Cosa sarebbe il golfo di Napoli senza il mitico pino a ombrello, dalla chioma protesa a sfiorare (otticamente parlando) il Vesuvio? E che dire del pino di Pirandello, in quel di Agrigento, incenerito dal fuoco qualche tempo or sono dopo anni di onorata veglia del grande scrittore, sepolto a due passi dal mare? Certo, questi sono esempi di "alberi-paesaggio", cioè specie che ci aspettiamo di trovare, inseriti in una determinata cornice paesaggistica, perché lì siamo abituati a vederli, indipendentemente dal fatto che siano o meno originari della zona. Fanno parte di questa nutrita categoria, per esempio, il cipresso in Toscana, il pioppo nella Valle Padana, il peccio sull'Appennino, il castagno nelle zone medio-collinari, i pini silvestri e neri dell'arco alpino e, per l'appunto, i pini costieri, simbolo ispiratore per molti poeti, da Dante e Boccaccio a Byron e D'Annunzio.
Anche i pini costieri, come i loro fratelli alpini, tradiscono una lunga storia "artificiale", che risale addirittura all'epoca Romana, quando le coste più affascinanti vennero spogliate della loro solare vegetazione naturale, per essere ricoperte di ombrose pinete. Così, a Ravenna, Cervia, Viareggio, S. Rossore, Ostia, Agrigento, ecc., oggi troviamo un uniforme manto sempreverde di pini domestici (talvolta affiancati dagli autoctoni pinastri e dagli enigmatici pini d'Aleppo), al posto degli originari oleastri, lecci, lentischi, mirti, filliree, e così via. Per la verità, a guardarlo bene tanto uniforme non è: il pinastro "si pela" e si secca ogni qual volta viene investito da venti salsi troppo intensi o da prolungati abbassamenti della temperatura al di sotto dei 6 °C, e ancora peggio capita al pino domestico, che non sopporta né il sale né il freddo. E anche l'anomala "calura" invernale degli ultimi decenni sembra che abbia una qualche responsabilità nella sempre più frequente apparizione di chiazze, più o meno ampie, di colore rossastro-aranciato, segnale inequivocabile di morte della pianta o di parte di essa.
Se poi facciamo due passi all'interno della pineta, noteremo come spesso il cammino al di fuori degli appositi e battuti sentieri sia reso impossibile dall'avanzata inestricabile dei temibili rovi, abbracciati alla vitalba in un intreccio difficilmente arrestabile. Da buone piante ruderali, approfittano degli squarci di luce lasciati filtrare tra le fronde ormai rinsecchite, a testimoniare ancora una volta il cinico ma naturale (e quindi realistico) detto mors tua, vita mea. E del resto, gli spazi in una pineta sono ben delimitati: gli arbusti caducifogli non resistono nell'ombra delle conifere, né riescono a perforare la coltre di aghi indecomposti (ottimo rifugio diurno per le zanzare) fino a insinuare le radichette nella sabbia. Già, perché a rendere inospitale una pineta in riva al mare, oltre alla salsedine, ci pensa anche il terreno, sabbioso, sciolto, a pH neutro-acidofilo, e con possibilità di raccogliere acqua salmastra in falda. Insomma, quello che si suol dire "un ambiente non per tutti"!
Il pino marittimo o pinastro
L'unico pino sicuramente italiano, spontaneo lungo il versante tirrenico, è il pinastro o pino marittimo (P. pinaster). Tuttavia, è il caso di sottolineare che mai come in questo caso il nome comune è male appropriato, visto che non ama affatto le collocazioni in riva al mare, preferendo invece le stazioni pedecollinari e di bassa montagna. Ma, avendo la caratteristica di resistere discretamente alla salsedine e di crescere rapidamente se si trova bene, oggi lo incontriamo di frequente anche in riva al mare, come barriera frangivento per il retroterra, o sulle montagne del Centro, come specie pioniera e rimboschente su terreni reduci dagli incendi. Infatti, i suoi semi vengono stimolati alla germinazione proprio dal calore, e la pianta non ha vincoli di terreno, poiché si adatta a suoli poveri, calcarei, silicei, serpentinici, acidi o sabbiosi. I suoi unici limiti vanno ricercati nel freddo, e nell'ombra, da specie eliofila per eccellenza: i semi amano il calore tanto quanto la luminosità e, se cadono in una pineta già sviluppata, non troveranno luce e caldo sufficienti per germinare. Ciò significa che le pinete di pino marittimo adulte e fitte, oltre a essere prive di sottobosco (tendenzialmente costituito da specie della macchia mediterranea), non sempre riescono a rinnovarsi naturalmente.
E' una pianta alta (fino a 30-40 m) e slanciata, dalla chioma dapprima conica e poi cilindrica e irregolare a maturità, quando non scolpita a bandiera dai terribili venti marini. Gli aghi, portati a due a due, sono rigidi, coriacei e pungenti, lunghi fino a 20 cm (un record), di colore giallastro-verde-verde scuro, che contrasta con il bruno-rossastro-violaceo della corteccia, fessurata in placche.
Il pino da pinoli o pino domestico
Sull'italicità del pino domestico o pino da pinoli (P. pinea) non si può giurare. Pianta spontanea nel bacino del Mediterraneo, venne ulteriormente diffusa dai Romani, ghiotti dei suoi semi, i pinoli appunto. Oggi infatti ci rimangono le pinete già citate e molte altre meno famose, il cui impianto risale a circa due millenni fa. Data la sua sensibilità al gelo, si è adattato a vivere in riva al mare, su terreni sciolti e sabbiosi, tendenzialmente acidi, purché caldi e inondati dalla luce, sui quali la flora arbustiva ed erbacea ha modo di svilupparsi.
