I frutti antichi, fra i quali il melo Rosa Romana, sono sempre più al centro dell'interesse degli studiosi, ma anche dei piccoli agricoltori e dei consumatori. Per tre motivi:
- sono varietà spesso ricche di composti antiossidanti (specialmente fenoli), che agiscono in maniera benefica sulla salute umana, sia prevenendo malattie, aiutando nella cura;
- essendo varietà "non omologate", rappresentano un patrimonio di biodiversità da tutelare, perché favoriscono la diversificazione della fauna e della flora;
- rappresentano, in quanto spesso sono piante storiche, centenarie, monumentali, un patrimonio arboreo, nobilitato dalla frutta, dal paesaggio, dall’agriturismo (con recupero dei mercati locali e contadini), dallo sviluppo economico di aree disagiate della collina e della montagna. In questo senso, sono ormai numerose le iniziative pubbliche di ricerca scientifica su questi temi e i finanziamenti incentivanti la ri-coltivazione e conservazione degli alberi delle antiche varietà. E il melo viene sempre incluso quando il territorio è collinare o montano.
La ricchezza in polifenoli
Alcune ricerche scientifiche hanno evidenziato il profilo chimico di una ventina di fenoli delle mele Rosa Romana, ma anche la loro capacità antiossidante e quella inibitrice di enzimi coinvolti nei disordini metabolici alimentari e negli stress ossidativi in generale. Gli estratti di mele pare abbiano un effetto di contrasto all’invecchiamento cellulare e possano essere coinvolti nella regolazione del metabolismo dei neurotrasmettitori.
Altri Autori hanno analizzato la mela Rosa dei monti Sibillini e, su topi, hanno notato un effetto positivo circa l'insorgenza dell’ischemia renale e i relativi danni.
Sul piano medico e nutrizionale i polifenoli sono considerati composti bioattivi di grande aiuto per la salute umana, ma lo sono anche per quella delle piante: i fenoli, in particolare, influiscono positivamente nel controllo di malattie crittogamiche come ad es. la ticchiolatura del melo.
In realtà, le mele Rosa comprendono molte "sottovarietà" o "cloni" locali, come appunto le mele Rosa dei monti Sibillini, probabile clone di Rosa Marchigiana. Inoltre, si sottolinea anche la grande variabilità comportamentale della mela Rosa Romana, che determina le notevoli variazioni riscontrate nelle analisi dei frutti: i parametri considerati nelle ricerche vengono influenzati da una serie di fattori non solo genetici (cluster e clone), ma anche ambientali-territoriali (località, altitudine, stato nutrizionale e sanitario della pianta, assenza o attuazione delle dovute pratiche colturali).
Le analisi sulla Rosa Romana dell'Appennino
Al riguardo, è stata condotta dall'Università di Bologna - Distal una ricerca scientifica, pubblicata sulla Rivista di Frutticoltura n. 9/2020, Ed. Edagricole - New Business Media, per analizzare il contenuto fenolico e le caratteristiche qualitative delle mele Rosa Romana dell'Appennino.
Le analisi dei fenoli hanno rivelato nei diversi campioni di Rosa Romana dell'Appennino concentrazioni significative di 14 composti, di cui 12 nella polpa e 2 nella buccia.
Quanto ai dati merceologici qualitativi analizzati sulle Rosa Romana dell'Appennino, questi sembrano privilegiare i cloni situati in siti montani: la qualità della mela – e quindi il fenotipo – sembra essere influenzato più dal territorio che dal genotipo (ossia dal clone). Le mele di “monte” sono più grosse (150-180 g) e più colorate (rosso sul 35%) di quelle di “colle” (125 g e rosso sul 20-25% della buccia).
Ugualmente la durezza è risultata maggiore in alto (10,4 kg/cm2) e minore in basso (8-9 kg/cm2). Il titolo zuccherino, come tendenza, è cresciuto di 1-2 °Brix alle maggiori altitudini. L’acidità, invece, in un range dal 5 all’8‰ non sembra possa essere correlabile all’altitudine.
Sull’altro fronte di valutazione qualitativa – i test sensoriali –, i dati raccolti hanno evidenziato una netta diversità percettiva degli assaggiatori per l’aspetto dei frutti (molto più belli quelli prodotti alla maggiore altitudine), che trovano riscontro in una leggera variazione di punteggio per la compattezza, aromaticità, equilibrio dolcezza/acidità della polpa, brillantezza della buccia (sempre comunque in presenza di butteratura amara, cioè il “bitter pit”).
