Dai colori sgargianti e dalle forme sempre diverse ed esuberanti, i fiori delle dalie quando si schiudono sembrano piccoli fuochi d’artificio che illuminano le aiuole, creando un piacevole effetto cromatico che interrompe il verde continuo della vegetazione.
La storia delle dalie
Originarie del Messico e dell’America centrale, le dalie erano già ben note agli Aztechi che le coltivavano verosimilmente per la decorazione dei palazzi reali e dei luoghi sacri.
La funzione estetica non era però il loro unico fine; le dalie venivano infatti utilizzate anche come alimento, come medicinale contro l’epilessia, come repellente contro le zanzare e inoltre i loro grossi fusti cavi servivano come recipienti per contenere l’acqua durante le battute di caccia. Il nome azteco delle dalie sembra proprio indicare quest’ultima funzione.
Le prime notizie che si ebbero nel mondo occidentale sulle dalie risalgono a trattati di medicina e botanica di alcuni missionari spagnoli vissuti attorno al XVI secolo. Queste fonti parlano di piante in grado di fiorire per diversi mesi all’anno, con fiori di dimensioni molto grosse o anche ridotte e con tonalità che spaziano dal bianco al giallo, rosso, rosa o arancio. Tale varietà di forme e colori ci fa intuire che la selezione per la produzione di nuovi ibridi iniziò per mano degli Aztechi, molto prima che queste piante facessero il loro ingresso in Europa.
L’arrivo delle dalie nel vecchio Mondo viene datato attorno al XVIII secolo quando il direttore dell’Orto botanico reale di Madrid, Antonio José de Cavanilles, ricevette una busta contenente dei semi di dalia proveniente dal Messico. In realtà però il vero scopo con cui questi semi furono inviati in Europa era quello di trovare una valida sostituzione alle patate. Così, quando giunse in Europa, nel 1790, fu scambiata per una verdura a causa delle sue grosse radici tuberose simili a patate americane. Visto il sapore assai sgradevole, non ebbe però molto successo. Appena sbocciò, però, gli appassionati e i botanici cambiarono idea, folgorati dal suo splendore. La dalia, ancora rara ed esotica, divenne in breve oggetto di una vera e propria passione maniacale. Lo stesso Cavanilles diede il nome alle dalie, volendo onorare il botanico, allievo di Linneo, Andreas Dahl. Da Madrid le dalie vennero poi diffuse nei maggiori orti botanici d’Europa, dove in alcuni paesi vennero chiamate poi Georgine in onore questa volta di un altro botanico, il russo Georgi.
Le prime piante importate dalle Americhe appartenevano alle specie Dahlia pinnata e Dahlia coccinea. Da questi due primi esemplari partì subito un intenso lavoro di ibridazione da parte dei coltivatori, che portò alla comparsa, già nei primi anni del XIX secolo, di alcune dalie dal fiore doppio. Per vedere poi comparire delle dalie con il fiore così detto a “cactus”, si dovrà aspettare ancora un’ottantina di anni, quando sempre dal Messico venne portata la Dahlia juarezii, che a sua volta venne incrociata con le dalie già presenti.
Come sono fatte le dalie
Appartenente alla grande famiglia delle Composite, la dalia è una perenne erbacea o suffruticosa, dai fiori vistosi e solitari, presenti in moltissime tinte accese.
Le foglie sono aromatiche, grandi, di colore verde scuro, di forma pennata.
Si tratta di una pianta dalle radici tuberiformi: a differenza dei bulbi, le radici da sole non possono dare origine a una piantina e hanno bisogno di una porzione di fusto della vecchia pianta.
Fra i suoi pregi c’è l’ampio ventaglio di taglie. Spesso le dalie sono divise in base all’altezza che raggiunge la pianta adulta: si distinguono quindi le dalie da bordura alta e quelle di piccole dimensioni; entrambe possono essere coltivate per adornare il giardino o come fiore da recidere.
Un altro parametro per suddividere le dalie è la grandezza del fiore: possiamo così individuare delle dalie a fiore gigante, di dimensione media, piccolo o molto piccolo.
Le varietà
Il genere Dahlia comprende circa 30 specie e più di 20.000 cultivar. In giardino sono piante perfette per creare delle masse colorate, in aiuole miste o anche da sole, nella formazione di bordure o da coltivare semplicemente in vaso.
Ciò che stupisce è la molteplicità delle forme, distinte in ben 12 gruppi. Accanto alle dalie a fiore semplice e grande, ci sono quelle a fiore doppio o semidoppio. Le dalie ‘a fiore di cactus’ e ‘semicactus’, dai petali lunghi, stretti e tubolari, avvolti su se stessi e incurvati, sono le migliori per avere fiori recisi, simili alle dalie 'frangiate', che però hanno i petali con punta a frangia.
