carie legno olivo
Carie del legno su olivo.
Gli alberi urbani spesso vengono abbattuti anche quando sembrano sani. Il fitopatologo spiega quando e come salvarli e perché è importante mantenerli.

Buona parte degli alberi urbani (verde pubblico) potrebbe essere salvata, anziché abbattuta, intervenendo con tecniche meccaniche e, per quanto possibile nel Terzo millennio, chimiche. È l’opinione di Aldo Zechini D’Aulerio, professore per oltre 40 anni di Patologia vegetale all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, e ora nella Consulta del Verde del Comune di Bologna.

«Sono convinto che tutte le piante vadano rispettate come esseri viventi – spiega Zechini D’Aulerio – e svolgano un’insostituibile funzione benefica nell’ecosistema. Per questo negli anni ho messo a punto alcune tecniche di protezione e cura degli alberi, metodi naturali per evitare il più possibile gli abbattimenti che invece vengono troppo spesso praticati dai Comuni. Inoltre, cerco di prevenire le malattie dei tronchi, anziché doverle curare dopo».

Quali sono i primi segnali di malattia su un albero?

Il primissimo è un ingiallimento fogliare in un periodo in cui non dovrebbe esserci, per esempio nella tarda primavera o anche alla ripresa vegetativa, che è un bruttissimo segno. A fine estate, invece, può essere semplicemente la conseguenza di un periodo prolungato molto caldo.

Un altro segno negativo è un disseccamento di alcune branche partendo da quelle più alte, quelle dove arriva meno linfa.

Quando si notano questi due sintomi, la pianta può avere una patologia fungina.

Cosa si fa in questo caso?

Immediatamente un check-up sulla struttura del tronco. Oggi ci sono tanti sistemi tecnologici, a partire dagli ultrasuoni e dalla tomografia, ma io utilizzo un metodo “antico” e ancora valido, la VTA (Visual Tree Assessment), l’osservazione visiva, al massimo aggiungendo un controllo con martellini a scalpellino. Si tratta di vedere se ci sono aree corticali compromesse, distinguibili perché cambiano in genere colore. Se la corteccia diventa rossastra, perché la lignina di colore bruno è stata distrutta, bisogna scavare in quel punto per controllare l’interno del tronco.

Quali possono essere le cause?

Le più frequenti patologie del legno sono due: le carie del legno e il cancro del legno.

Le prime sono dovute in genere a ferite, prodotte in precedenza, dove si sono insediate le Polyporaceae (funghi basidiomiceti), che si diffondono nel legno e lo distruggono in modo radiale. Sono le più pericolose perché se non si arriva in tempo con la cura, l’albero rischia di cadere. Il sintomo è dato dall’ingiallimento fogliare.

Il secondo è più circoscritto e deriva dall’asportazione di un ramo o da urti da parte delle automobili in fase di parcheggio, comunque da ferite nelle quali si insediano funghi che possono essere ancora Polyporaceae ma anche deuteromiceti. L’avanzamento è più lento, ma anch’esso colpisce il sistema vascolare. Il sintomo evidente è il disseccamento dei rami.

Infine ci possono essere anche i marciumi radicali, causati da oomiceti e difficilmente curabili perché minano proprio la stabilità dell’albero.

Tutti i funghi patogeni vengono favoriti dal cambiamento climatico: le estati troppo calde stressano le piante rendendole facile preda delle crittogame che amano il caldo umido. Senza dimenticare che sempre più spesso arrivano nuovi parassiti, con le varie importazioni da tutto il mondo.

Queste patologie si possono curare o bisogna sempre abbattere gli alberi colpiti?

Come prima cosa bisogna valutare la staticità dell’albero: se è già compromessa, cioè se la carie del legno ha invaso più del 60% del tronco soprattutto nella parte basale, non resta che l’abbattimento. Ma se non è così, io sono a favore dell’asportazione chirurgica, della dendrochirurgia. Si tagliano le branche con segni evidenti di malattia, anche in modo drastico, sia per eliminare tutte le parti infette, sia per ridurre il peso della chioma – resecando anche grandi rami – e della struttura in generale. Ovviamente serve un occhio esperto, e spesso anche un microscopio, per essere sicuri di aver rimosso tutte le porzioni infette: il legno nelle branche residue deve essere perfettamente compatto e bianco, cioè sano, non colonizzato dal micelio fungino che porta colorazioni scure.

Può anche capitare che, abbassando via via il taglio per reperire il legno sano, la struttura restante sia incompatibile con la fisiologia dell’albero, e quindi alla fine questo sia comunque da abbattere. Così come capita spesso che le Amministrazioni pubbliche preferiscano subito abbattere anziché curare, a differenza dei privati che hanno un approccio generalmente conservativo verso gli alberi del proprio giardino.

