola.

Scorzonera, brutta ma deliziosa

Con la scorzonera l’areale di coltivazione, e di consumo, si sposta verso ovest, in virtù della sua terra d’origine, la Spagna, donde il nome scientifico di Scorzonera hispanica. Chiamata localmente anche “barba di becco” o “barba di prete”, secondo alcuni deve il nome allo spagnolo “escurco”, cioè “vipera”, perché si pensava che la pianta avesse virtù curative contro il veleno del rettile; secondo altri alla scorza di colore nero della radice.

scorzonera
Radici di scorzonera.

Tra le eccellenze tipiche del nostro Paese, si annoverano la scorzonera della Valle Arroscia, nel Savonese, per tradizione consumata fritta in pastella al vino bianco o impanata; quella della Val Bormida nell’Alessandrino, fra gli ingredienti della bagna cauda, e come la precedente presente sui mercati locali in stagione; e la barba massese della provincia di Massa Carrara, coltivata e consumata solo in famiglia.

La radice dalla scorza scura è allungata (fino a 30 cm) a mo’ di daikon, soda e inodore. Si monda pelandola dalla scorza: la polpa chiara tende però ad annerire perché l’ortaggio fa parte della stessa famiglia dei carciofi e, come loro, va tuffato in acqua acidulata con limone in attesa della preparazione. Si consuma cruda, a julienne o grattugiata in insalate e su carpacci, oppure cotta, tagliata a dadini o a rondelle, lessata con olio e limone o con la maionese, fritta, stufata per accompagnare la carne (rossa in Piemonte, di pollo in Toscana), tirata in padella con aglio e acciughe sott’olio (in Liguria), gratinata al forno con i formaggi.

Il sapore è dolce, con solo un accenno di retrogusto amarognolo: in Liguria la chiamano anche “radice dolce” per distinguerla dall’amara scorzobianca. La sua virtù principale è quella di saziare senza far ingrassare (solo 20 kcal per etto), grazie all’elevato contenuto di fibre, che la rendono anche amica dell’intestino pigro. È un diuretico naturale, per l’abbondanza di potassio e la povertà di sodio, ed è indicatissima in inverno perché apporta molta vitamina C, soprattutto appena raccolta.

Scorzobianca, amara ma dolce

Ha un mercato ancora più limitato la scorzobianca, radice simile alla precedente, ma più corta e tozza (sembra una grossa carota color crema), e dalla scorza di colore chiaro: è circoscritto al Piemonte, dove la chiamano “barbabuc”, con epicentro produttivo fra Moncalieri e Nichelino, e alla Tuscia, dov’è denominata “sassefrica”. Il motivo è semplice: il gusto amaro sprigionato dalla polpa chiara (la scorza va comunque eliminata), che non a tutti è gradito. Dopo cottura, però, l’amaro si attenua e la polpa diventa morbidissima, con un vago retrogusto di noce, perfetto con i formaggi fusi, con le carni bianche e con il pesce.

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Radici di scorzobianca.

Si prepara, si cucina e si consuma come la scorzonera, con la differenza che del Tragopogon porrifolius si utilizzano anche le foglie, raccolte tra marzo e giugno quando sono più tenere: s’impiegano come gli spinaci e, nel Lazio, come ripieno per i ravioli insieme con altre erbette selvatiche. Del resto, anche la radice va estratta tra marzo e maggio del secondo anno di coltivazione della pianta, momento in cui ha buone dimensioni ma è ancora morbida al palato.

Rispetto alla scorzonera è ancora più povera di calorie (15 per etto) e molto più depurativa, anche a livello epatico, grazie alle sostanze amare che contiene.

Pastinaca, non è una carota

Parente del sedano rapa e del prezzemolo (ma anche della carota), la pastinaca è un’altra radice allungata (fino a 35 cm di lunghezza) di colore bianco crema, che ha sfamato l’intera antichità mediterranea finché non è stata selezionata la carota coltivata, nell’800. È ancora apprezzatissima in Francia dove la chiamano “panais”, in Gran Bretagna con il nome di “parsnips”, in Spagna dove entra nel cocido e nel Nord Africa dov’è tra le verdure del cous cous.

Da noi, nonostante l’abbondante confusione nomenclaturale (nel Sud la carota viene spesso definita “pastenaca” e nel Salento è famosissima la pestanaca di S. Ippazio a cui è dedicata una sagra) la vera pastinaca (Pastinaca sativa) è pressoché introvabile, con una sola eccezione: in Lucchesia, tra l’alta Versilia e la Garfagnana, alcuni agricoltori ne hanno ripristinato la produzione da un ventennio circa.

pastinaca pianta radici
Radici di pastinaca.

Come la carota, non richiede pelatura ma solo un’energica spazzolata sotto l’acqua corrente, e poi si prepara come la cugina arancione: affettata in insalate miste se è giovane e piccola, oppure lessata e condita, ripassata al burro, trifolata, glassata con miele o sciroppo d’acero e aceto balsamico, infornata con i formaggi o con cipolle e patate, fritta in pastella, ridotta in purè o a vellutata…

Il profumo sta fra il sedano e il prezzemolo, mentre il sapore ricorda carota e sedano rapa, con una vena dolce di nocciole. Essendo zuccherina (12 g per etto), è energetica, ma nel contempo anche diuretica (525 mg di potassio) e amica dell’intestino (2 g di fibre) e dell’umore (26 g di magnesio). Se ne consumano anche il fusto e le foglie, da utilizzare come il sedano.

Le radici fanno tutto da sole

Sono tutte piante biennali: il sedano rapa va seminato in semenzaio in gennaio-marzo e trapiantato in piena terra all’altezza di 15 cm, tra marzo e maggio; tutte le altre si seminano a dimora in marzo-maggio. Nel Sud si invertono le stagioni, seminando in ottobre. Le file devono distare 70 cm e le piante sulla fila 40-50 cm. Il terreno deve essere fertile e ricco (ma non troppo per scorzobianca e nera), più pesante per il sedano, leggero e sabbioso per le altre radici, comunque sempre privo di sassi o ghiaia per non rovinare il fittone. Per un corretto ingrossamento è necessario eliminare regolarmente le malerbe, concimare un mese dopo il trapianto, sfoltire periodicamente il fogliame e irrigare in abbondanza per scorrimento laterale.

Il sedano è pronto dopo 140 giorni dal trapianto (tra settembre e febbraio), il prezzemolo a 70 giorni dalla semina, la scorzonera e la scorzobianca tra l’autunno del primo anno e la primavera successiva, la pastinaca nell’autunno-inverno del primo anno.

Le radici si estraggono afferrando alla base le foglie e tirando, aiutandosi con una pala o una forca, senza lesionare l’ortaggio.

A lunga conservazione

Dopo la raccolta e una sommaria pulizia dalla terra e dalle radicole filiformi, queste radici si privano delle foglie (da riutilizzare in cucina) e si conservano in frigorifero per 10-15 giorni avvolte in uno strofinaccio umido, oppure fino a 2 mesi (controllandole ogni settimana) in una cantina asciutta immerse in sabbia di fiume leggermente umida.

Al momento dell’acquisto gli ortaggi devono essere rigidi e compatti, preferibilmente con il ciuffo di foglie, che devono avere un colore vivido e senza segni eccessivi d’appassimento.

Radici insolite, una piacevole ri-scoperta per il palato - Ultima modifica: 2022-01-10T06:59:34+01:00 da Elena Tibiletti