Il carciofo lo consumiamo come delizioso ortaggio da novembre ad aprile: i più golosi vanno pazzi per i morbidi e delicati “fondi”, mentre chi se ne intende lo mangia “sfogliandolo”, cioè staccando a una a una le “foglie”. Ma siamo sicuri che siano effettivamente foglie? Anche perché, coltivandolo o acquistandolo con il gambo, è possibile notare che le foglie della pianta sono ben diverse, grandi, con margine ondulato, molli e dotate di minute spine…
Le "foglie" del carciofo
Chiariamo il mistero: le “foglie” commestibili, munite o meno di spina all’apice, non sono altro che brattee (cioè, botanicamente, foglie modificate), di colore verde o violetto, che avvolgono il grosso “fiore”. Anche qui, una precisazione: dato che il carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus) appartiene alla famiglia delle Composite, come tutti i suoi membri porta infiorescenze composte da due tipi di fiori, i cosiddetti “petali” e quelli del disco centrale.
Le brattee sono infisse sul ricettacolo fiorale (il delizioso “fondo”), sul quale può essere già iniziata – malauguratamente per i commensali – la formazione dei “petali”, che alla vista e al palato appare come la porzione stopposa, detta “barba” o “fieno”, da eliminare con il coltello per non rovinarsi l’appetito. Quando ciò accade, significa che il carciofo è già troppo maturo: se fosse rimasto sulla pianta, sarebbe sbocciato in una bellissima infiorescenza di colore azzurro-violetto. Quindi è fondamentale per i buongustai che il carciofo, inteso come ortaggio, venga colto (e consumato) molto prima della maturazione.
Com'è nata la coltivazione del carciofo
Il carciofo coltivato è stato selezionato a partire dal cardo selvatico (Cynara cardunculus) apposta per sviluppare un involucro fiorale molto grande, quasi del tutto commestibile. Furono già gli antichi Romani, in Sicilia e in Etruria, a sperimentare anche una varietà senza spine: non si fecero ingannare dall’aspetto minaccioso, che ha reso l’ortaggio l'emblema della difesa di se stessi contro l'ambiente esterno, oltre che il simbolo della severità e dell'austerità. Una natura double-face, terribile fuori e dolcissima dentro, benissimo descritta dal grande poeta Pablo Neruda nella famosa Ode al carciofo (vedi dopo).
Più pragmaticamente, nel mondo c’è chi promuove le proprie coltivazioni (tenendo presente però che l’Italia è la prima per produzione) addirittura con un imponente festival: è la cittadina di Castroville, in California (Usa), dove ogni anno si tiene l’Artichoke Festival, all’interno del quale si elegge l’Artichoke Queen (Regina del carciofo). Una curiosità: sapete chi vinse la prima edizione, nel 1949? Una giovane esordiente, di cui poi abbiamo molto sentito parlare: Marilyn Monroe!
"Ode al carciofo" di Pablo Neruda
Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero, ispida edificò una piccola cupola, si mantenne all’asciutto sotto le sue squame, vicino a lui i vegetali impazziti si arricciarono, divennero viticci, infiorescenze commoventi rizomi; sotterranea dormì la carota dai baffi rossi, la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino, la verza si mise a provar gonne, l’origano a profumare il mondo, e il dolce carciofo lì nell’orto vestito da guerriero, brunito come bomba a mano, orgoglioso, e un bel giorno, a ranghi serrati, in grandi canestri di vimini, marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno: la milizia. Nei filari mai fu così marziale come al mercato, gli uomini in mezzo ai legumi coi bianchi spolverini erano i generali dei carciofi, file compatte, voci di comando e la detonazione di una cassetta che cade, ma allora arriva Maria col suo paniere, sceglie un carciofo, non lo teme, lo esamina, l’osserva contro luce come se fosse un uovo, lo compra, lo confonde nella sua borsa con un paio di scarpe, con un cavolo e una bottiglia di aceto finché, entrando in cucina, lo tuffa nella pentola. Così finisce in pace la carriera del vegetale armato che si chiama carciofo, poi squama per squama spogliamo la delizia e mangiamo la pacifica pasta del suo cuore verde.