Ma se si tagliano grandi branche, come si protegge il taglio?

Finché è stato autorizzato, si pennellava il taglio con tiofanate metile, che però adesso è stato revocato dall’Ue. Ora si possono distribuire prodotti rameici citotropici, che hanno un’efficacia fungicida purtroppo inferiore, ma comunque servono a sterilizzare la ferita. Il taglio naturalmente deve essere ben rifilato, per non lasciare parti sfilacciate facilmente attaccabili.

Dopo qualche ora, necessaria a far assorbire il fungicida, si spalma il taglio con il mastice da innesti, utile per ferite da 20 cm di diametro in su. In questo modo la superficie tagliata viene impermeabilizzata impedendo alle spore fungine di penetrare, cosa che invece avverrebbe nel giro di 1-2 anni in assenza del mastice. Dopo 6 mesi bisogna controllare che si sia formato il cercine di cicatrizzazione.

Però oggi esistono correnti di arboricoltura che aborrono l’impiego del mastice…

Il mastice secondo me è indispensabile per evitare ulteriori infezioni fungine. Io ho testato l’impiego in diversi contesti, dai viali urbani ai giardini privati e, laddove ho potuto lasciare alberi con tagli non protetti come controllo, questi sono sempre morti per ulteriori infezioni nel giro di pochi anni, mentre quelli protetti dal mastice sono ancora vivi a distanza di parecchi anni o molti decenni.

Perché le PPAA normalmente rifiutano la dendrochirurgia?

Perché la ritengono una pratica obsoleta, in voga in passato e ora abbandonata. Ma soprattutto perché costa di più. È più rapido procedere con la motosega alla base, che tagliare le singole branche e poi prendere il pennello e il secchio col mastice e pennellare il taglio di ogni singolo ramo, uno per uno. Oltretutto in altezza ci vuole parecchio tempo, oltre ad attrezzature adeguate (es. cestello) e le Istituzioni non sono disposte a pagare una cifra molto più elevata. Per questo le decisioni della Consulta del Verde vengono sempre ignorate dal Comune di Bologna…

E quando l’albero presenta una cavità pericolosa?

La riempio con il “biocemento” in modo da evitare di abbattere l’albero, se non ha indicatori di instabilità. L’ho scoperto parecchi anni fa in Germania, dove veniva utilizzato comunemente ma, non trovandolo in Italia, l’ho sempre prodotto in proprio. Ed è appunto un’alternativa all’abbattimento della pianta.

Si effettua la slupatura scavando il legno con un’accetta o una sgorbia fino a lasciare solo i tessuti sani. Poi si prepara una miscela protettiva che sia elastica per evitare che d’inverno si contragga e d’estate si fessuri. Io mescolo cemento, acqua, fungicida rameico e vernice da barca (Flatting) che conferisce l’elasticità necessaria; nel caso di committenti particolarmente esigenti aggiungo anche una vernice marrone chiaro a base d’acqua per colorare l’impasto. Con questo riempio bene la cavità per sigillarla.

Nell’arco di 1-2 anni la pianta cicatrizza la ferita ed espelle il “biocemento”, che si sgretola da solo man mano, essendosi esaurita la funzione protettiva.

Ho parecchi esempi di grandi alberi di pregio, in giardini privati, che ho curato con potatura, disinfezione chimica, protezione con mastice o biocemento, e che ora sono di nuovo floridi e in buona salute a distanza di parecchi anni.

La potatura e successiva protezione del taglio può spingersi anche fino alla capitozzatura?

A mio avviso sì, nel caso in cui la parte basale dell'albero sia indenne e siano solo le branche alte a essere danneggiate: se l’albero ha il sistema radicale ancora efficiente e la parte basale funzionale, nel giro di un paio d’anni riproduce le branche come prima.

L’importante è avvalersi di un direttore lavori competente, che sappia individuare quali sono i rami da tagliare e in che punto, che coordini e superveda i potatori esperti, e che completi il taglio con le protezioni sopra descritte.

E nel caso delle Conifere si può tagliare?

Anche le Conifere possono essere potate, tenendo presente che nel punto di taglio non cresceranno nuovi rami. Nel tagliare una branca bisogna lasciare alcuni rametti laterali, che a loro volta diverranno branche con altri rametti secondari. Certo, nessuna Conifera può essere capitozzata perché non ricrescerà più nessuna punta, ma un alleggerimento calibrato, qualora necessario per motivi di squilibrio e staticità, può essere praticato su tutte le specie. Sui Pinus è più facile, un po’ meno su Abies, Picea e Cedrus, che hanno un portamento più compatto.

