Immerse nel canale di Sicilia, distano solo 57 km: eppure, le isole di Lampedusa e Linosa non sono gemelle, anzi. Calcarea la prima, figlia della piattaforma tunisina, e vulcanica la seconda, eruttata nei millenni passati dalle profondità marine. Tanto piatta, spoglia, bianca e assolata Lampedusa, quanto montuosa, verde e umida Linosa. Per non parlare di Lampione, piccolo scoglio deserto a ovest di Lampedusa, abitato solo dai gabbiani.
Le tre isole, più vicine alle coste tunisine che all'Italia (rispettivamente 113 contro 205 km di distanza), adagiate intorno al 35° parallelo, fanno tutte parte, nonostante la loro diversissima natura, dell'arcipelago delle Pelagie, afferente alla provincia siciliana di Agrigento.
Isole ricche di storia
Terre di passaggio, hanno ospitato nei secoli i Fenici, i Greci, i Cartaginesi, i Romani, i Saraceni, e poi alcuni baroni siciliani alternati a pirati d'alto bordo, in un continuo susseguirsi di fisionomie e di usanze che, fino a un paio di secoli fa, hanno consegnato intatto ai propri successori una sorta di paradiso terrestre.
Quando, nel 1839, i prìncipi Tomasi di Lampedusa vendettero l'arcipelago a Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, in realtà non sapevano nemmeno di cosa si stessero privando, visto che da alcuni secoli le isole non avevano visto sembianze umane sul proprio suolo. E forse, se vi avessero messo piede, non si sarebbero lasciati sfuggire la lussureggiante foresta mediterranea, i numerosi corsi d'acqua, i piccoli laghetti che davano nell'insieme alloggio a volpi, cinghiali, conigli, tartarughe, gru e foche.
Ne godettero viceversa i 120 coloni siciliani inviati dal re a presidiare l'isola maggiore, Lampedusa, assieme al governatore Sanvisente. Sin dal loro arrivo, i nuovi abitanti si dedicarono al disboscamento per ricavare terreni coltivabili, che tuttavia, sferzati dai venti incessanti e battuti dalla pioggia, ben presto vennero dilavati del poco humus esistente, mettendo a nudo la roccia sottostante.
Fallito il tentativo agricolo, i coloni si riciclarono trasformandosi in pescatori, senza dubbio più favoriti dalla ricchezza del mare circostante, tanto che, nel 1861, con l'unità d'Italia, i Piemontesi – divenuti i nuovi padroni dell'isola – decisero di sfruttare l'occasione impiantandovi, un decennio più tardi, un'industria conserviera. Se non che, l'unica fonte energetica disponibile per la bollitura del pesce si rivelò essere data dai pochi alberi superstiti, abbattuti i quali nel giro di un paio d'anni la fabbrica chiuse.
L'assoluta mancanza di vegetazione da un lato favorì l'erosione eolica, e dall'altro azzerò la formazione di nuvole, e quindi le precipitazioni, in un drammatico circolo vizioso.
Nonostante tutto, una flora interessante
Da allora, Lampedusa ha assunto la fisionomia con la quale ancora oggi si offre al turista continentale: una tavola stretta e lunga (3 x 7 km), pressoché piatta (la massima altitudine, con 137 m sul livello del mare, si raggiunge presso la punta a nord-ovest, all'Albero del Sole, sede – nonostante la denominazione poetica – dei ripetitori televisivi e dell’ex base militare di stanza sull'isola, ora riconvertita a centro d’accoglienza per gli immigrati sbarcati sulle coste), e quasi completamente spoglia di vegetazione arborea.
Fa eccezione, sempre a nord-ovest, un rimboschimento datato agli anni ’70, a opera del Corpo forestale dello Stato, con prevalenza di pini d'Aleppo (Pinus halepensis) ed eucalipti (Eucalyptus globulus), alternati a tamerici (Tamarix africana), strettamente protetti e sorvegliati a vista per l'elevato rischio d'incendio: sono tutte piante facilmente aggredibili dalle fiamme. La crescita di questi alberi non è tuttavia eccezionale, snocciolata com'è su un quarantennio durante il quale non è intervenuto, se non di rado, il conforto dell'acqua piovana, a mitigare temperature estive ben oltre i 40 °C...
