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Bergenia, chiamata anche fiore di S. Giuseppe, dall'epoca di fioritura (un tempo, metà marzo).
I nomi delle piante utilizzati comunemente spesso derivano dai santi del calendario, o da episodi collegati alla Bibbia o alla religione in genere

Riguardo ai nomi delle piante, potremmo affermare: Italia, popolo di santi e di navigatori. Cosa c’entra questo famoso detto con le piante? C’entra eccome: senza i navigatori non avremmo i quattro quinti delle piante che oggi coltiviamo con soddisfazione; senza i santi avremmo, riferendoci qui  esclusivamente all’ambito botanico, un po’ meno difficoltà nel definire le piante!

Come nascevano i nomi delle piante

Fu Linneo nel lontano 1753 a inventare la nomenclatura binomiale latina (per es. Rosa canina), valida in tutto il mondo e in tutte le lingue, per definire ogni singola pianticella. Prima di allora, i botanici di professione utilizzavano una lunga perifrasi, del tipo “pianta arbustiva, con lunghi tralci glabri e spinosi, alta fino a 2 m, con foglie composte da 5 foglioline, fiori a coppa di 5 petali bianco-rosati”, che si rivelava non solo poco pratica, ma anche fonte di confusione tra diverse piante e nei vari Paesi.

Invece il popolo utilizzava denominazioni di fantasia, ovviamente differenti tra una nazione e l’altra, mutuate dalle piante stesse: loro caratteristiche anatomiche (es. coda cavallina, Equisetum arvense, per la somiglianza con la coda del cavallo) o biologiche (es. cedrina, Lippia citriodora, dal profumo di cedro), capacità di curare un malanno (es. erba delle verruche, Chelidonia majus), tipo di impiego (es. erba vetriola, Parietaria officinalis, utilizzata per pulire l’interno delle bottiglie di vetro), ed epoca di fioritura. In quest’ultimo caso la pianta prendeva il nome dal calendario, ossia dal santo festeggiato in prossimità dello schiudersi delle corolle.

Ed ecco la confusione: trattandosi di santi la cui conoscenza doveva essere diffusa in tutto il Paese, il nome era uno solo, ma le piante con quel nome erano tante. Così capitava, e capita ancora oggi, che con uno stesso nome comune vengano indicate specie differenti: l’erba di santa Maria, per esempio, può essere l’elicriso (Helichrysum italicum, fioritura giallo oro in luglio-agosto, ideale su terreni aridi o nella roccaglia), la balsamita (Chrysanthemum balsamita = Tanacetum b. = B. major, fioritura gialla in giugno-luglio, per bordure alte in giardino), la menta (Mentha piperita, fioritura bianco-rosata in luglio-agosto, meglio in vaso in modo che non diventi infestante) o il timo (Thymus serpyllum, fioritura bianco-rosata in aprile-settembre, perfetto in vaso e in terra, dalla Sicilia a Bolzano).

Si ingenera così una buona dose di incertezza sull’identificazione, soprattutto quando l’indicazione rimbalza tra il Nord e il Sud, dove l’epoca di fioritura cambia in base al clima mentre i santi rimangono fermi sul calendario… O quasi, visto che di santa Maria ne esistono veramente tante: senza contare quelle invernali (1° gennaio e 22 febbraio), le altre si celebrano il 9 aprile, il 6 o il 22 luglio e il 12 settembre: un ampio ventaglio che abbraccia comodamente tutte le piante che si fregiano di questo nome.

Nomi delle piante dai santi più famosi

Sorte analoga tocca a San Giuseppe che si festeggia unicamente il 19 marzo. Tra le piante che fioriscono appena prima dell’inizio della primavera si annoverano il gelsomino di san Giuseppe (Jasminum nudiflorum, arbusto a volte coperto di corolle gialle già in gennaio, J. mesnyi, che in genere attende marzo per colorarsi, ambedue adatti a vasche o alla piena terra, anche sulle Alpi, spesso coltivati come ricadenti), e due fiori di san Giuseppe (Bergenia cordifolia, perenne adatta a climi freschi che si copre di vistose infiorescenze rosa tra fine febbraio e fine marzo, e Anemone nemorosa, l’anemone dei boschi dalle timide corolle candide che a volte compaiono già a fine gennaio, perfetto sotto alberi ombrosi d’estate). Ma esistono anche due erbe di san GiuseppeSaxifraga latina, un endemismo delle Apuane reperibile fra 1.600 e 2.500 m, dai piccoli fiori rosa a inizio marzo alle quote più basse; e Achillea millefolium, comunissima erba dei campi, in fiore già in marzo nel Sud Italia, ma da giugno in poi nel Nord.

