Fin dalla loro scoperta le piante carnivore hanno sollecitato la curiosità e la fantasia degli esseri umani, ricoprendo il ruolo di protagoniste in una miriade di storie e leggende.
Il moscerino nel Borneo e la pianta carnivora
Un piccolo moscerino sta volando tranquillo attraverso la umida atmosfera di una foresta del Borneo. A un tratto il suo lento vagare viene travolto da un intenso odore di nettare, proveniente da qualcosa che assomiglia a uno strano fiore dal colore scarlatto, adagiato sul terreno e parzialmente coperto dalla vegetazione del sottobosco.
L’ignaro moscerino si posa sulla superficie tinta di rosso per nutrirsi del dolce liquido prodotto dalla pianta; nel fare ciò sfiora un piccolo pelo, poi ne tocca ancora un altro, e improvvisamente i due lembi della pianta carnivora si richiudono su di lui impedendogli di volare via.
Ora, i lembi della foglia invece che produrre il dolce nettare iniziano a secernere degli enzimi che digeriranno il moscerino, riducendolo piano piano in poltiglia.
Questa scena sembra racchiudere la nemesi del mondo vegetale: le piante, solitamente parassitate e divorate dagli insetti, per una volta paiono avere la meglio.
La conoscenza delle piante carnivore
Il primo a occuparsi del fenomeno delle piante carnivore fu Carlo Linneo, il naturalista svedese del diciottesimo secolo che ripartì l’esistente in diversi regni: regno animale, vegetale e minerale.
Tuttavia le piante carnivore, a causa della loro “attività predatoria”, sfuggivano ai criteri della sua classificazione. Linneo in uno dei suoi scritti dichiarò che le piante carnivore “andavano contro la natura, per come era stabilita da Dio”.
Lo stesso Charles Darwin, in seguito alla scoperta di un esemplare di Drosera in una brughiera inglese, passò intere giornate nel condurre esperimenti su di essa. Lasciava cadere dei piccoli insetti sulle sue foglie e osservava come queste ripiegavano i loro tentacoli appiccicosi sulle sventurate prede. Da queste osservazioni Darwin concluse che il movimento per catturare gli insetti era innescato dalla stimolazione, da parte dell’insetto, di alcuni peli posti sul margine superiore delle foglie. Inoltre aggiunse che le foglie, una volta catturata la preda, impiegavano all’incirca una settimana per digerirla e poi riaprirsi.
A oggi sono conosciute più di 720 specie di piante carnivore ripartite in diciassette generi separati tra loro.
Durante la loro evoluzione si sono adattate a vivere in ambienti molto eterogenei, deserti compresi, preferendo comunque le zone paludose, le torbiere e le foreste tropicali. Anche in Italia si possono incontrare tre specie del genere Drosera, ancora presenti in piccoli ecosistemi umidi dell’arco alpino; sono la Drosera rotundifolia, la Drosera intermedia e la Drosera anglica.
Perché mangiano gli insetti?
Le piante carnivore si nutrono di insetti per sopperire alla carenza di azoto. Hanno modificato la struttura delle loro foglie, trasformandole in efferate trappole per catturare le loro prede e sopravvivere nei loro ambienti d’origine. Gli insetti infatti sono per queste piante delle fonti aggiuntive di nutrienti e in particolare di azoto, sostanza quest’ultima che spesso scarseggia nelle paludi e di cui invece le piante in generale sono delle avide consumatrici, impiegandolo per l’accrescimento dei tessuti vegetali.
Per soddisfare la necessità di un maggiore apporto nutritivo, queste piante hanno sviluppato una serie di trappole più o meno complesse a seconda delle prede da catturare. Infatti, se per la maggior parte delle piante carnivore la principale fonte di cibo sono gli insetti, esistono delle specie, soprattutto delle foreste tropicali, che possono catturare occasionalmente anche piccoli roditori o rettili.
Come fanno a catturare gli insetti?
Le strategie di cattura possono essere a grandi linee ripartite in quattro categorie:
• Trappole ad ascidio: l’ascidio è una foglia arrotolata a forma di ampolla che presenta delle maculature dall’aspetto veramente accattivante. Questi contenitori tendono a riempirsi di acqua, dove si insediano delle colonie batteriche che, in simbiosi con la pianta, digeriscono i piccoli animali che vi cadono all’interno. Il genere più noto che possiede queste trappole e anche più facile da trovare nei vivai è il Nepenthes. Tutte le piante appartenenti a questo gruppo possiedono degli ascidi che si sviluppano sul margine esterno delle foglie come prolungamento della nervatura centrale.
• Trappole adesive: appartengono a questo gruppo le piante del genere Drosera che crescono in Italia e il primo esemplare che catturò l’attenzione di Darwin. Queste piante carnivore possiedono sulla pagina superiore della foglia delle cellule che producono una sostanza vischiosa che appiccica gli insetti che vi si posano; inoltre per facilitare la digestione, una volta che l’insetto è rimasto incollato, la foglia tende a ripiegarsi per formare come una sacca digestiva.
• Trappola ad aspirazione: queste trappole generalmente appartengono a specie di piante acquatiche. Il loro meccanismo consiste infatti in piccole ampolle piene d’aria, che una volta aperte, in seguito alla stimolazione della preda, tendono a risucchiare dentro l’acqua con il piccolo insetto di turno.
• Trappole a scatto: sono forse tra le trappole più affascinanti, infatti il loro rapido movimento per catturare gli insetti le fa davvero apparire come degli animali più che come piante. La loro trappola è una foglia modificata che ha quasi l’aspetto di fauci dotate anche di denti sottili e affilati, che in realtà altro non sono che piccoli peli che impediscono all’insetto catturato di volare via.
