Come ogni anno, a partire dalla metà di dicembre scatta la “caccia” al ramoscello di vischio, da appendere allo stipite della porta la notte di San Silvestro, per dare modo agli innamorati di scambiarsi un bacio che è una promessa di lunga durata del proprio amore. È un’usanza che affonda le sue radici lontano nel tempo, sull’onda delle osservazioni della civiltà contadina nordica, di buon augurio per coppie fresche o stagionate, insieme con altri rituali che caratterizzano la notte dell’ultimo dell’anno, come le vivande che portano chicchi o semi (metafora delle monetine).
Ma perché l’eterno amore si suggella proprio sotto un rametto di vischio, quando ci potrebbero essere tante altre piante molto più belle, o più collegabili all’amore eterno? Semplice: provate a staccare un rametto di vischio dal suo supporto… È praticamente impossibile a mano libera, senza l’ausilio di un falcetto! La sua collocazione, così salda e tenace, ne ha fatto quindi il simbolo di ciò che non può essere separato, nemmeno con la forza: ecco spiegato perché, oggi, gli innamorati usano baciarsi sotto un rametto di vischio!
Un “alieno” vegetale
Tenacemente abbarbicato com’è ai rami di alcuni alberi, anziché infisso nel terreno, quindi sospeso fra terra e cielo, e con quel verde olivastro così strano che sfoggia, coronato da bacche trasparenti, viene spontaneo anche oggi pensare a una sorta di “alieno” vegetale. Figuratevi cosa ne dovevano pensare le popolazioni più antiche, con le primordiali conoscenze di botanica e del mondo che avevano… Infatti, non a caso troviamo il vischio fra i protagonisti dei celeberrimi fumetti di Asterix il gallico: effettivamente i Druidi Galli e Britanni, un paio di secoli avanti Cristo, attribuivano la massima sacralità al vischio in senso ampio e al suo ospitante, la quercia (albero abitato dalla divinità), tanto da permetterne la raccolta (per scopi medicinali, dato che lo chiamavano “ciò che guarisce tutto”) solo in base a un rigoroso cerimoniale.
Nel sesto giorno di ogni mese lunare, il sacerdote-druido vestito di bianco saliva sull’albero e recideva i rametti con un falcetto d’oro, facendoli cadere su un panno candido, mai direttamente a terra (proprio come fa Panoramix, per chi ha letto Asterix).
I lattei e perfettamente sferici fruttini, insoliti non solo per il colore ma anche per la stagione di apparizione (inverno), suggerivano infatti uno stretto legame della pianta con la luna, che trasmetteva alla pianta immortalità, saggezza e fecondità e, proprio come l’astro notturno, nemmeno il vischio poteva toccare il terreno, per non perdere i propri magici poteri.
Non proprio un parassita
Con le conoscenze di oggi viene spontaneo pensare che il vischio, con le “radici” evidentemente infisse nei rami altrui, sia una pianta parassita: non è esattamente così, perché si tratta invece di un semiparassita. “Si limita”, cioè, a prelevare dalla pianta ospite (o parassitata) solo acqua e sali minerali, vale a dire linfa grezza che l’ospite ha appena risucchiato dal terreno mediante le radici. L’unico danno consiste di solito in una maggiore necessità di assorbimento radicale da parte della pianta parassitata, che però è libera di utilizzare la linfa grezza rimanente per le proprie operazioni fotosintetiche, necessarie alla sua esistenza. Naturalmente ciò vale se le piantine di vischio sono molto poche: in caso di infestazione massiccia, l’albero viene comunque talmente depauperato da poter deperire fino alla morte.
È stupefacente pensare al meccanismo che la Natura ha messo a punto per consentire al semiparassita di sopravvivere. Dal semino di vischio, mantenuto aderente alla corteccia del ramo da una sostanza vischiosa (donde il nome), spunta una “radichetta”, cioè un filamento che è in grado di scorrere sotto la corteccia della pianta, perforandone i tessuti più superficiali e infilandosi esattamente nell’alburno (lo strato sottostante la corteccia), all’interno del vaso xilematico (quello che trasporta la linfa grezza).
