Coltivare tartufi è una pratica, ormai, molto diffusa nel nostro paese. Se si possiede un giardino bello ampio, o ancora meglio un piccolo boschetto, è possibile farsi la propria “Riserva di caccia al tartufo” seguendo alcuni semplici suggerimenti.
Coltivazione tartufo: bianco no, nero sì
Il più difficile da coltivare è il tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum), detto anche tartufo d'Alba o d'Acqualagna: pretende un terreno, un'altitudine e un clima ben precisi. E vuole anche una vegetazione particolare: le piante simbionti sono le querce, i salici, i pioppi, il tiglio, il carpino nero e il nocciolo. Attorno alle simbionti devono esserci le piante comari (sanguinello, prugnolo e biancospino), con le quali il tartufo non instaura simbiosi, ma che contribuiscono a creare un microclima consono, mantenendo l’umidità nel terreno.
Molto più accondiscendente è il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum), chiamato anche tartufo del Périgord: è "schizzinoso" solo in fatto di terreni, ama il clima mediterraneo e, anch'esso, ha le sue piante simbionti: le querce, il carpino nero e il nocciolo. Facilissimo capire se producono: sotto la loro chioma si vede un’area priva di vegetazione erbacea, detta “pianello” o “bruciata”.
Attualmente, coltivare il tartufo bianco pregiato è un'incognita, perché appunto troppe sono le variabili in gioco. Diffidate quindi dei vivaisti poco seri che assicurano la produzione di questa specie da parte delle loro piantine micorrizate.
Invece allevare quello nero pregiato in giardino è già una realtà, grazie a tecniche consolidate di produzione delle piantine micorrizate e a una buona conoscenza delle sue esigenze ecologiche, ottenendo ottime produzioni. Anche il bianchetto e lo scorzone danno grandi soddisfazioni, perché le piantine si micorrizano facilmente, e le esigenze ecologiche di questi tartufi sono ridotte.
Tartufo coltivato: la legge 752/85
Per la coltivazione, bisogna appurare se la propria zona è vocata ai tartufi neri, ossia se si reperiscono nelle vicinanze. Se la risposta è positiva, le mosse successive dipendono dallo spazio a disposizione: se avete un giardino (di almeno 200 mq), possono bastare tre o quattro piante micorrizate; se invece possedete molto terreno, potete piantare un bosco tartufigeno.
In questo caso, esiste una legge nazionale, la n. 752/85, che consente di creare due diversi tipi di bosco: se avete già un bosco che produce qualche tartufo, potete costituire una "tartufaia controllata" mettendo a dimora nuove piante tartufigene e praticando alcune semplici cure superficiali.
Se invece la terra è priva di alberi, può essere rimboschita con piante tartufigene, creando una "tartufaia coltivata". Entrambi i tipi di tartufaie verranno poi recintate e delimitate da tabelle, che segnalano il divieto d'ingresso agli estranei, mentre il proprietario (e le persone da lui autorizzate) non sarà soggetto ai vincoli del calendario provinciale di raccolta.
Presso l'assessorato regionale all'Agricoltura o all'Ambiente si ricevono tutte le informazioni sulle pratiche richieste per avviare una coltivazione di questo tipo.
Tartuficoltura e ambiente
- Geologia: tutti i tartufi amano i terreni calcarei. Il tartufo bianco pregiato preferisce terreni derivanti da formazioni calcaree del Terziario e del Quaternario, e il tartufo nero quelle più antiche del Secondario. Lo scorzone e il bianchetto possono crescere indifferentemente su terreni calcarei del Primario, del Secondario, del Terziario e del Quaternario. Si consiglia la consultazione di carte geopedologiche.
- Clima: il tartufo bianco preferisce un clima sub-continentale o continentale, con estati calde di piovosità superiore a 40 mm mensili, autunni umidi e inverni freddi. Il tartufo nero, il bianchetto e lo scorzone prediligono un clima mediterraneo, con estati calde interrotte da radi temporali.
- Altitudine: condiziona il microclima, e rappresenta un limite alla coltivazione del tartufo, limite che varia a seconda dell'area geografica. Il tartufo nero in Veneto (limite nord) cresce fino a 600 m slm, mentre nel Lazio e in Umbria sale fino a 1.000 m. Il tartufo bianco ha come limite generale i 600 m, ma in Emilia Romagna si spinge fino a 700 m, e in Molise si può coltivare a 900 m. Bianchetto e scorzone raggiungono gli 800 m lungo l'Appennino.
- Esposizione: le tartufaie di tartufo bianco pregiato non richiedono un'esposizione particolare, mentre quelle di tartufo nero, scorzone e bianchetto vogliono la vista a sud.
- Pendenza: non dovrebbe essere eccessiva per non ostacolare l'eventuale utilizzo di mezzi meccanici. Per il tartufo bianco sono preferibili terreni con pendenza non superiore al 10%, mentre per il tartufo nero si può arrivare al 40-50% di declività.
- Terreno: obbligatoriamente di natura calcarea, verificabile mediante qualche goccia di acido cloridrico (acido muriatico) sparsa su un cucchiaino di terreno. Se "frizza", il terreno è calcareo, e si può proseguire con il prelievo di alcuni campioni da far analizzare in laboratorio per il pH e il contenuto in carbonato di calcio, i quali, se scarsi, possono essere corretti con ammendanti calcarei.
Se il terreno risultasse subacido o acido, cambiate coltura! Fate valutare da un esperto agronomo anche la struttura del suolo. Il tartufo nero richiede terreni evoluti, tipo rendzina, o suoli bruno-calcarei, poco profondi (10-40 cm) e ricchi di scheletro (sassi). Sono in genere terreni sciolti, con buon drenaggio e senza ristagno di umidità. La tessitura è prevalentemente sabbiosa, sabbioso-limosa, limosa, limoso-argillosa, argilloso-limosa. Il tartufo bianco invece predilige terreni meno evoluti, ma profondi e freschi, con tessitura franco-argillosa, franco-limosa, sabbioso-franca, franco-sabbioso-argillosa e franco-argilloso-limosa. Bianchetto e scorzone non hanno particolari esigenze.