Il “bitter pit” costituisce un forte limite, pressoché inevitabile, nella coltivazione della Rosa Romana; è una fisiopatia che deprezza la mela, per le infossature suberificate sotto le macchie epidermiche.
Le due mele Rosa Romana Gentile e Rosa Nostrana (entrambe quasi prive di rugginosità a differenza della Rosa Romana dell'Appennino) si sono distinte la prima per la durezza della polpa, un buon equilibrio dolcezza/acidità, un buono stato di conservazione, ancorché soggetta a butteratura amara e un retrogusto gradevole dovuto a un buon tenore fenolico. Assai meno positivo il giudizio sulla Rosa Nostrana.
Infine, i valori dei fenoli e quelli qualitativi delle mele Rosa Romana dell’Appennino, confrontati con quelli della famosissima Annurca, hanno dato riscontri molto positivi, perché nelle condizioni dell’indagine hanno superato quelli della stessa Annurca. Rimangono però i limiti connessi alla metodologia di campionamento, trattandosi di mele provenienti da frutteti disomogenei.
Ri-coltivare il melo Rosa Romana
Queste interessanti conoscenze sul valore salutistico delle mele del gruppo Rosa hanno contribuito a risvegliare l’interesse sulla mela Rosa Romana dell’Appennino. Così, infatti, viene denominata dall’Associazione Alta Valle del Reno, nata nel 2019 – con 41 soci fondatori, fra coltivatori, ristoratori e studiosi (come Silviero Sansavini, professore emerito di Frutticoltura dell'Università di Bologna) – per identificare e tutelare commercialmente le produzioni della mela Rosa Romana nei due versanti appenninici tosco-emiliani; mele ottenute sia dalle vecchie coltivazioni sia, si spera, da nuovi impianti (oltre 4300 piante) che cominciano a sorgere, sia pure sporadicamente. L'Associazione ha infatti l'obiettivo di catalogare gli alberi esistenti, classificarli, certificare le nuove piantine e, in futuro, ottenere la Dop per spingersi oltre i confini dell'Emilia-Romagna.
Attualmente la Rosa Romana è presente nell’Appennino tosco-emiliano con una produzione stimata di appena 500 t, troppo poco per avere un impatto di mercato. Si tratta per lo più di alberi sopravvissuti dei vecchi frutteti, in parte abbandonati e pertanto, salvo rare circostanze, non sottoposti ad alcuna cura. In realtà, sono vari cloni di mele Rosa Romana, e di alcune altre varietà di mele, ritrovabili in Appennino e costituite da varietà “Rosa-simili”, geneticamente diverse, e variamente denominate sul piano commerciale, ma tutte contenenti un’ampia rosa dei composti fenolici. Sono mele che in ogni caso competono sul mercato con la mela Rosa Romana con la quale possono talvolta confondersi, perché mostrano caratteri differenziali non sempre ben distinguibili.
Chi la ri-coltiva già
Sull'Appennino Bolognese c'è chi si è impegnato per ri-coltivare la Rosa Romana e ricavarne prodotti vari: Antonio Carboni (338/6170981, antoniocarboni2011@gmail.com), terza generazione di fruttivendoli con bottega a Riola di Vergato (Bo) e podere alle Polle di Castel di Casio (Bo), ha raccolto le marze delle antiche piante secolari di Rosa Romana dell'Appennino per innestarle e riprodurle, così da poterle ri-coltivare sull'Appennino e ottenerne un succo, chiamato Rosetta o Spremuta di mela Rosa Romana, in blend con altre varietà.
Sarebbe tuttavia necessario che gli ettari di coltivazione aumentassero, proprio per dare maggiore continuità a una produzione salutare e molto apprezzata dalla clientela dell'Appennino Bolognese, che la può assaggiare nelle numerose feste e sagre locali (covid-19 permettendo).
D'altronde, anche la mela stessa si conserva fuori frigo per alcuni mesi, e può essere consumata cruda oppure cotta in torte, dolci, frittelle e come mela cotta. Un bell'esempio di ecosostenibilità, se si aggiunge anche che il melo è resistente alla ticchiolatura!