Fin da subito sottrae acqua e minerali che permettono così lo sviluppo della parte aerea del vischio, vale a dire di ramificazioni bifide (“a dicasio”) con foglioline a forma di goccia, dure e persistenti, verdognole (il che è indice di capacità fotosintetica). Man mano che gli “austori” (i filamenti che somigliano alle radici e ne svolgono la funzione) si moltiplicano, cresce la massa del semiparassita, fino a formare cespuglietti di grosse dimensioni (sino a 80 cm di diametro), sospesi sui rami di alcuni alberi. Per questo motivo, il vischio si è guadagnato l’appellativo di “pianta epifita”.
In effetti, gli alberi ospiti farebbero volentieri a meno della presenza del vischio, che però tanto fastidioso – come abbiamo constatato – non è, a meno che l’albero non venga infestato seriamente. E poi, per legge dantesca del contrappasso, anche il vischio può essere a sua volta parassitato da insetti fitofagi (“mangiatori di piante”), ignari vendicatori dell’ospite sfruttato che provvedono a ridurlo a più miti consigli!
Una raccolta spesso “barbara”
Da noi in Italia, il vischio vero e proprio (Viscum album, della famiglia delle Viscacee) predilige fra le Conifere l’abete bianco e il pino silvestre (ciascuno assalito da una precisa sottospecie di vischio), mentre fra le latifoglie non disdegna tigli, pioppi, salici, ontani e robinie, e tra i fruttiferi melo e pero. Il cespuglietto che spunta fra i rami delle querce non è invece la stessa specie: si tratta del vischio quercino (Loranthus europaeus, Lorantacee) – che per la verità si trova a suo agio anche su castagni e olivi –, che si differenzia per le foglie caduche e più corte, e per le bacche di colore giallo a maturità. Ovviamente, vista la deciduità fogliare, non è oggetto di raccolta, né di interesse decorativo o commerciale.
Così le fronde delle piante che ospitano questa specie si salvano dal “passaggio dei Vandali”: sì, perché a fine anno gli improvvisati raccoglitori di vischio non vanno tanto per il sottile, pur di arraffare preziosi rametti da far pagare a peso d’oro. Nei boschi alpini e appenninici, ma anche nei parchi cittadini (dove peraltro vige il divieto di raccolta) o nei rari frutteti abbandonati, capita di vedere gente con la scala in spalla e la roncola o le cesoie in mano, girovaganti in cerca di materia prima. E chi si arrangia senza la scala? O si arrampica direttamente sui rami, o si avvale di falcetti o forbici con manico telescopico. Alla fine di tutte queste manovre, non è infrequente notare i segni del barbaro passaggio: rami d’albero spezzati in malo modo, cortecce lesionate dalla scala (tutte porte aperte alle malattie), e uno stillicidio di piccole fronde (abbandonate perché troppo minute per la vendita) di vischio a terra.
E se potessimo vedere la parte superiore dei rami spogliati, potremmo anche inorridire: accanto a monconi di vischio (che ributteranno il cespuglio quanto prima) indice di prelievo corretto, si sprecheranno nella corteccia dell’ospite le ferite prodotte nel tentativo di scavezzare meglio un prezioso cespuglio ben sviluppato o nel menare fendenti alla cieca da terra con la cesoia telescopica. Nella migliore delle ipotesi, gli austori residui provvederanno a ricacciare l’organismo semiparassita, ripristinando lo status quo ante, mentre la lesione nell’albero impiegherà parecchio tempo (data la stagione avversa) per cicatrizzarsi gemendo a lungo gocce di resina disinfettante nel caso delle Conifere. Nella peggiore, e più frequente, la ferita s’infetterà, fungendo da ricettacolo per funghi e parassiti (alcuni vivi e vitali anche in inverno), formando una gommosità che solo poche volte riesce a preservare la vita dell’albero.
Goloso cibo per uccelli
Un albero in meno non sembra poi una grande perdita ma, al di là delle considerazioni ormai più che note sulla distruzione delle foreste amazzoniche piuttosto che dei boschi liguri, sardi o calabresi, ricordiamoci che per ogni albero morto ne soffre l’intero bosco, inteso come ecosistema in equilibrio fra i suoi componenti. Per esempio ne vengono a risentire gli uccelli, privati del nido sicuro fra i rami, delle fronde che offrono rifugio, della corteccia che nasconde gustosi insettini, e dello stesso vischio dalle bacche prelibate.