Per quanto riguarda invece i parassiti animali, dato che i regolamenti Ue e nazionali a cascata hanno vietato l’impiego di principi attivi di sintesi chimica, come si possono difendere le piante?

Nel verde pubblico si impiegano prodotti biologici, o estratti vegetali, o sostanze di base come il bicarbonato, o minerali come la zeolite cubana, che possono avere azione insetticida o più facilmente repellente.

A livello casalingo invece si può preparare una miscela a effetto repellente nei confronti degli insetti pungitori e succhiatori, come afidi, cocciniglie, metcalfa, larve defogliatrici, farfallina del geranio ecc. In 10 l d’acqua si lascia sciogliere un piccolo sapone di Marsiglia, poi si aggiunge il tabacco di un paio di pacchetti di sigarette e lo si lascia a macerare per un paio di giorni. Si filtra e si aggiungono 30 cc di alcool denaturato. Si agita bene e si spruzza sulle piante da proteggere oppure già attaccate dai parassiti. Poiché non è un insetticida, gli insetti si limitano ad allontanarsi (anche se, nei confronti delle cocciniglie cotonose e della metcalfa esercita una certa azione nociva perché il sapone ne scioglie le cere protettive). La miscela non è tossica per gli umani e gli animali domestici, e l’ho collaudata in anni di utilizzo positivo.

Ci sono anche prodotti naturali, reperibili senza patentino, ad azione fungicida?

Sì, esistono molte molecole oggi, che però hanno un difetto: sono quasi tutte sostanze che si distribuiscono a livello fogliare e che hanno scarsa permanenza, per es. bicarbonato di sodio, bicarbonato di potassio, zeolite. Sono efficaci, ma se piove vengono dilavati e bisogna ripetere il trattamento. Consiglio piuttosto gli oli, di timo o di lavanda, che hanno una maggior permanenza, ma si disattivano sotto raggi del sole molto forti. Ovviamente, essendo prodotti di contatto, non servono contro le tracheomicosi, ma la lotta chimica va evitata il più possibile, secondo me.

È vero che adesso le piante si ammalano più che un tempo?

In realtà si ammalano le piante che non sono resistenti al clima che cambia. E che non sono resistenti alle malattie, e soprattutto alle nuove malattie e parassiti che sono arrivati da poco in Italia. Penso fra i parassiti al Rynchophorus ferrugineus, punteruolo rosso delle palme, alla Xylella fastidiosa dell’olivo, ma anche al Coryneum cardinale, cancro corticale del cipresso. Oggi che il clima sta diventando sempre più caldo e umido, i funghi vengono indubbiamente favoriti, e in effetti c’è stato un incremento dei fenomeni e degli alberi colpiti. Per questo, in sede di progettazione, bisogna scegliere specie resilienti nei confronti del nuovo clima e il più possibile resistenti o tolleranti i patogeni fin qui presenti.

Come vede la sostituzione di alberi pluridecennali con i nuovi impianti?

In realtà l’albero di alto fusto per creare condizioni di miglioramento ambientale deve avere almeno 30-40 anni. Infatti, gli alberi hanno una funzione fondamentale nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico perché innanzitutto producono una grande quantità di ossigeno, circa 50 t di ossigeno al mese per una pianta di grande taglia. E sottraggono la stessa quantità di anidride carbonica, soprattutto nelle aree urbane. Poi con il processo di assorbimento dell’acqua dal terreno e di successiva evaporazione attraverso gli stomi, creano un microclima più fresco e umido. Più umido perché emettono vapore acqueo, più fresco perché il passaggio dell’acqua dalla forma liquida a quella aeriforme porta un abbassamento della temperatura, in quanto le molecole per vincere la coesione molecolare assorbono calore, quindi le foglie si raffrescano e l’aria circola. Di conseguenza, in un ambiente pubblico o privato, vicino ad aree abitate la presenza di alberi di alto fusto è fondamentale.

Dunque il ragionamento di molte Amministrazioni comunali pubbliche in tutt’Italia che preferisce abbattere per poi ripiantare ha poco senso. In primo luogo perché spesso le piante piccole non attecchiscono perché non vengono curate e durante l’estate si seccano. In seconda battuta perché, se anche attecchiscono, per dare un qualche effetto servono almeno 30 anni. Quindi, bisogna tenere il più possibile in vita e in buona salute gli alberi che già ci sono.

aldo.zechinidaulerio@unibo.it

Come gestire le malattie degli alberi in città - Ultima modifica: 2025-11-07T13:36:51+01:00 da elena.tibiletti@lupino07.it