La risposta è semplice: perché le piante hanno bisogno di luce per vivere. In particolare, l’energia luminosa, catturata da particolari recettori sulla lamina fogliare, permette di effettuare la fotosintesi clorofilliana, complessa operazione che, a partire da elementi semplici come i minerali, ricava zuccheri nutrienti ed energia spendibile per l’accrescimento. E senza la fotosintesi, la pianta muore, incapace di procurarsi altrimenti l’energia necessaria.
Già, ma come fanno a inclinarsi verso la sorgente luminosa, in modo da conseguire la massima quantità di luce? L’incurvamento appare già nelle piantine appena germogliate, che fanno tenerezza nel piegare il millimetrico fusticino, quasi sdraiandosi sulla sabbia della seminiera. E prosegue per esempio nelle piante d’appartamento, che in genere ricevono luce da una sola finestra, piegandosi disperatamente verso di essa, specialmente d’inverno, quando la luce naturale è molto ridotta. E una volta che la dieffenbachia o il croton si sono inclinati, non c’è verso di farli ritornare diritti, se non girando la pianta dal lato opposto e aspettando che, tendendo verso la luce dalla parte convessa, l’esemplare si raddrizzi almeno un po’ (trucchetto che però non sempre funziona, per esempio con la zamioculcas che rimane anarchicamente piegata nella posizione iniziale).
La curvatura viene determinata da un ormone, l’auxina (dal latino augesco, cresco), che presiede alla crescita distendendo i tessuti e che viene inattivata o distrutta dalla luce intensa. Se l’illuminazione proviene da più sorgenti dislocate in punti diversi, il fitormone si distribuisce uniformemente nei tessuti; se invece la luce arriva da un solo lato, l’auxina va a pervadere i tessuti non battuti dalla luce, abbandonando la parte illuminata. Così la porzione di fusto lontana dalla finestra assume una forma convessa perché le sue cellule vengono stimolate a crescere dalla presenza dell’auxina, e viceversa nella parte opposta che risulterà concava e più corta, con conseguente piegamento dell’asse della pianta verso la luce.
Questo movimento del vegetale prende il nome di “fototropismo” (dal greco fos, luce e trepo, volgo) ed è la risposta naturale, mediante accrescimento per distensione delle cellule, a uno stimolo di luce indirizzata. È un fenomeno descritto inizialmente dallo scienziato Charles Darwin, nell’Ottocento. a proposito della germinazione delle Graminacee.
Sul fototropismo si innestano poi i movimenti continui e ripetuti in cerca della luce, chiamati “fotonastie”, come nel caso del girasole, il cui volgersi verso il sole per tutto il giorno tutti i giorni per l’intera fase giovanile viene definito “eliotropismo” (elios in greco significa sole). Anche in questo caso è l’auxina la responsabile della torsione, che avviene a livello del peduncolo che regge il grosso capolino: all’alba l’infiorescenza è rivolta verso est, poi inizia a ruotare per trovarsi, al tramonto, rivolta verso ovest; durante la notte il peduncolo si torce in senso opposto. Questa caratteristica cessa quando il fiore giunge a maturazione e rimane sempre rivolto verso nord-nord-est.
La fotonastia quindi è il movimento di una pianta determinato da uno stimolo luminoso, in particolare da variazioni, in senso sia positivo sia negativo, della luminosità ambientale. Tali movimenti, che si verificano di norma periodicamente due volte al giorno, si verificano anche a carico delle foglie, quando si orientano in modo da catturare o rifuggire la maggior radiazione solare battente (accade per esempio nei trifogli e nelle oxalis), e dei pezzi dell’involucro di moltissimi fiori, che si aprono di mattina e si chiudono di sera (un esempio fra tutti: la gazania).