Le azalee in giardino proprio non ne vogliono sapere di vivere più di un anno, così come le camelie e i rododendri? I peschi prima stentano e sbiadiscono le foglie e poi, entro 3 anni, muoiono? Lavanda, salvia e rosmarino, già diventati bei cespugli, all’improvviso a metà primavera si seccano tutte d’un colpo irrimediabilmente? Le cause possono ovviamente essere infinite, legate al caldo e al freddo, alla troppa o poca acqua, al sole o all’ombra ecc.
Ma raramente si pensa che la causa sia “alla radice”, cioè il terreno del giardino… Eppure è semplice: azalee, camelie e rododendri sono piante acidofile, e non vivranno mai su un terreno basico o calcareo; i peschi invece non sopportano i terreni silicei o argillosi; le aromatiche legnose, di origine mediterranea, sono sensibilissime ai ristagni idrici dei suoli pesanti e asfittici…
Il terreno im…perfetto
Diciamolo subito: il suolo perfetto, di medio impasto, fertile ma non troppo ricco, ben strutturato con una piccola percentuale di scheletro (granelli di ghiaino o simili) ma senza sassi, ben drenato ma non sciolto, con pH neutro, abbondante in minerali e humus ecc., è rarissimo. Anche a volerlo “costruire a tavolino”, sbancando il terreno per 50 cm e sostituendolo con una buona terra addizionata di elementi benefici, nell’arco di una decina d’anni al massimo i naturali eventi atmosferici provocheranno un dilavamento e un rimescolamento tale per cui la terra sottostante, imperfetta, avrà il sopravvento.
Ciò non significa gettare la spugna e rinunciare a ogni tipo di miglioramento, che è sempre possibile, bensì accettare la natura del proprio terreno e adeguarvi le piante che si va a mettere a dimora. In poche parole: è inutile incaponirsi a voler coltivare acidofile su una terra calcarea, così come le aromatiche su terreni umidi, meglio cambiare piante scegliendo quelle adatte alla terra calcarea o mal drenata.
La terra reale
Non esistendo, o quasi, il terreno perfetto, ne discende che nel 99% dei casi il substrato avrà precise connotazioni che lo rendono adatto a determinate categorie di piante, e inadatto ad altre. In alcuni casi questa selezione, e ancora prima la tipologia di terreno, saltano subito all’occhio: è il caso di un terreno asfittico perché umido e mal drenato, oppure di uno sassoso o ghiaioso, situazioni appurabili da chiunque solo guardandole.
In altri casi, invece, il terreno non mostra anomalie visibili, ma certe piante stentano o muoiono: è probabile che si tratti di un problema di pH (ossia di acidità o basicità) o di carenza di un determinato minerale, o di mancanza di humus che, oltre a cedere nutrimento, rende più soffice il percorso delle radici, o di eccesso di sabbia che fa scivolare via in profondità l’acqua senza che le radici possano assorbirla, e via discorrendo.
Tuttavia, anche quando non si verificano morie di piante e, anzi, i vegetali crescono piuttosto bene, bisognerebbe sapere com’è fatto il terreno, soprattutto se si desidera destinarne una parte a categorie particolari di piante come le orticole o i fruttiferi, che hanno esigenze diverse rispetto a cespugli da fiore e annuali fiorite…
Com’è fatto il terreno
Un terreno si compone di fattori fisici ed elementi e parametri chimici. I fattori fisici comprendono la tessitura, la struttura, la permeabilità e la capacità idrica e aerifera, tutti che si riflettono sulla possibilità da parte delle piante di assorbire l'acqua e le sostanze nutritive.
La tessitura è la granulometria del terreno, cioè le dimensioni delle particelle solide che compongono la terra. Queste si classificano in frammenti e ciottoli (25-10 cm), ghiaie (10-5 cm), ghiaie sottili (50-2 mm), sabbia (2-0,02 mm), limo (0,02-0,002 mm), argilla (<0,002 mm).
La struttura è il rapporto tra spazi liberi e spazi occupati dalle particelle del terreno, e incide sulla permeabilità del suolo all'acqua e all'aria. I terreni a struttura compatta (cioè dove le particelle si aggregano), molto argillosi e poco permeabili impediscono alla pioggia di penetrare, rendendola indisponibile per le piante. Al contrario i terreni molto porosi, fatti di sabbia o ghiaia fine, permettono un ampio ingresso dell’acqua che però scorre velocemente verso il basso attraverso gli spazi liberi raggiungendo subito la falda acquifera in profondità, dove solo le radici più lunghe arrivano a pescare (es. quelle di molti alberi). Infine ci sono i suoli mediamente porosi (o mediamente sciolti) che consentono uno scorrimento capillare dell'acqua, che scende lentamente, rimanendo per lungo tempo disponibile per le piante: si dice che hanno una buona capacità idrica.