Anche la fascia arbustiva risente del microclima particolarmente secco, limitandosi a bassi cespugli spinosi di Ephedra fragilis alternata a Euphorbia dendroides, a qualche sparuto cappero (Capparis spinosa, non coltivato, a differenza di quanto avviene nella vicina Linosa), agli “esotici-ormai naturalizzati” fichi d'India (Opuntia ficus-indica) e fichi degli ottentotti (Carpobrotus acinaciformis), entrambi sfuggiti dai giardini privati, così come il tabacco ornamentale (Nicotiana tabacum).
Sorte migliore tocca alle specie erbacee, in buona parte terofite – cioè annuali che si riproducono da seme – e spinosissime (come Dipsacus fullonum, Centaurea horrida, Scolymus hispanicuse Pallenis spinosa), fra le quali regna però sovrano il finocchio selvatico (Foeniculum vulgare), ingrediente principe della sicilianissima, prelibata pasta con le sarde.
Dai pesci alle tartarughe
Per l’appunto, Lampedusa è il regno dei cultori del mare, sia da vedere in profondità, sia da assaporare in tavola. Lungo le ricchissime coste, anche il bagnante più inesperto nuota circondato da branchi di pesciolini (moletti) grigi o neri e, con un po’ di fortuna, si trova faccia a faccia con un polpo o una stella di mare. Durante una gita in barca non è raro avvistare delfini e balenottere che, a volte, si avvicinano fino a brevissima distanza, evidentemente per scrutarci bene… I pescherecci escono quotidianamente, bottinando pesci spada, tonni, pagelli, prai, triglie, orate, dentici, ricciòle, aragoste, calamari, seppie, polpi, gamberi e quant’altro può regalare il mare. Ma se non siete residenti, informatevi bene su dove gettare la lenza: una parte delle acque che circondano sia Lampedusa sia Linosa sono Aree marine protette, con divieto di pesca per i turisti. Accontentatevi piuttosto delle immersioni, che vi faranno scoprire un mondo subacqueo affascinante e imprevedibile.
Entrambe le isole sono poi note nel mondo per le tartarughe marine (Caretta caretta) che, da un ventennio, hanno ripreso a nidificare nelle calde sabbie che ornano le loro coste. Nottetempo, mamma-tartaruga compie il faticoso cammino dall'acqua fino al retrospiaggia (una trentina di metri in tutto) e, dopo essersi accertata che nessun essere umano la stia osservando, incomincia a deporre le uova (un centinaio per volta), operazione che la impegna per un’ora circa. Con le robuste zampe posteriori a mo’ di paletta ricopre la preziosa buca e subito riprende la via del mare. Dall'indomani è – purtroppo – affidato al caso il rinvenimento dell'inestimabile nido (spesso sono i cani randagi a segnalarlo, scavando furiosamente per nutrirsi delle piccole uova), che i volontari di Legambiente provvedono subito a recintare e proteggere durante i due mesi necessari alla schiusa (che si verifica fra settembre e ottobre). Per un suggestivo incontro, almeno con i nidi, le coste predilette dalle tartarughe sono, a Lampedusa la spiaggia dei Conigli, e a Linosa Cala Pozzolana di Ponente, dalla caratteristica sabbia nera.
L’itinerario consigliato a Lampedusa
Tutti hanno sentito parlare della famosa isola dei Conigli, a un centinaio di metri dall’omonima spiaggia, sul lato sud dell’isola di Lampedusa. La sua fama non è certo immeritata, visto che si tratta della zona più verde, ricoperta com’è di fitti arbusti di lentisco (Pistacia lentiscus) e di fillirea (Phillyrea latifolia). In compenso, dei conigli che le danno il nome non è rimasta nemmeno l’ombra, già dalla fine dell’Ottocento, sostituiti da migliaia di garruli gabbiani che vi nidificano.
Quanto a bellezza, non è da meno la spiaggia, di finissima sabbia color crema quasi rosato, circondata da un anfiteatro naturale di bianche falesie. Dopo la discesa lungo il sentiero sterrato (la zona è stata dichiarata Riserva naturale dal 1995), il panorama che si stende alla vista dopo l'ultimo scalino di roccia mozza il fiato (così come, per motivi strettamente fisici, avviene al ritorno, nella lunga e ripida risalita...). Man mano che si scende, il mare cristallino color acquamarina, che sfuma nel turchese e nel bluette, appare nella sua purezza come un fresco refrigerio per sfuggire alla canicola.