La caratteristica che rende il semiparassita gradevolmente decorativo è infatti l’eterea presenza dei fruttini bianchi (donde il nome specifico album), tondi e traslucidi, che ne ornano graziosamente i rametti qua e là. In effetti, non tutti i cespuglietti sono provvisti delle madreperlacee bacche: certo non le hanno le piante maschili – la specie è dioica, vedi oltre – bensì solo gli esemplari femminili. Al loro interno la polpa gelatinosa, densa, viscida e appiccicaticcia ricopre piccoli semi verdi e piatti, indigeribili e velenosi per l’uomo. Per gli uccelli come merli, tortore, tordi e tordele, invece le bacche sono appetibilissime, nonostante la vischiosità che le ricopre e che rende difficile anche per loro averne ragione (cioè riuscire a inghiottirle): ingegnosamente, le sfregano con il becco contro la corteccia del ramo, ingerendone un frammento alla volta.
La mossa è stata evidentemente studiata da Madre Natura perché, così sfregando, i semini aderiscono alla corteccia che, anzi, viene leggermente scalfita nella manovra del becco, facilitando l’ingresso del primo austorio (“radice”). A volte però capita che la bacca finisca al primo colpo nel becco, ancora tutta intera: di bene in meglio, perché i semi non vengono minimamente intaccati dai succhi digestivi del volatile, e vengono espulsi con gli escrementi (di solito quando l’uccello si appollaia sul ramo di un albero...) a grande distanza dalla pianta madre, favorendo la disseminazione su vasti territori.
La vischiosità delle bacche rappresenta però un’arma a doppio taglio: se la Natura l’ha creata per la diffusione della piantina, l’uomo l’ha sfruttata, soprattutto in passato, per confezionare trappole per gli uccelli di piccola e media mole, che venivano adescati con richiami e zimbelli per rimanere poi invischiati nella poltiglia. Così in Liguria, Lombardia, Veneto ed Emilia si confezionava il palmone; in Romagna, Toscana, Umbria e Lazio si preparavano la civetta, le panie e i panioni, e nel Meridione si usavano il diavolaccio e le paniuzze. Oggi l’uccellagione, con o senza vischio, in Italia è per fortuna vietata dalla legge. E il vischio rimane libero di riprodursi spontaneamente, bene augurante dalla sommità degli alberi dei boschi.
Il vischio in giardino? Meglio di no!
Un cespuglietto di vischio in giardino? Non ve lo consigliamo proprio: pur essendo, tra le piante "parassite", una delle meno pericolose, la sua diffusione è molto rapida, specie se nelle vicinanze svolazzano parecchi uccelli delle specie che ne sono ghiotte, responsabili della sua propagazione.
In pochi anni rischiate di trovarvi gli alberi coltivati invasi da aerei cespugli, assai antiestetici in inverno sulle latifoglie, e il cui soprannumero non porta certo benessere alle vostre piante. Infatti, gli alberi colpiti, soprattutto se ospitano numerosi esemplari (più di 3-4 piante per albero) di vischio, subiscono un deperimento lento, che nell’arco di 10-15 anni li può portare a morte.
Se il vischio fosse già presente, per eliminare le piantine sovrannumerarie (ovviamente vanno eliminati tutti i maschi, tranne uno, necessario alla fecondazione), l'unico sistema è il taglio del ramo su cui il vischio è installato, perché altrimenti la piantina rinascerebbe anche dopo il taglio alla base: il moncone ributterebbe subito un nuovo fusticino...
Peggio ancora scavare nella corteccia: rischiate di diffondere gli austori attraverso l’albero e di infettare la ferita, aperta così a funghi e parassiti (alcuni vivi e vitali anche in inverno). Meglio, appunto, un taglio drastico.
A meno che il semiparassita non sia insediato su un ramo molto grosso o direttamente sul tronco: in questi casi è d’obbligo contattare una ditta specializzata nella manutenzione degli alberi per l’eliminazione.