I suoli molto porosi (che formano grossi blocchi di particelle che lasciano spazi liberi) possiedono una capacità aerifera (cioè la capacità dell’aria di penetrare fra le particelle) maggiore rispetto ai suoli compatti o inondati. Se la capacità aerifera è scarsa, possono sopravvivere solo piante resistenti a un grado più o meno accentuato di asfissia radicale, e viceversa.
Gli elementi chimici sono i minerali che comunemente si rinvengono nella terra: azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio, ferro, zolfo e tutti gli altri elementi minori (microelementi). Ogni terreno li ha in dotazione in quantità diversa, ma può anche essere quasi privo di uno o più elementi, che vanno perciò reintegrati artificialmente. In altri casi un elemento (es. ferro o magnesio) può essere sì presente, ma indisponibile per le radici per la presenza di qualcosa che ne ostacola l’assorbimento (es. un eccesso di calcio). Capita anche che un suolo sia carente degli elementi essenziali, ma ricco di humus, ossia di sostanza organica che lentamente si scinde nei singoli elementi (una specie di “assegno postdatato”), che diverranno presenti e disponibili nell’arco di pochi mesi.
Infine, tra i parametri chimici il più importante è senza dubbio il pH.
Il pH, questo sconosciuto
Questa misteriosa sigla esprime la misura dell’acidità o della basicità di un terreno. Si tratta appunto di un parametro chimico, variabile da 0 a 14, pari a 7 nel caso di reazione perfettamente neutra, minore di 7 per reazioni acide, maggiore di 7 per reazioni basiche o alcaline. È importante conoscere la misura del pH del proprio terreno in quanto molte piante possiedono un adattamento a un ambiente acido o basico. Ad esempio l’erica vive solo su terreno acido, mentre il timo si adatta di più a un substrato alcalino.
La misurazione del pH può essere fatta in casa, a livello empirico e con un discreto grado di approssimazione, utilizzando le apposite cartine “tipo tornasole” da immergere in una soluzione acqua-suolo: il colore assunto dalla cartina dà l’idea del grado di acidità/basicità del terreno.
Sempre a livello empirico, un tecnico come un perito agrario o un agronomo può valutare l’effervescenza di un terreno, cioè il suo contenuto in carbonati e quindi la sua tendenza alla basicità, bagnando un campioncino di terra in un piccolo recipiente con poche gocce di acido cloridrico diluito. Sconsiglio però questo test in modalità fai-da-te, sia perché può rivelarsi molto pericoloso maneggiare sostanze acide, sia perché serve un esperto per interpretare il risultato del test.
Le analisi di laboratorio, basate sull’utilizzo di “pHmetri”, strumenti con apposito elettrodo da immergere in una soluzionedi acqua e terreno, sono le più precise, indispensabili quando per esempio si desidera impiantare un frutteto con più di 10 alberi di specie diverse: l’investimento in tempo, denaro e aspettativa del risultato (il raccolto!) è tale da giustificare anche la spesa (peraltro non eccessiva) delle analisi di laboratorio. Fra l’altro, oggi si trovano “pHmetri” in vendita – nei consorzi agrari oppure online – anche per uso privato (amatoriale), con un buon grado di validità strumentale.
A parte gli esami di laboratorio e le prove di campo non esistono altri metodi certi per la determinazione del pH. Si può però avere una discreta idea della tendenza acida o basica del terreno partendo dalla sua classificazione e tipologia: terreni torbosi saranno acidi, mentre quelli calcarei saranno basici, per esempio. Per conoscere il tipo di terreno esistono carte apposite (dette “carte pedologiche”) depositate in Regione negli uffici del Servizio cartografico e in parte disponibili per il pubblico. Dall’analisi di una carta di classificazione dei suoli, un tecnico esperto può capire a che tipologia appartiene e quindi probabilmente risalire a grandi linee al suo pH.
L’analisi empirica del terreno…
Oltre alle analisi empiriche sul pH appena elencate, e all’osservazione del ristagno idrico (terreno asfittico) o dello scheletro grossolano (presenza di ciottoli e ghiaie), è possibile trarre qualche altra conclusione sul proprio terreno semplicemente a occhio e mani nude.
