A memoria d'uomo, il tartufo ha sempre rivestito la massima importanza per il nostro Appennino collinare, dato che le profumate palline fornivano un po' di sollievo alla precaria economia delle famiglie locali. Oggi del resto, si favoleggia di tartufai contemporanei che, con il ricavo della vendita del "diamante della terra", si sono costruiti un solido futuro...
Già allora infatti, la "caccia" al tartufo rappresentava un vero e proprio lavoro, anche perché, soprattutto per le classi povere, non esistevano grandi alternative. Fino alla seconda Guerra mondiale, la maggior parte delle famiglie dell'Appennino viveva lavorando a giornata nella mietitura e trebbiatura del frumento. Terminato il periodo di intenso lavoro agricolo, ecco che si apriva la stagione del tartufo, la cui cerca si praticava spesso a margine dei campi dove si era duramente sudato fino a poco prima.
Nell'immediato dopoguerra poi, alle prese con la ricostruzione del Paese, tutti, poveri e ricchi, si sono impegnati nella ricerca di "un posto al sole", con la differenza che i secondi, spesso, l'hanno raggiunto in modo non sempre ortodosso, mentre i primi, con gioia, l'hanno trovato... tra pioppi e querce a cercare tartufo!
Dispetti e delinquenza
Quelli erano tempi in cui l'antagonismo tra "tartufini" era ancora "sano", cioè basato sul silenzio totale o sul racconto errato della zona da battere, sul cambio della zona di ricerca se quella prescelta in prima battuta era già occupata, sulla distrazione del cane con cagnette in calore o bocconi prelibati e profumati, e su altri inganni e dispettucci che ora definiremmo innocui.
Oggi invece le famose "regole non scritte", a carattere morale, sono state dimenticate quasi del tutto, sulla spinta dei generali mutamenti della società, e i tartufai combattono tra di loro, per qualche centinaio di euro, senza esclusione di colpi veramente bassi, come il taglio delle gomme dell'automobile o l'esecrabile avvelenamento tra atroci sofferenze dei cani della concorrenza. Non più hobby, ma concreto business, per alcuni soggetti la ricerca del tartufo è stata snaturata, riducendosi a una lotta all'accaparramento. Il rispetto del territorio, l'amore per il bosco, la conoscenza dei segreti che la natura riserva sono stati dimenticati da molti, a favore della raccolta a ogni costo, in una spirale perversa che conduce al progressivo impoverimento e prosciugamento delle risorse.
E' compito di tutti, dai singoli "appassionati del bosco" fino alle Amministrazioni pubbliche, impegnarsi affinché questo circolo vizioso s'interrompa, nell'ottica della conservazione dell'ambiente e del territorio in rapporto a una libera e corretta fruizione per il maggior numero di soggetti nel tempo.
Il fedele amico: il cane
Definitivamente tramontata, con l'entrata in vigore della legge nazionale n. 752/85, la possibilità di ricercare il tartufo con l'ausilio di un maiale (o meglio, di una scrofa, maggiormente sensibile agli effluvi del tartufo), il migliore amico del tartufaio è divenuto il suo cane da tartufi, appositamente addestrato sfruttando l'intelligenza e le buoni doti olfattive di base che l'animale deve necessariamente possedere.
Un buon cane da tartufi deve avere taglia piccola o media, struttura robusta e tarchiata, pelo ispido e forte, robustezza e resistenza fisica. Si tratta di caratteristiche che agevolano l'animale nella cerca, perché gli consentono di penetrare facilmente in zone impervie tra sterpaglie e siepi spinose. Inoltre gli permettono di resistere alle condizioni climatiche sfavorevoli tipiche dei mesi adatti alla raccolta del tartufo, e alla durezza dell'attività di ricerca in generale. Ovviamente, non deve mancare un ottimo fiuto, meglio ancora se affinato attraverso generazioni di cani da tartufo: l'olfatto dev'essere acuto e fine, per poter scoprire rapidamente il punto esatto ove è localizzato il tartufo, solitamente posto a 5-50 cm di profondità.