Sant’Antonio da Padova (13 giugno) dona il proprio nome a tre specie: il famosissimo giglio di sant’Antonio (Lilium candidum), dai nivei fiori aperti a metà giugno (ma se ritarda fino al 21 giugno diventa il fiore di san Luigi…) a simboleggiare la purezza (e quindi viene anche chiamato giglio della Madonna), coltivabile in tutta Italia, meglio se in piena terra; il fiore di sant’Antonio (Spartium junceum), una rustica ginestra dai fiori giallo uovo, profumatissimi, aperti dall’inizio di giugno lungo i pendii di tutta Italia fino alla Pianura Padana; e l’erba di sant’Antonio (Epilobium angustifolium), perenne che ama l’umidità, dalla ricchissima fioritura in pannocchie color rosa carico che in collina parte da metà giugno, ma in montagna dai 1.000 m in su si attarda sino alla fine di luglio (per questo vanta un secondo nome, quello di fiore di sant’Anna, onorata il 25 luglio).

San Pietro (29 giugno) si è visto dedicare solo due piante: ancora la balsamita (diffusa in tutta Italia e ampiamente utilizzata in cucina per il gradevole gusto amarognolo), ma anche la palma di san Pietro o palma nana (Chamaerops humilis), l’unica palma autoctona italiana, spontanea in Sicilia e Sardegna ma coltivabile anche in vaso nel Nord Italia, date le dimensioni ridotte e la crescita lenta. E proprio dall’isola sarda di San Pietro, dov’è largamente diffusa, ha preso uno dei nomi comuni.

Due anche le specie che portano il nome di santa Lucia, onorata il 13 dicembre: in questo caso il rimando non è alla fioritura, bensì alle presunte proprietà benefiche sugli occhi (organo che la santa protegge). Si tratta di Salvia sclarea (che erroneamente si pensava rinforzasse la vista e i cui semi erano usati per togliere corpi estranei dagli occhi), un’erbacea da prato dalle grandi foglie oblungo-piramidali rugose e dai vistosi fiori blu; e di Teucrium fruticans (che si utilizzava per sciacqui oculari rinfrescanti, oggi ritenuti inutili), un piccolo arbusto che non teme la siccità, a differenza del freddo, e fiorisce in azzurro-lilla-rosa in estate.

Due infine i fiori dedicati a san Marco (25 aprile): il lillà (Syringa vulgaris), arbusto rustico e adattabile a ogni giardino, che schiude le profumatissime infiorescenze dell’omonimo colore a fine aprile, e il girasole (Helianthus annuus), che va seminato appunto nell’ultima decade del mese primaverile.

Una pianta per ogni santo minore

Con il progressivo riscaldamento del clima i narcisi (Narcissus) stanno anticipando via via la fioritura: non è raro trovarli aperti già all’inizio di marzo, anche se il loro nome comune, fiore di santa Zita, sta a indicare una data ben più avanzata, il 27 aprile, retaggio dei secoli passati. Bulbose comodissime, se piantate in terra ben drenata e in pieno sole, continueranno a fiorire per anni senza grandi cure.

Inizia a fiorire in corrispondenza del 30 maggio, giorno dedicato a santa Giovanna, Artemisa vulgaris, erba aromatica che favorisce la digestione (attenzione a non esagerare con le dosi, che potrebbero risultare tossiche), ma che non ha grandi pregi ornamentali né per il fogliame, né per la fioritura grigiastra.

Hanno la caratteristica di fiorire quando le altre piante vanno a riposo: Sedum telephium, S. spectabile, S. sieboldii si fregiano tutti e tre dell’appellativo di erba di santa Teresa, festeggiata il 1° e il 15 ottobre. Succulente rustiche e robuste, non temono l’inverno all’aperto perfino in zona alpina, in vaso o in piena terra (ben drenata), regalando una cospicua fioritura bianca o rosa all’inizio dell’autunno.

L’erba di san Lorenzo (Ajuga reptans, o bugola) è dedicata al santo onorato il 10 agosto non per la graziosa fioritura, che inizia in maggio e termina in luglio, ma per la credenza di sciogliere il sangue raggrumato: era quindi perfetta per aiutare la liquefazione del prodigioso sangue di san Lorenzo martire nell'ampolla conservata nel paese di Amaseno (Fr). Oggi rende bene in zone erbose, anche molto soleggiate, dove poche piantine creano in breve tempo un fitto tappeto di fiori blu.

