Non è solo un curioso ospite dell’oliveto, ma si rivela un pericolo potenzialmente mortale per l’uomo che incautamente volesse assaggiarlo, e un agente di cattivi presagi anche per le piante che involontariamente fungono da suoi anfitrioni.
Il misterioso (non)-“invitato” viene comunemente chiamato “fungo dell’olivo” – e Omphalotus olearius, a ribadire il concetto, è il suo nome scientifico – proprio per la sua ampia predilezione e diffusione su questo tipo di coltura, sebbene non in esclusiva, visto che occasionalmente (in mancanza dell’olivo) alligna anche su querce e lecci, castagno, faggio, robinia, cisto e lentisco.
Saprofita, pericoloso
Si tratta infatti di un fungo lignicolo, il cui micelio si insinua nel legno, a volte accontentandosi di minuscoli frammenti interrati, altre scegliendo alberi morti, ma molto più spesso esigendo di penetrare all’interno di tessuti lignicoli vivi, cioè sulle radici interrate o al colletto degli alberi ancora viventi. È dunque un saprofita, che si nutre di sostanza organica ancora viva ma prossima alla morte (e portandola esso stesso alla morte), degradandola in elementi chimici importantissimi dal punto di vista nutrizionale per le piante superiori.
Dal punto di vista ecologico, è un organismo utilissimo, perché attacca solo piante debilitate, danneggiate o malate (e quindi predisposte all'attacco del fungo) e che devono naturalmente essere eliminate dall'ambiente di crescita. L’Omphalotus, allora, non fa altro che accelerare la scomparsa della pianta ospite e può, in un certo senso, essere considerato un indispensabile "selettore naturale", quindi un organismo benefico.
Dal punto di vista agronomico, invece, va considerato come un parassita dannoso, perché l’azione del micelio porta nell’arco di pochi anni (anche solo un paio) a morte l’olivo ospitante, nonché come una minaccia per le piante circostanti, poiché le spore rilasciate dai carpofori (la parte visibile del fungo, cioè il corpo fruttifero) a maturazione si diffondono a macchia d’olio nell’oliveto, aggredendo qualunque altro albero sia predisposto all’attacco, cioè indebolito al punto da accogliere le spore vaganti.
Allarme immediato
La presenza anche di un solo esemplare di fungo dell’olivo – che può apparire da giugno a novembre – deve perciò mettere in allarme l’olivicoltore e far attivare una serie di contromisure, la prima delle quali consiste nell’impedire (raccogliendo subito il fungo) la maturazione del corpo fruttifero e il rilascio delle spore, a cui deve seguire immediatamente un vero e proprio intervento di slupatura.
L’Omphalotusva infatti trattato alla stregua di qualunque altra carie del legno (anch’essa supportata da funghi patogeni, ancorché inferiori), con rimozione di tutto il legno infestato dal micelio (in genere visibile perché di colore bianco) in profondità rispetto a quanto accertabile alla vista, e successiva disinfezione con prodotti rameici, da ripetere per tre volte a distanza di 15 giorni tra un trattamento e l’altro, terminando con la stesura di un mastice protettivo o della pasta per tronchi per isolare completamente la ferita. Parallelamente è necessario tenere sotto controllo tutti gli alberi in un raggio di circa 20 m rispetto a quello già attaccato, verificando che non vi siano ulteriori “fioriture” fungine.
Va da sé che la pianta colpita, se veramente in cattive condizioni sanitarie o scarsamente produttiva, può anche essere estirpata, avendo l’accortezza di bruciare la parte lignea interessata dal fungo, rimuovere ed eliminare la gran parte della terra d’espianto, disinfettare la buca con sali rameici, lasciarla aperta per almeno tre mesi e non piantandovi altri alberi o arbusti per almeno un semestre.
Velenoso, anche mortale
Ma il fungo dell’olivo non si accontenta di portare a morte, seppur lenta, i suoi consimili vegetali: se ingerito dall’uomo, soprattutto in ingente quantità, può spedire a miglior vita in poche ore! Trae facilmente in inganno per l’aspetto grazioso, il colore rosso aranciato assai gradevole e l’abbondanza della propria evidenza, grossi cespi di funghi addossati gli uni agli altri, che portano a pregustare un pranzetto eccellente.