Infine, vista la massiccia diffusione allo stato naturale, coltivare il vischio a uso “industriale” non regala grandi guadagni, oltretutto limitati dalla ristretta circoscrizione temporale del commercio.
Come raccoglierlo correttamente…
- Se avete deciso di raccogliere voi il vischio, dopo aver individuato i cespuglietti in natura, per es. in un bosco di conifere, accertatevi che non vigano divieti di raccolta di materiali naturali, come nel caso di parchi e riserve naturali.
- È molto probabile che vi serva una scala, preferibilmente a una sola rampa e munita di picchetti alla base: è ideale quella per la raccolta della frutta dagli alberi, purché ovviamente non sia troppo alta e quindi non trasportabile in automobile.
- È comunque cosa saggia effettuare l’operazione con un compagno che, oltre a reggere la scala, possa eventualmente chiamare i soccorsi nel malaugurato caso che accada qualcosa di drammatico.
- Una volta arrampicati, recidete il cespuglietto di vischio alla base con un coltellino pulito e affilato, facendo attenzione a non danneggiare ulteriormente la pianta ospite: incidete solo il fusto del vischio, non la corteccia dell’albero.
… e come acquistarlo correttamente
- Se invece, più comodamente, decidete di acquistare il fatidico rametto, attenzione a dove lo acquistate. Comperatelo solo presso rivenditori autorizzati (fiorai, garden center, supermercati) che dovrebbero fornire una certa garanzia di raccolta rispettosa degli organismi viventi coinvolti nell’operazione.
- Infatti, se è vero che le grandi masse di rametti in vendita sono tutte di natura spontanea, provenienti da boschi, parchi e frutteti, è anche vero che gli alberi portatori di vischio fra novembre e dicembre possono divenire oggetto di una spoliazione selvaggia.
- I rivenditori legali dovrebbero affidarsi a fornitori a loro volta autorizzati (giardinieri, potatori, esperti di manutenzione alberi ecc.), mentre quelli improvvisati (come gli ambulanti appostati ai semafori o i mendicanti nelle vie del centro città) con buona probabilità hanno raccolto i cespuglietti in velocità, senza strumenti adeguati, scortecciando e ferendo irreparabilmente gli alberi.
- Buona parte di essi verrà venduta, anche solo per un presentino dell’ultimo minuto, e allieterà per qualche giorno o mese le abitazioni in festa, ma un’altra parte verrà invariabilmente cestinata appena scoccata la fatidica mezzanotte.
- E non giustificate l’acquisto “fuorilegge” pensando che, siccome il vischio è un semiparassita, la sua eliminazione massiccia non può fare che bene alle piante parassitate, o addirittura basandovi sul prezzo inferiore: oltre alle considerazioni di natura penale, ricordatevi dei danni procurati alla natura.
Per una lunga durata
Al momento dell’acquisto, scegliete rametti freschi, turgidi, non grinzosi o gialli, e carichi di bacche bianche traslucide. Il colore naturale del vischio è il verde giallastro, perché svolge solo una modesta funzione fotosintetica.
Tenetelo appeso “a testa in giù” in una stanza fresca se desiderate che le foglie e le bacche durino a lungo sui rami. In una stanza calda il rametto si seccherà: le foglie diventeranno grinzose e i frutti cadranno presto.
È preferibile non metterlo in acqua. Se volete proprio utilizzarlo come centrotavola o in una composizione, aggiungete cinque gocce di glicerina all’acqua del vaso.
Maschi e femmine
Avete un cespuglietto di vischio che da diversi anni vive, magari anche molto rigogliosamente, su un vecchio albero, producendo regolarmente all’inizio dell’estate piccoli fiori giallastri, ma mai le classiche bacche bianco-perlacee?
Il mistero è presto svelato: il vischio è una pianta dioica, cioè esistono piante solo maschili e piante solo femminili. Entrambe, ovviamente, fioriscono, ma solo quella femminile è in grado di formare le lattee bacche. Evidentemente, la vostra piantina è invece un maschio, che non produrrà mai frutti…
Per godere dei frutti, bisognerebbe far nascere altre piante di vischio mediante altre bacche (che a loro volta codificano la nascita di una pianta maschio oppure femmina) e sperare che almeno una dia una pianta femmina...