Per esempio, quando non piove da lungo tempo e la terra è perfettamente asciutta, se osservandola si vedono crepe ampie che delimitano isole di terra compatta, impossibile da staccare con le mani, quel terreno sarà argilloso; se invece le crepe sono sottili e cercando di prelevare la terra questa si sbriciola subito, il terreno è sabbioso; se la condizione è intermedia (crepe né piccole né grandi, terreno che si preleva a fatica ma si sbriciola poco), si tratta di una terra limosa.
Gli stessi terreni, in caso di abbondanti piogge, appaiono: quello argilloso simile alla creta da modellare, quello sabbioso ugualmente incline a sfaldarsi facilmente, quello limoso abbastanza coeso come la creta ma capace di sfaldarsi anche se non facilmente.
Se le piante si ammalano facilmente di clorosi (scolorimento delle lamine fogliari che mantengono però le nervature verdi), vuol dire che la terra è carente di ferro (o magnesio se la scoloritura riguarda solo le foglie vecchie, basali e solo i margini della lamina) oppure che abbonda di calcio che tiene sequestrato il ferro o magnesio.
Se tutte le piante acidofile, seppur coltivate con tutti i crismi richiesti da questa categoria di piante, inesorabilmente muoiono, sicuramente il pH sarà superiore a 7.
Infine, esistono kit d’analisi del terreno normalmente in vendita nei consorzi agrari: svelano (con approssimazione) solo i dati di base, come il pH e la dotazione di azoto, fosforo e potassio (e in proporzione costano molto rispetto all’analisi standard di laboratorio).
… e quella di laboratorio
L’analisi del terreno effettuata in laboratorio dà la garanzia di “radiografare” il proprio fazzoletto di terra, venendo a sapere esattamente com’è fatto e che cosa contiene, permettendo così di mettere a dimora le piante più adatte (o di effettuare le dovute correzioni, vedi in fondo).
Questo tipo di analisi è caldamente raccomandabile se si desidera impiantare un frutteto (più di 10 piante) per le ragioni sopra esposte, ma anche se il giardino è vasto e si intendono piantare molti alberi. Sono infatti i vegetali con le radici più estese a risentire maggiormente della natura del suolo, e sono anche le piante più costose: per risparmiare un centinaio di euro, si corre il rischio, se il terreno è inadatto, di buttarne via 4-500 in alberelli che muoiono rapidamente… Consiglio l’analisi di laboratorio anche per la messa a dimora di sole piante acidofile, sebbene sia noto in quali zone d’Italia il suolo sia acido di natura (Prealpi occidentali, grandi laghi del Nord Italia, Alta Toscana): se il pH non fosse troppo basico, si può tentare la correzione…
I dati necessari per conoscere la natura del terreno sono granulometria, pH, salinità, calcare totale e attivo, capacità di scambio cationico (CSC), sostanza organica, azoto totale, fosforo assimilabile, potassio scambiabile, magnesio e calcio scambiabili, microelementi assimilabili (ferro, manganese, boro, zinco e rame). I laboratori migliori forniscono anche l’interpretazione dei dati ottenuti, e un sommario piano di concimazione, ossia quali fertilizzanti vanno apportati e in che quantità, o di correzione, cioè quali sostanze apportare per correggere evidenti anomalie.
I nominativi dei laboratori si reperiscono sulle Pagine Gialle alla voce “Analisi chimiche, industriali e merceologiche”, oppure sul web attraverso un motore di ricerca digitando “analisi del terreno laboratorio” e la vostra regione. I prezzi per questo tipo di analisi partono dai 100 euro in su. Sono soldi ben spesi nel caso si vogliano piantare alberi perché, come si diceva, si tratta di piante che devono occupare lo spazio per decine d’anni ed eventualmente produrre frutti: vale la pena di sapere “in quale casa” devono vivere, adeguando così a essa le specie e i portainnesti.
Nel caso delle acidofile, o più semplicemente se si vuole avere un’idea generica della tipologia del terreno, è possibile chiedere l’analisi standard, che comprende pH, salinità, calcare, CSC, azoto, fosforo, potassio, magnesio e calcio. I risultati ve li dovrete interpretare voi, ma la spesa si aggira sui 50 euro.
A ciascun terreno le sue piante
Una volta ottenuti i risultati delle analisi, se il laboratorio evidenzia anomalie rispetto ai valori “normali”, due sono le scelte possibili: intervenire correggendo i valori anomali per poter ampliare il ventaglio di specie vegetali oppure non fare nulla e mettere a dimora piante compatibili con le anomalie.