Dall'alto dei suoi 30 m d'altezza, il pino domestico si distingue per l'inconfondibile chioma compatta e appiattita, sorretta da rami disposti a raggiera, a mo' di ombrello in cima a un tronco alto e spoglio, dalla corteccia rosso-marrone chiaro spaccata in larghe placche. I lunghi (10-18 cm) aghi sono rigidi con punte aguzze, ma risparmiano la mano incauta. I primi frutti, grosse pigne panciute, si formano dopo il quindicesimo anno d'età, ma per gustare i pinoli bisogna attendere altri tre anni, il tempo loro necessario a maturare...
Da aprile a ottobre, l'incontro con una pigna già caduta è sempre piacevole (un po' meno se, con tutto il suo peso, ci piomba in testa!) e, appiccicosa resina a parte, è divertente scovare uno per uno i neri e polverosi scrigni che racchiudono il... tesoro.
Il pino d'Aleppo
Il pino d'Aleppo (P. halepensis) fornisce qualche garanzia in più di italicità, se non altro per le maestose pinete del Gargano, sicuramente indigene. Fra i tre pini mediterranei, vince la gara di resistenza all'insolazione e alla siccità, tant'è vero che lo si nota più frequentemente nel Meridione d'Italia, dove si adatta a qualunque terreno purché privo di ristagni d'acqua. Da campione qual è, può vegetare anche in luoghi decisamente inospitali, come le rocce a picco sul mare, dove sfida la forza di gravità e le vertigini. La sua frugalità e nel contempo rusticità l'hanno costretto in rimboschimenti su terreni litorali sterili e aridi, dove migliora il terreno per l'ingresso naturale delle specie di macchia.
Se invece si trattasse di una sfilata di moda, vincerebbe anche il premio per l'eleganza, con il suo tronco flessuoso, ben ramificato com'è e sormontato da una chioma leggera, di forma conica od ombrelliforme. Alto fino a 25 m, ha una corteccia grigiastra screpolata dalla quale si estrae il tannino, mentre incisioni più profonde regalano la preziosa resina. Gli aghi, lunghi 6-12 cm, sono sottili e flessibili, tinteggiati in verde chiaro o giallo-verde.
Il pino loricato
Al Sud, salendo in altitudine verso il crinale appenninico, troviamo un unico pino autoctono, il pino loricato (P. leucodermis), così chiamato per la caratteristica corteccia corazzata (lorìca in latino) da placche esagonali o trapezoidali.
Abbondante nei Paesi Balcanici, da noi si è salvato solo sull'Appennino calcareo calabro-lucano, dove sale fino a ben 2.200 m s.l.m. (contro i 5-600 m dei suoi fratelli mediterranei). Anche se i "soliti ignoti" tentano sistematicamente di decimarli con il fuoco, i pini loricati sopravvivono ancora in parecchi venerandi esemplari che hanno sfidato il freddo e i venti per giungere alle soglie del secondo millennio di vita. La loro chioma rada, leggera, color verde brillante, porta aghi in fascetti di due, pungenti e abbastanza lunghi (5-9 cm).
I pinoli
E' complesso cercare di aprire gli scrigni dei pinoli senza maciullarne il contenuto o, peggio, senza frantumarsi un dito! Si consiglia un martelletto leggero o un batticarne, da adoperare entrambi con mano leggerissima (eventualmente con più colpi) per spaccare il guscio senza incrinare il pinolo. La facilità con cui si verificano lesioni nel piccolo seme giustifica fra l'altro l'elevato prezzo alla vendita, poiché neppure l'industria, con le sue sofisticate attrezzature, è immune dal problema. Una volta liberato dell'involucro ligneo, il seme va spogliato, strofinandolo tra le dita, della tunica pergamenacea marroncina e poi, se è perfettamente integro, si conserva per un paio di mesi in frigorifero, in un barattolo ben chiuso. Se invece i pinoli presentano lesioni, vanno consumati entro una settimana al massimo, prima che irrancidiscano.
"A crudo", i pinoli sanno leggermente di trementina (tipica del pino, da buona resinosa), sentore che scompare con il calore lasciando un delicato gusto di noce. Questi piccoli semi possiedono un elevato potere nutrizionale, derivante principalmente dall'abbondanza in olio (48%), ma anche da minerali importanti come calcio (339 mg/hg), fosforo (627 mg/hg), sodio (182 mg/hg), potassio (431 mg/hg) e magnesio (100 mg/hg). Il rovescio della medaglia è la marginalità del consumo che abitualmente si fa di questo minuscolo alimento, principalmente impiegato per il pesto alla genovese e per alcuni dolci, generalmente tipici del periodo natalizio.
Così fu creato il pino
Dice una leggenda tra le tante nate attorno al pino, simbolo fallico per eccellenza assieme ad altre conifere, che la casta ninfa Piti doveva scegliere fra due spasimanti: Pan, dio dei boschi e della sessualità, e Borea, dio del vento del nord. Piti preferì Pan, scatenando le ire di Borea, che soffiò così forte da farla cadere da una rupe. Pan allora, per salvarla da morte certa, la tramutò all'istante in un pino (d'Aleppo?), abbarbicato sulla roccia. Ancora oggi, quando in autunno soffia Borea, Piti piange, lasciando cadere gocce di resina trasparente dalle pigne.