Per anni è rimasto un mistero su come il meccanismo di chiusura potesse agire tanto rapidamente da catturare addirittura un insetto. Oggi, grazie anche agli studi pionieri di Darwin, si è scoperto che la chiusura è indotta dallo sfregamento di alcuni peli sensori posti all’interno di quelle che sembrano le fauci della pianta carnivora; da questo iniziale stimolo parte una cascata di eventi interni alla pianta che ha come sua conclusione la disidratazione delle cellule della nervatura centrale della foglia, che porta alla chiusura dei due margini fogliari. La specie forse più rappresentativa di questo gruppo è la Dionaea muscipula, il cui rossore della superficie fogliare ricorda tanto il palato di una bocca.
Le specie più facili
Tra le specie più facili di piante carnivore da coltivare in casa vi è sicuramente la Dionaea muscipula che richiede sole diretto per almeno qualche ora nell’arco della giornata. Chi dovesse decidere di coltivare questa specie, tenga a mente che la Dionaea ha un periodo di quiescenza in cui la pianta ha un aspetto poco vigoroso: non disperate, nel giro di un paio di mesi la vostra pianta tornerà a crescere e a produrre numerose “fameliche fauci”.
Di facile coltivazione sono anche molte specie del genere Drosera, la Sarraceniarosea, il Cephalotus follicularis e la Nepenthes truncata. Quest’ultima, ma più in generale tutte le specie del genere Nepenthes, tendono a consumare molta acqua se cresciute in casa e inoltre sarà necessario fare sì che le trappole a forma di ampolla siano sempre riempite di acqua fino a metà: provvedete con delle piccole innaffiature.
Come regola generale potrete aiutare le vostre piante fornendogli qualche insetto catturato da voi, ma è assolutamente da evitare la somministrazione di piccoli pezzi di carne che non gioverebbero alla pianta in alcun modo.
Come coltivarle
Uniche e peculiari nel regno vegetale, le piante carnivore hanno forme curiose, fioriture strane e, naturalmente, un particolarissimo regime alimentare. Anche se le diverse specie hanno richieste variabili in termini di esposizione, umidità e terreno, la maggior parte degli esemplari che possiamo provare a tenere in casa condividono alcune caratteristiche comuni. Vediamole insieme.
- Acqua. Richiedono acqua dolce povera di minerali, come acqua piovana non contaminata da smog. È importante raccogliere l'acqua in contenitori di plastica e non metallici. Le comuni acque imbottigliate sono da evitare: contengono minerali, in particolare sali di calcio, che provocano la morte della pianta. L'acqua distillata rappresenta la soluzione ottimale; nel caso di una collezione numerosa, può essere vantaggioso installare un impianto per ottenere acqua deionizzata per osmosi inversa.
- Umidità. In natura queste piante vivono in situazioni paludose o in ambienti tropicali e necessitano quindi di elevata umidità, che si può ottenere raggruppando vari esemplari in un sottovaso e irrigando in modo da mantenere due dita d’acqua alla base. Versare l'acqua nella sottocassetta e mai sul vaso o sulla pianta. Molte specie apprezzano una leggera vaporizzazione, ma non direttamente sul fogliame. Le piccole specie (Dionaea e alcune Nepenthes) crescono bene in ampi terrari o vasi di vetro.
- Luce. Richiedono un ambiente soleggiato (almeno 12 ore di luce) a cui rispondono sintetizzando pigmenti rossi e viola che le rendono spettacolari. A eccezione delle Nepenthes, che preferiscono luminosità diffusa, molte altre, come le Sarracenia, amano la luce diretta. Per alcune è necessario ricreare artificialmente una buona luce d'inverno.
- Temperatura. Le carnivore dei climi temperati, sebbene non sopportino il forte gelo, possono essere poste all'esterno per la maggior parte dell'anno. D'inverno vanno tenute in un posto freddo, con temperature attorno a 2-5 °C, in modo che entrino in dormienza fino alla primavera successiva, altrimenti cresceranno stentate e indebolite. Fanno eccezione le Nepenthes, che essendo tropicali, richiedono una temperatura da 20 a 30 °C per sopravvivere.
- Terriccio. Deve essere povero di nutrienti. Apprezzano un misto composto da tre parti di torba acida (pH non superiore a 5) e povera di azoto ottenuta dalla decomposizione di un particolare muschio che accompagna le carnivore allo stato brado (lo sfagno) e una parte di sabbia orticola o perlite. Le Nepenthes crescono bene nel terriccio da orchidee o in un substrato di sfagno puro. Per alcune specie, come le Sarraceniacee, è consigliata l'aggiunta del 10% di vermiculite, reperibile nei consorzi o centri specializzati, oppure il ghiaino di quarzo usato per gli acquari.
- Rinvaso. Si effettua a fine inverno (generalmente a febbraio), ma non è un processo regolare. Le condizioni dell’esemplare vanno valutate individualmente per determinare se un contenitore più ampio sia necessario, viste le modiche dimensioni del pane radicale. Il vaso nuovo dovrà essere solo leggermente più grande e in plastica, che evita la formazione di organismi nemici come muffe, funghi o le alghe.
Per voi due approfondimenti: l'intervista a Graziella Antonello, presidente dell'Associazione Italiana Piante Carnivore e un video dedicato alla Nepenthes alata di Cristiano Giovenali.
(tratto da “Carnivore: creature misteriose”, di L. Ferrari, n. 11, 2011)