La correzione (vedi oltre) ha senso solo se i fattori fisici o gli elementi chimici non si discostano troppo dalla norma: anche aggiungendo sostanze correttive, la modifica durerà per pochi anni, perché la natura del terreno tende sempre ad avere il sopravvento, a tanto maggior ragione se la correzione è molto “spinta”.
Assecondare la natura del terreno spesso è la scelta più logica e redditizia, sia per fioriture e fruttificazioni, sia dal punto di vista economico (si evita la moria delle piante inadatte). Ne discende che su suoli con pH acido o subacido vivranno bene solo le acidofile, così come su terra molto basica (pH≥8) resistono le aromatiche e alcuni alberi da frutto come melo, ciliegio, albicocco ecc. Sui suoli poco drenati sono a loro agio le piante che non temono l’asfissia radicale, e viceversa su quelli molto sciolti vanno messe specie a basso fabbisogno idrico, resistenti alla siccità. Guai a mettere ortaggi da radice su terreni compatti o sassosi, dove invece prosperano gli alberi “frugali” come il pino, il fico, l’olivo, la vite, il bagolaro e le aromatiche legnose perenni.
In sostanza, la conoscenza del proprio terreno permette di andare pressoché “a colpo sicuro” nella scelta delle piante, ottenendo in breve tempo uno spazio verde “ben abitato” ed evitando di sprecare soldi per esemplari che poi non vivranno.
Terreno argilloso, il più diffuso
Questo tipo di terreno si riconosce visivamente per la tendenza a formare crepe larghe in superficie, che proseguono in profondità. Prendendone in mano una zolletta umida, se ne ricava un cilindretto tipo plastilina, non friabile. In laboratorio, un terreno risulta argilloso quando contiene più del 40% di argilla. Sotto la zappa o con la vanga, è molto “pesante” da lavorare perché difficilmente apribile.
Un buon terreno argilloso è un’ottima riserva d’acqua ed elementi nutritivi. Ma se la percentuale di argilla è troppo elevata, l’acqua fatica a diffondersi, oppure scende in profondità nei crepacci, che a loro volta – formandosi – strappano le radici.
Il terreno argilloso non può essere corretto, ma solo ammendato (cioè migliorato) con quantità di sabbia o torba proporzionali alla percentuale di argilla, ma mai eccessive, per non renderlo troppo poroso o non acidificarlo. La quantità esatta di ammendante da apportare si ricava in laboratorio mediante l’analisi del terreno.
Le piante che resistono e, anzi, prosperano, su un terreno argilloso sono il bagolaro (Celtis australis), la robinia (Robinia pseudoacacia), la roverella (Quercus pubescens) e la farnia (Quercus robur), ambedue querce di lenta crescita, il carpino nero (Ostrya carpinifolia) e l’orniello (Fraxinus ornus), eleganti ma robusti. Ma soprattutto, il terreno argilloso è perfetto per i rosai!
Bisogna però curare bene l’impianto: la buca deve essere sufficientemente profonda da contenere un buon drenaggio (15 cm di ghiaia), due-tre palate di letame maturo, uno strato di terriccio e infine l’apparato radicale della piantina.
Durante i primi 2-3 anni bisogna annaffiare copiosamente durante la primavera-estate, se non piove: il terreno argilloso, zuppo in inverno, diviene avaro d’acqua durante la bella stagione, mettendo a rischio la sopravvivenza di piante giovani che non hanno ancora sviluppato in profondità l’apparato radicale.
I campioni di terreno per le analisi
- Il prelievo dei campioni di terra va effettuato prima dell’impianto e di qualunque concimazione o diserbo. Va eseguito quando il terreno è in tempera, ossia né troppo bagnato né troppo asciutto.
- Vanno scartati i bordi dell’appezzamento e tutte le zone dove si evidenziano anomalie (es. terra di colore diverso, oppure soggetta a ristagno idrico ecc.). Su vaste estensioni si deve effettuare un prelievo ogni 1.000 mq, ma nel caso di spazi ridotti si può aumentare fino a un prelievo ogni 100-150 mq.
- Ogni singolo campione va prelevato scorticando con una vanga i primi 5 cm di terra e poi levando la terra successiva fino ad arrivare a 30-40 cm di profondità, quindi si stacca una fetta di terra, dello spessore di 2-3 cm, sul lato della buca, in verticale a partire dalla superficie e fino alla profondità raggiunta.
- Si rovescia la fetta in un secchio asciutto e si sbriciola la terra cercando di eliminare tutte le impurità. Si procede effettuando tanti prelievi quanti prestabiliti in base alla metratura, sminuzzandoli, depurandoli e mescolandoli bene fra loro. Richiudete le buche con la terra residua di scavo.