Ma non sono da meno le altre cale dell’isola, dalla mondana Guitgia (troppo vicina al paese per rimanere incontaminata) alla piacevole Cala Greca (punteggiata nel retrospiaggia di Pancratium maritimum), da Cala dei Francesi (riconoscibile per le due palme che la ornano svettando da un giardino privato) alla scogliosa ma incomparabile Cala Creta. Per scoprirle tutte, comprese quelle inaccessibili via terra (come Cala Pulcino o La Tabaccara), non resta che affidarsi a una barca, a noleggio o attraverso una gita organizzata. Grotte e fondali, sabbie e scogliere si alterneranno in una continua meraviglia che riempie gli occhi e accende il cuore.
Visitare Linosa
La verdissima Linosa, minuscolo quadrilatero di 5 kmq, sfrutta l'umidità che risale nel terreno dalle viscere della terra vulcanica per coltivare principalmente lenticchie, piccole, rotondeggianti, color nocciola, con le quali si prepara la zuppa simbolo dell'isola, servita con il delizioso vino locale. In alternativa, oltre a pomodorini, melanzane e peperoni, si coltivano i capperi, conservati in un’impalpabile salamoia salina (preparata con sale raccolto sull'isola) che esalta senza coprirlo l'aroma dei minuti boccioli.
Così come i panteschi, abitanti della gemella Pantelleria, anche i circa 500 linusani sono strettamente agricoltori, favoriti dal medesimo microclima vulcanico che consente anche la copertura dell'isola con la più classica macchia mediterranea: lentisco, fillirea, mirto (Myrtus communis), corbezzolo (Arbutus unedo), alloro (Laurus nobilis), rosmarino (Rosmarinus officinalis), Euphorbia dendroides, camedrio bianco (Prasium majus), ruta frangiata (Ruta chalepensis), pomo di Sodoma (Solanum sodomaeum).
Da maggio ad agosto sono in piena fioritura il timo (Thymus capitatus), pianta medicinale ed aromatica, la cineraria marittima (Senecio cineraria) e il papavero cornuto (Glaucium flavum), che con i loro colori punteggiano le pendici collinari.
Le scogliere e le rupi sono ricoperti da uno statice endemico dell'isola, Limonium algusae, accompagnato dalla carota selvatica (Daucus carota), dal finocchio marino (Chrytmum maritimum) e dall'erba cristallina (Mesembryanthemum cristallinum) capace di accumulare nei suoi tessuti quantità ingenti di acqua, apparendo così “cosparsa” di goccioline. Nella parte orientale dell'isola, dove sono presenti zone sabbiose, in primavera fiorisce il giglio marino (Pancratium maritimum), dai fiori bianchi profumatissimi.
Le dimensioni assai ridotte consentono agevolmente di girare a piedi, sui viottoli nerastri di lava che s'inerpicano sulle pendici dei tre vulcani spenti (Montagna Rossa, 187 m s.l.m.; Monte Nero, 107 m; Monte Vulcano, 198 m), fiancheggiando i piccoli appezzamenti coltivati e i canaletti con i quali gli isolani raccoglievano l'acqua piovana, prima dell'avvento del dissalatore, convogliandola in cisterne, parte delle quali scavate addirittura all’epoca delle guerre puniche per approvvigionare le navi romane.
La cura per la terra si riflette anche sugli edifici d’abitazione, lindi e ben tenuti, quasi si trattasse di “case di bambole”. Quel che colpisce è soprattutto il colore acceso, giallo, rosa, azzurro, verdino, che ne ricopre le pareti esterne, sottolineato dalla tinta contrastante che delimita le finestre e la porta. E poi, ovunque, minuscoli giardinetti o distese di vasi fioriti, disposti accanto alla soglia, sulle scalette d'ingresso, o addossati alla facciata in ordine sparso. Dalle bougainvillee ai gerani, dalle petunie alle lantane, dai gelsomini alle cactacee, dai ficus in veste arborea tutto concorre a colorare la piccola "isola verde".
Informazioni utili
Le due isole maggiori si raggiungono per via aerea (solo Lampedusa, con numerosi voli da diversi aeroporti dal 15 maggio al 30 settembre) o via mare (Lampedusa e Linosa sono collegate da traghetti e aliscafi giornalieri). Lo scoglio di Campione, disabitato, è visitabile mediante barche a noleggio.
A Lampedusa e Linosa il mezzo più comodo per spostarsi è un motorino a noleggio, reperibile presso i porti. Dall’aeroporto di Lampedusa in genere gli albergatori effettuano il servizio di transfer verso l’alloggio e di qui al centro cittadino, dove si trovano altri auto-motonoleggio.