Agrimonia eupatoria è l’erba di san Guglielmo (10 febbraio o 25 giugno): nell’antichità si riteneva curasse le infezioni cutanee e in particolare il giradito che, ancor oggi, viene chiamato “male di san Guglielmo”. Preferisce terreni freschi e leggermente umidi, anche a mezz’ombra; fiorisce tra maggio e luglio con lunghe spighe di fiorellini gialli.

L’erba di santa Marina (Buglossoides purpureocaerulea) era ritenuta efficace contro l’itterizia, malattia scongiurata dalla santa Marina vergine di Bitinia, a cui è dedicato un santuario nel Salento: la moderna ricerca scientifica ha appurato che effettivamente la pianta ha proprietà epatoprotettive. In giardino fa la sua figura grazie ai fiori prima porpora e poi blu, prodotti da aprile a giugno, e poi trasformati in frutti bianco perlacei, durevoli sulla pianta (da cui il nome di erba-perla azzurra).

A volte il collegamento risulta molto contorto, come nel caso del giusquiamo (Hyoscyamus niger), detto erba di santa Apollonia, con la quale non ha nulla a che fare. Il nome deriva dalla storpiatura popolare della denominazione celtica belenion (il dio del sole), che è diventato prima Apollo (il corrispondente dio del sole nell’antica Roma) e poi Apollonia. Erbacea di grande sviluppo (fino a 2 m d’altezza), resistente in tutta Italia, si caratterizza per le grandi foglie pelose e i fiori color crema con centro scuro. Ideale come punto focale nelle aiuole o come bordura alta, è però molto velenosa in ogni sua parte: attenzione a bambini e animali domestici!

Altre volte non si evince alcun collegamento tra la pianta e il nome popolare dedicato al santo: è il caso di Eupatorium cannabinum, chiamato erba di santa Bibiana (2 dicembre) o erba di santa Cunegonda (3 marzo). È una perenne di zone umide, perfetta ai bordi del laghetto, che produce tra giugno e agosto ombrelle di densi fiorellini rosa, molto decorativi e durevoli.

Poi c’è la diversa vicenda del tabacco (Nicotiana tabacum), un tempo chiamato erba di Santa Croce: non si tratta di una santa con tale nome, bensì del signor Prospero Santa Croce, legato del Papa in Portogallo, che per primo introdusse la pianta in Italia, nel XVI secolo.

Infine ci sono le piante il cui nome “santo” deriva dalla traduzione in italiano del nome latino: così Senecio jacobaea è l’erba di san Giacomo (Jacobus), Barbarea vulgaris diventa l’erba di santa Barbara e la santoreggia (Satureja hortensis) è l’erba di san Giuliano, dall’antico nome latino di Satureja juliana.

Oltre alle piante elencate, note circa in tutta Italia, esistono alcune centinaia di specie chiamate con il nome di un santo solo in una ristretta zona del nostro Paese, e magari con nomi di santi diversi da una regione all’altra. E la confusione continua…

Nomi di piante dedicate a Cristo e alla Madonna

“Scherza coi fanti ma lascia stare i santi”, dice il notissimo proverbio. Ma ancora più importanti dei santi sono i personaggi chiave del cristianesimo: Gesù Cristo e la Madonna tengono a battesimo uno stuolo di piante che, in un qualche modo, richiamano le vicende della Bibbia.

Due specie botaniche, nell’immaginario popolare, ricordano fisicamente la corona di spine che cinse la fronte di Gesù in croce: Euphorbia spina-Christi (= E. milii) e Paliurus spina-Christi sono ambedue denominate spina di Cristo in virtù dei rami densamente spinosi. La prima è una gradevole pianta succulenta d’appartamento, originariamente dai fiori solo rossi e ora anche crema e salmone; la seconda è un temibile arbusto adatto a zone marittime per creare invalicabili siepi difensive.

La passiflora, quando arrivò in Europa dal Messico nel 1610, divenne subito il fiore della Passione di Cristo: la raggiera di filamenti nella parte centrale è la corona di spine, lo stilo al centro la colonna della flagellazione, gli stimmi i tre chiodi della crocifissione, gli stami la spugna imbevuta di fiele e aceto, le cinque macchie rosse sulla corolla le cinque ferite di Cristo.