- Da questa miscela si prelevano 2 kg di terra, da mettere in un sacchetto ben chiuso e da consegnare al laboratorio di analisi il prima possibile, per evitare che il substrato si alteri.
Come si corregge il pH?
- Una volta accertata in laboratorio la reazione del terreno (cioè il pH), se risultasse basica o tendenzialmente tale, si possono impiegare fertilizzanti o ammendanti acidi, con funzione correttiva, o più semplicemente concimi per acidofile. È consigliabile anche torba mista a terriccio da spargere attorno alle radici.
- Se invece la reazione fosse fin troppo acida e quindi oltre il pH gradito dalle acidofile (5,5-6), si può intervenire con concimi basici quali urea, nitrato di calcio o d’ammonio e anche letame, oppure con calcari, marne o calce (150-200 per mq).
- Se il terreno infine risultasse alcalino-sodico (alta concentrazione salina e di sodio scambiabile) si corregge con zolfo o gesso, quest’ultimo con un’azione più pronta. Ma ai correttivi acidi con costi elevati si preferisce spesso un correttivo come la torba, almeno nei casi in cui l’alcalinità non è troppo spinta.
- Per conoscere le dosi d’impiego, o ci si basa sulle indicazioni fornite dalle analisi di laboratorio, o ci si affida all’etichetta del prodotto, anche se comunque esiste una relazione fra pH riscontrato nell’analisi del terreno e quantità di prodotto da somministrare.
- Per esempio, in caso di terreno alcalino da correggere con somministrazione di gesso, la quantità di correttivo (Q) da impiegare si ricava come segue: Q = 0,086 x CSC x h x pa x 1,25, dove CSC = capacità di scambio cationico rilevata nell’analisi; 0,086 = un milliequivalente di gesso; pa = peso volumico del terreno; 1,25 = coefficiente di maggiorazione. Il valore ottenuto andrà poi aumentato di circa il 20% per tener conto delle impurità del prodotto usato e del minor rendimento “in campo” rispetto al rendimento teorico.
- Tenete comunque presente che il pH è difficilmente modificabile perché, anche apportando calce viva, calce spenta, calcare o calciocianamide, zolfo o gesso, nell’arco di pochi anni il dilavamento dovuto al passaggio dell’acqua negli strati di terra rimescola le particelle riportando alla prevalenza del pH iniziale.
Le altre correzioni del terreno
Un terreno compatto si corregge con l’aggiunta di sabbia (4 kg/mq); uno sabbioso con una buona terra fertile (4 kg/mq) oppure humus o compost (3 kg/mq); uno poco fertile, povero con l’humus (5 kg/mq).
I ristagni idrici evidenti si correggono con l’installazione di canali di drenaggio in profondità (a 80 cm sotto la superficie del terreno); la granulometria grossolana eliminando manualmente tutte le pietre da quelle più grosse fino ai 2 cm di diametro; la carenza di minerali apportando quelli mancanti (dosaggio variabile in base al minerale e all’entità della carenza).
La terra dopo i lavori edili
Avete appena finito i lavori di edificazione o ristrutturazione della vostra casa, e finalmente pensate di dedicarvi al giardino che la circonda. Ma la terra sarà ingombra di laterizi, cemento, polvere di malta e altri residui edili.
Si tratta di materiali che vanno accuratamente eliminati, soprattutto dove il terreno è povero e sassoso: se combinato con scarsa piovosità ed elevate temperature rappresenta un ambiente impervio per i vegetali.
Fate eliminare – oltre allo strato di laterizi e cemento – anche i primi 20 cm di terra del suolo. Sostituitela con buona terra possibilmente prelevata dallo scavo di un altro edificio oppure, se siete stati previdenti, con la terra di profondità derivante proprio dall’edificazione della vostra casa, accumulata in un angolo della proprietà, nella zona più lontana per non venire contaminata da laterizi.
Se potete, prima dell’apporto controllate la terra che state immettendo per eliminare sassi, pietre e detriti di vario genere. Dopo aver deposto i primi 10 cm in strato abbastanza uniforme, stendete uno straterello di letame (2-3 cm) o di stallatico secco (1 cm) che verrà ricoperto dall’ultimo strato di terra di riporto.
Poi lasciate fare alla natura: il letame migliora la struttura del substrato e cederà lentamente elementi minerali utili alle piante; le lavorazioni e gli impianti che opererete contribuiranno a mescolare gli strati, in modo che un paio di mesi dopo il riporto la dimora sia finalmente adatta alla piantagione.