I meno esperti possono perfino confonderlo con il Cantharellus cibarius, gallinaccio o galletto o finferlo, dal quale però si distingue per l’habitat (il finferlo predilige boschi umidi e muschiosi, di latifoglie o conifere che siano), la cespitosità (i galletti nascono singolarmente), la collocazione su legno, anche microscopico, anche interrato (i gallinacci sono micorrizici, cioè nascono direttamente su terreno intrecciando il micelio con le radicole degli alberi) e naturalmente l’aspetto: pur essendo entrambi i carpofori di piccola taglia e di colore aranciato, il galletto è più chiaro, spesso decisamente giallo, e non ha vere e proprie lamelle, bensì pieghe o creste (pseudolamelle), cioè una sorta di “rigatura” in rilievo. Come se non bastasse, il fungo dell’olivo a volte macchia le mani di arancione al tocco…
Chi imprudentemente se ne dovesse cibare va sicuramente incontro a un’intossicazione, a causa di tossine dalla chimica ancora sconosciuta, che hanno effetti immediati e irritanti sull'apparato gastroenterico, determinando alterazioni della flora intestinale e attivando i centri del vomito, che è il primo sintomo a comparire, 3-4 ore dopo il pasto, seguito in rapida successione da diarrea, dolori addominali e crampi muscolari. L'entità dei sintomi è direttamente proporzionale alla quantità di fungo ingerito: se è scarsa (poche decine di grammi) regrediscono spontaneamente – ma dolorosamente – entro le 48-72 ore successive; ma nel caso di un risotto seguito da un contorno (più di un etto in totale) è indispensabile un tempestivo ricovero in ospedale per bloccare la debilitazione che ne deriva e che può portare a morte, soprattutto i soggetti più vulnerabili (debilitati, bambini, anziani ecc.).
La scheda botanica
- Omphalotus olearius (De Cand.: Fr.) Fayod appartiene all’ordine Boletales, famiglia Hygrophoropsidiaceae. Fra i sinonimi obsoleti si annoverano Agaricus olearius DC., Clitocybe olearia (DC.) Maire, Pleurotus olearius (DC.) Gillet. In Francia viene chiamato Clitocybe de l’Olivier, in Gran Bretagna Jack o'Lantern Mushroom in riferimento alla bioluminescenza (vedi oltre). Etimologicamente, il binomio scientifico viene dal greco omfalòs = ombelico, per la depressione al centro del cappello, e dal latino olearius = attinente all'olio, all'olivo, per l’habitat di crescita.
- Il fungo presenta un cappello di 5-12 cm, poco carnoso, elastico, presto depresso o imbutiforme; cuticola fibrillosa, lucida, di colore giallo-arancione, arancio-rossastra o rosso brunastro; margine a lungo involuto, poi disteso e ondulato, spesso con fessure radiali; lamelle fitte e sottili, molto decorrenti, da giallo oro a giallo zafferano, giallo arancio, con lamellule. Il gambo misura 5-14 x 1-1,5 cm ed è cilindrico e slanciato, eccentrico e sinuoso, attenuato alla base, fibrillato, da giallo a bruno, rosso-brunastro. Non è presente anello.
- La carne è elastica, tenace e fibrosa, color giallo zafferano; con odore leggero e non caratteristico, e sapore insignificante, dolciastro e astringente.
- Le spore sono color crema in massa, lisce e subsferiche, non amiloidi, 4,5-7 x 4,5-6,5 µm.
- Cresce nei boschi termofili del Centro e Sud Italia, isole comprese, ed è cespitoso alla base di vecchi alberi o su ceppaie di latifoglie, dall'estate all'autunno.
Nella notte s’illumina
- Omphalotus olearius, insieme con Gerronema viridilucens e il genere Mycena, è tra gli organismi fungini a manifestare il fenomeno della bioluminescenza, ossia la capacità di emettere luce grazie alla presenza di enzimi che, a contatto con ossigeno e a una determinata temperatura, reagiscono chimicamente sviluppando onde luminose. Nei funghi sono le lamelle i fotofori, cioè le parti emettitrici di luce perché dotate di questi enzimi: il fungo dell’olivo (appunto chiamato anche Jack o’Lantern Mushroom nei Paesi anglosassoni) è visibile anche al buio!
- Nel 2010 un gruppo di micologi della San Francisco State University (Usa) ha scoperto sette nuove specie di funghi luminescenti nelle foreste in Brasile, Belize, Repubblica Dominicana, Giamaica e Porto Rico. Appartengono al genere Mycena, sono state battezzate con nomi inequivocabili, come M. luxaeterna e M. lux perpetua, e sono “sempre accese”, 24 ore su 24. Attualmente i funghi bioluminescenti nel mondo sono 71.
- Solo in Giappone ammontano a 10 le specie bioluminescenti e il fenomeno è tale da allestire perfino visite guidate nella foresta dell'isola di Masameyama – nella regione Ugui in Wakayama – per assistere allo spettacolo tra la fine di maggio e quella di luglio. Sono inoltre presenti anche nella zona costiera a sud della penisola di Kii in Kyushu e in altre zone del Paese.
- A livello biochimico il fenomeno si conosce a partire dal 1885, quando un entomologo francese, studiando la chimica delle sostanze che era riuscito a isolare in alcune specie di lucciole e molluschi, scoprì un enzima, da lui battezzato luciferasi. La luciferasi “attacca” una molecola proteica, la luciferina e la trasformazione provoca l'emissione di luce.