Della Madonna, l’immaginario popolare italiano ha sempre pensato che avesse gli occhi blu: si spiega così la denominazione di occhi della Madonna assegnata a ben tre piantine erbacee dai minuscoli fiorellini azzurro intenso o blu, Veronica chamaedrys, Myosotis arvensis e Omphalodes verna. Solo la seconda dell’elenco, il nontiscordardimé, merita un posto in giardino: che abbia fiore azzurro, rosa o bianco, si moltiplicherà rapidamente in un punto assolato, ricoprendo vaste estensioni che divengono colorate in aprile-maggio.

La digitale (Digitalis purpurea) produce in maggio fiori talmente spettacolari nella forma e per l’aggregazione in vistose cime alte anche 2 m da essersi meritata l’appellativo di ditale della Madonna; è una biennale (fiorisce solo nel secondo anno) idonea per zone fresche, da posizionare al sole come punto focale.

Sempre la forma del fiore ha scatenato la fantasia popolare nell’assegnare all’orchidea spontanea Cypripedium calceolus la gentile denominazione di scarpetta della Madonna; è una pianta protetta per legge, da fotografare se si ha la fortuna di incontrarla in giugno-luglio nei boschi alpini, ma da non raccogliere assolutamente.

Si riferisce al candore virginale dei fiori il nome di gelsomino della Madonna assegnato al filadelfo (Philadelphus coronarius), rustico cespuglio che necessita di tanto sole per ammantarsi di corolle profumatissime in maggio: la medesima innocenza dei bianchi petali gli ha donato anche il nome di fior d’angelo.

Riguarda invece la lunga durata dei fiori la denominazione di erba della Madonna per il già citato Sedum telephium: ponendo uno stelo fiorito sull’altare della Madonna, il 12 settembre, rimane bello senza una goccia d’acqua fino all’anno successivo.

Traggono infine il nome da un episodio biblico altre due piante, Silybum marianum, detto cardo mariano o cardo della Madonna, e Convallaria majalis, il mughetto, chiamato lacrime della Madonna. Il primo, spinoso cardo selvatico, è addolcito da un fitto reticolo bianco sulle minacciose foglie: narra la leggenda che si tratti delle lacrime della Madonna, sgorgate durante i tre giorni di Passione ai piedi della croce di Gesù e cadute sulle foglie di cardo, fino a quel momento di colore verde uniforme. Le stesse lacrime, cadute anche sul fogliame del mughetto, hanno dato origine ai minuscoli, nivei fiori a campanella.

Rosa, il fiore di santa Rita e...

  • Maggio è tradizionalmente il mese delle rose che, fino a qualche anno fa, attendevano la fine del periodo per schiudere i magnifici fiori: logico quindi che venissero consacrati a santa Rita da Cascia, in calendario il 22 maggio.
  • È stata invece dedicata a Maria la rosa ‘Mystica’, un ibrido di tea con corolle piuttosto grandi e boccioli affusolati bianchi soffusi di rosa, presentato nel 2005 in Vaticano dove ha ornato la Basilica di San Pietro in occasione della celebrazione dell'Immacolata da parte di Papa Benedetto XVI. Questa rosa, prodotta esclusivamente dai floricoltori liguri e selezionata dopo 7 anni di lavoro, ha l’onore di decorare i maggiori santuari mariani italiani e stranieri.
  • Nel 1969 la celebre floricoltura N. Sgaravatti & c. di Pergine Valdarno (Ar) ha pensato di dedicare una rosa al generoso Papa buono, Angelo Roncalli, scomparso nel 1963: è nata così la rosa ‘Papa Giovanni XXIII’, una tea dal fiore bianco-rosato profumatissimo.

Nomi delle piante: l’erba di San Giovanni

Nella civiltà contadina dei secoli passati, la notte fra il 23 e il 24 giugno (giorno di san Giovanni) era dedicata alla raccolta delle erbe del santo, che acquisivano un potere magico perché benedette dalla rugiada notturna e dagli influssi astrali: diventavano in grado di scacciare ogni malattia, nonché i demoni e le streghe, e tutte le loro caratteristiche si pensava venissero esaltate e portate alla massima potenza.