Imbattibili per formare macchie di colore nelle bordure sono le dalie ‘decorative’ e le bellissime dalie ‘a collaretto’. Ideali per formare aiuole e rivestire scarpate, le ‘pompon’ si fanno notare per i capolini sferici, che possono essere grandi (fino a 30 cm) o piccolissimi (fino a 5 cm), con petali arrotolati a nido d’ape.
Altri gruppi prendono il nome dai fiori evocati dalle forme che assumono i magnifici capolini delle dalie: ‘a fiore d’anemone’ (fiori semidoppi, petali esterni diritti e allargati, petali interni corti e a nido d’ape), ‘a fiore di ninfea’ (a forma di coppa allargata con petali disposti su più strati) e ‘a fiore di peonia’ (capolini doppi, a coppa, petali larghi e allungati).
A un’estremità della scala ci sono le ‘mignon’, alte al massimo 30 cm, adatte per la coltivazione in vasi e cassette, per il primo piano delle bordure e per i giardini rocciosi, a fiore semplice o doppio.
All’altra estremità, la specie più grande è la Dahlia excelsa, che può crescere fino a 7 m e assume l'aspetto di un vero e proprio albero, con fusto legnoso. È seguita da D. imperialis, che raggiunge i 5 m di altezza: anch’essa è da riservare ai climi caldi, dove fiorisce in autunno in un delicatissimo bianco lilla.
Come coltivarle
- La messa a dimora dei tuberi di dalia si effettua fra aprile e maggio, in terreno profondo, fertile, non sassoso, indicando la posizione dei tuberi con un tutore. Quando spuntano i germogli e man mano cresce la pianta, i fusti vanno legati a uno o più tutori.
- Le radici vanno annaffiate se non piove a sufficienza, e in seguito le piante devono ricevere acqua abbondante e regolare. Si può apportare anche una mezza manciata di fertilizzante granulare per ogni pianta circa 45 giorni dopo la messa a dimora dei tuberi.
- Può rendersi necessaria la sistemazione di ulteriori tutori rispetto a quelli disposti fin dall'inizio: alcune varietà producono fiori anche di 15 cm di diametro, stradoppi, che risultano pesantissimi per gli esili fusti fiorali. Vederli piegati è un vero peccato, quindi bisogna intervenire prontamente con sostegni robusti, ben infissi, legando saldamente lo stelo.
- Accertatevi anche che l’intera pianta rimanga eretta: una leggera pendenza da un lato porta all’abbattimento dell’intero cespo se dovesse soffiare un vento forte o piovere rabbiosamente. Anche in questo caso servono tutori ai quattro lati per “ingabbiare” la pianta.
- Durante la fioritura abbiate l’attenzione di recidere i capolini appassiti alla base dello stelo che li porta in modo da favorire l’apertura dei bocci rimanenti.
- Le piogge rovinano la fioritura, provocando la formazione di muffe sia sulle infiorescenze già aperte, sia sui bocci. Se è possibile, in previsione di precipitazioni prolungate stendete un telo di plastica robuste sulla pianta, fissandolo con mollette ai tutori. Rimuovetelo appena è terminata l’acqua, per far asciugare velocemente il fogliame.
- Entro la fine del mese di ottobre, almeno nell'Italia settentrionale i tuberi vanno estratti dal terreno, perché non sopportano il gelo. Come prima cosa, tagliate in basso gli steli che ancora portano fiori o boccioli: li metterete in acqua in casa, godendoli ancora come fiore reciso.
- Se i fusti e il fogliame rimasti fossero ancora troppo abbondanti, dimezzateli per il lungo, lasciandoli a 50 cm di altezza. Infilate un forcone nella terra, a 10 cm di distanza dal ceppo, cercando di approfondirlo per almeno 15-20 cm in verticale; quindi ruotatelo verso l’alto in modo da sollevare la zolla di terra dove presumibilmente è posto il tubero, senza però ferirlo con le punte. Con l’altra mano afferrate alla base il cespo e tirate, mentre con il forcone continuate a fare forza verso l’alto.
- Scuotete il cespo con il tubero per liberarlo il più possibile dalla terra, aiutandovi poi anche con le mani. Recidete la parte aerea a 10 cm e appoggiate il tubero in una cesta.
- In cantina o in magazzino ben arieggiati sistemate i tuberi in cassette di legno, in unico strato e ben distanziati perché si asciughino. Dopo 10-15 giorni potrete togliere il residuo di vegetazione, ripulire le radici dalla terra rimasta strofinandole con una spazzola a setole morbide, e riporli in cassette di legno foderate con paglia naturale oppure sabbia asciutta.
- Nel caso di ferite o marciumi, rifilate la zona con un coltellino e spolverate l’intero tubero con rame in polvere, sistemandolo in una cassetta separata da quelli perfettamente sani.