Quanto al carattere, è importante che l'animale non sia timido o poco vivace, ma neppure esuberante al punto di non rispondere ai comandi: il cane deve infatti eseguire docilmente e attentamente gli ordini impartiti, anche per la sua stessa incolumità all'interno del bosco. Deve inoltre manifestare attitudine al gioco, fondamentale per l'addestramento, e prontezza di riflessi.
La razza è invece l'ultimo elemento da prendere in considerazione, ampiamente preceduta dalle caratteristiche morfologiche e caratteriali descritte. Di solito si utilizzano comunissimi meticci o soggetti nati da incroci tra cani da caccia (dal fiuto necessariamente buono) come Cocker, Springer, Spinone, Bracco italiano, Pointer, Setter, Griffone, Breton ecc., oltre al Lagotto, razza convertita alla cerca del tartufo. Anche un cane da caccia di razza pura può diventare idoneo alla cerca del tartufo, a patto di riuscire efficacemente a sviare il suo istinto e il suo fiuto dalla ricerca del selvatico.
Il lagotto, cane da tartufi
Dal 1991 esiste una razza canina appositamente selezionata per la ricerca del tartufo, il lagotto romagnolo, che si rifà a un'antica razza da acqua, citata già nel XVIII secolo da Linneo come "canis aquaticus già da tempo diffuso nel bacino del Mediterraneo". Fin dall'epoca Romana, il lagotto scorrazzava nella Pianura Padana orientale per la cerca e il riporto dall'acqua degli anatidi uccisi nelle battute di caccia. Da qui il nome di can lagot che in dialetto Comacchiese significa "cane da riporto dall'acqua". Dopo la bonifica, nella seconda metà dell'800, delle valli del Polesine, di Comacchio e della Romagna, il lagotto venne pazientemente convertito dall'uomo alla ricerca del tartufo, azzerandone l'istinto venatorio e rivolgendo le sue innate capacità olfattive verso il prezioso fungo. Dopo anni bui, durante i quali la selezione della razza fu poco corretta, dal 1970 in poi alcuni appassionati e amatori del lagotto si adoperarono per il recupero in purezza, stilando lo standard della razza nel 1990.
E' un cane leggero, con un pelo a tessitura lanosa, fitto e arricciato uniformemente, di colore marrone, roano, arancio o bianco. Ha un fiuto eccezionale, perché durante la cerca non viene distratto dal selvatico, ma annusa in continuazione il terreno con passione ed efficienza, senza allontanarsi troppo dal tartufaio. Per questi motivi viene definito nello standard come "l'unico vero specialista per la ricerca del tartufo". Alla bravura nella ricerca si aggiunge un'indole molto intelligente, facilmente addestrabile, sobria, docile e affettuosa, attaccatissima al padrone.
8 consigli per il tartufaio rispettoso delle leggi e dell'ambiente
- Ricerca il tartufo utilizzando il cane, come previsto dalla legge, il quale individua e segnala il punto esatto di sviluppo del tartufo.
- Impiega per lo scavo una vanghetta, della larghezza massima di 6 cm, con cui aprire una piccola buca per estrarre il tartufo con le mani.
- Nello scavo fa attenzione a non danneggiare le radici micorrizate.
- Raccolto il tartufo, riempie la buca con il terriccio smosso, per non disidratare le radici.
- Non raccoglie tartufi immaturi o primaticci, come il fiorone (tartufo bianco immaturo), per non alterare l'equilibrio ecologico.
- Rispetta il calendario di raccolta stabilito dalle singole Amministrazioni Regionali.
- Effettua la raccolta durante il giorno, poiché è vietata in notturna da un'ora dopo il tramonto a un'ora prima dell'alba.
- Nelle zone protette (parchi, riserve, oasi, zone di ripopolamento e cattura ecc.) e nelle aziende venatorie, svolge la ricerca attenendosi alle regole stabilite da Parchi e Riserve o dalle Amministrazioni Provinciali.