Ogni località d’Italia ha un suo elenco specifico di piante, legato al proprio territorio, ma alcune erbe di san Giovanni sono più conosciute e diffuse nel Paese: l'iperico, l'artemisia (dedicata alla dea della caccia Diana-Artemide, e quindi protettrice delle donne), la verbena, il vischio, il sambuco, l’aglio, la cipolla, la lavanda, la mentuccia, il biancospino, il corbezzolo, la ruta e il rosmarino.

Fra esse, solo Hypericum perforatum ha fama nazionale come erba o fiore di san Giovanni, appellativo mutuato dal fatto che, sfregando i petali, le dita si macchiano di rosso: il sangue del santo. È un bell’arbusto esuberante, più largo che alto, adatto a tappezzare ampie estensioni soleggiate e non gelide d’inverno, che rende decorative grazie alla profusione di fiori giallo frittata, prodotti di continuo da giugno ad agosto.

Nomi delle piante: da Carlo Magno a San Carlo

A partire dal Medioevo si diffuse uno strano metodo per la scelta delle piante da usare come medicine, motivato da una leggenda. Secondo questa, il re francese Carlo Magno, mentre era impegnato nelle guerre spagnole (dal 778 in poi), incappò in una grave pestilenza che decimò il suo esercito. Non trovando alcun rimedio, decise di invocare l’aiuto di Dio. Apparve un angelo munito di arco e frecce, che gli suggerì di scagliarne una: la pianta su cui si fosse conficcata sarebbe stata la risposta al problema. La freccia si piantò su un ciuffo di cardi che da allora prese il nome, in onore di Carlo Magno, di carolina e poi di carlina.

La leggenda non dice se effettivamente la carlina debellò la peste, e la scienza moderna non ne ha evidenziato nessun particolare componente in grado di farlo. L’episodio, vero o falso che fosse, però colpì molto la credulità popolare, al punto che per alcuni secoli la scelta delle piante medicinali si svolse proprio con il metodo della freccia.

Carlina acaulis nel linguaggio comune divenne così l’erba di san Carlo, senza che il santo Borromeo, festeggiato il 4 novembre, abbia qualcosa a che fare. È una pianta tipica dei boschi di conifere, protetta per legge in alcune Regioni, caratterizzata dal fatto di chiudere i “petali” del fiore con l’umidità e di riaprirli con tempo secco, donde l’altro nome di segnatempo.

San Fiacre, il protettore dei giardinieri

Il santo patrono dei giardinieri si festeggia il 30 agosto (ma in alcune località europee il 30 aprile): è lo scozzese san Fiacre.

Figlio del re Eugenio IV di Scozia, nato intorno al 600, rifiutò sin da giovanissimo il trono paterno trasferendosi in Francia, a Meaux, per poter frequentare il vescovo di Faron. Questi mandò il giovane principe nella foresta di Breuil, in modo che potesse seguire la sua vocazione.

Poi la leggenda dice che il vescovo avrebbe assegnato al giovane nella foresta il terreno che egli fosse riuscito a delimitare nell’arco di una sola notte: miracolosamente la vanga entrò nella terra alla velocità della folgore, e Fiacre ebbe così una grande tenuta, in cui coltivò rigogliosi giardini, orti e frutteti. Ne ricavò frutti e ortaggi che donò ai poveri, accorsi numerosi anche per farsi curare il corpo e lo spirito. I fiori invece ornavano la cappella da lui eretta in onore della Vergine Maria.

Quando Fiacre morì, nel 670, il profumo dei fiori nei giardini di Breuil divenne così penetrante che tutta l'aria intorno ne fu saturata.

 Subito incominciarono i pellegrinaggi sulla sua tomba, continuando intensamente nei secoli tanto che, nel 1620, Nicole Sauvage creò un servizio regolare di trasporto da Parigi alla tomba del santo: le carrozzelle utilizzate presero il nome di "fiacre" proprio dal santo.

Sembra tuttora che ogni anno, nell'anniversario della morte, i fiori coltivati da Fiacre appaiano all’improvviso emanando un sentore così penetrante da invadere tutta la zona del monastero; il profumo svanisce al calare delle tenebre e i fiori si chinano verso la tomba del santo per poi scomparire.

L'inzaffardatura (miscela in parti uguali di acqua, letame e terra) dove vengono immerse, prima dell'impianto, le radici nude dei fruttiferi, degli alberi, degli arbusti e dei rosai ha preso il nome di “unguento di san Fiacre”.

 

Nomi delle piante: ma quanti santi! - Ultima modifica: 2019-11-01T07:46:12+01:00 da Redazione GI