Come i gatti, anche gli olivi hanno sette vite: nell’antichità venivano utilizzati per ricavarne legno da costruzione, fogliame come lettiera per il bestiame, olio per l’alimentazione e l’illuminazione. Oggi, invece, i maestosi alberi, pur mantenendo la funzione di produzione di “oro verde” da condimento, regalano anche prodotti cosmetici a base d’olio e, soprattutto, vivono sempre più di vita propria, in quanto albero che di volta in volta assume un ruolo di esemplare, quando possiede un’età veneranda e si staglia isolato nella campagna, una funzione paesaggistica quando il territorio è punteggiato da oliveti estensivi e una connotazione di vera e propria pianta ornamentale quando viene collocato in giardino, alla stregua di un tiglio o un acero.
La moda dell’“olivo in giardino” data alla metà degli anni ’90, quando i giardini più ricchi del Nord Italia improvvisamente si diedero a ospitare vetuste piante contorte, allora espiantate dagli appezzamenti del Meridione (dove non rivestivano più un valore economico produttivo, mentre incommensurabile era quello paesaggistico, percepito solo in seguito e spesso troppo tardi) e rivendute nel Settentrione a prezzi stratosferici.
L'intervista
Nel tempo, dagli spazi verdi dei più facoltosi, gli olivi si sono trasferiti in tutti i giardini, perfino sulle Alpi, complice un generale aumento della temperatura che ha visto un susseguirsi di inverni miti negli ultimi anni. Non si tratta più di alberi secolari, bensì di pianticelle anche giovani, dalle quali molti appassionati giardinieri sperano addirittura di ricavare, se non l’olio, almeno qualche barattolo di olive in salamoia, magari dopo qualche anno…
Nonostante la diffusione, rimane il fatto che l’olivo (Olea europaea) è una pianta mediterranea, sensibile alle basse temperature prolungate e, ancor di più, alle nevicate che, come insegna l’inverno 2012, potrebbero ancora riproporsi abbondanti in barba ai mutamenti del clima e all’effetto serra. Abbiamo chiesto, al riguardo, un parere al paesaggista Roberto Malagoli di Mirandola (Mo), che ha all’attivo la progettazione di numerosi giardini e spazi verdi comprendenti piante di olivo.
L’olivo può veramente resistere a lungo nel Nord Italia, per effetto dei cambiamenti climatici?
«Può certamente sopravvivere, ma senza alcuna garanzia di durata nel tempo. Il Nord Italia, infatti, ha un clima continentale che prima o poi presenta picchi di bassa temperatura: la cadenza può essere ventennale o venticinquennale, ma è comunque inesorabile. Nella pratica, vedo che chi richiede un olivo per il suo giardino spesso è fatalista e si accontenta di averlo anche per un numero limitato di anni, oppure a volte viene convinto dal personale dei punti vendita che la pianta si ambienterà: in realtà la genetica degli organismi viventi si modifica in tempi molto lunghi, non può una pianta nata in clima mite adattarsi in pochi anni a un clima rigido».
È possibile proteggere il proprio olivo da eventuali gelate o nevicate?
«Oggi le previsioni meteorologiche sono molto precise in termini di fenomeni e di giorni: quando indicano un considerevole abbassamento della temperatura, è necessario proteggere l’albero, per esempio mediante una fasciatura con ciuffi di paglia legati con la corda intorno al tronco. L’importante è lasciare la protezione solo per il breve periodo rigido, e non da ottobre ad aprile, altrimenti la pianta soffrirà per mancanza di aria e di luce, e perché le protezioni, inumidite dalle precipitazioni invernali, favoriscono l’insorgere di malattie fungine. L’unico riparo che si può lasciare più a lungo è il telo di tessuto non tessuto. Da non dimenticare è una pacciamatura al piede dell’olivo, che è molto delicato, soprattutto nelle piante giovani o messe a dimora da poco tempo, con foglie o corteccia d’abete, avendo cura di creare uno strato consistente, di almeno 15-20 cm».
Qual è la posizione in giardino che dà maggiori garanzie di sopravvivenza?
«Sconsiglio assolutamente le esposizioni a est e nord e raccomando quelle sui lati sud e ovest, più caldi e luminosi, avendo l’accortezza di scegliere un luogo che sia al riparo dalle correnti fredde dell’inverno».
Dal punto di vista paesaggistico ha senso piantare un olivo, secolare o meno, al Nord?
«In alcune zone collinari emiliano-romagnole o del Garda, dove c’è da sempre una certa tradizione olivicola, ci può essere una logica di continuità con una tradizione del passato che peraltro oggi va riprendendo piede anche a livello produttivo. In tutti gli altri casi non c’è motivo, se non quello di puro piacere egoistico e stridente con il contesto. Ma, come detto prima, sarà poi la natura stessa, come ha sempre fatto, a rimettere le cose a posto».
Da dove provengono gli “esemplari”?
«La maggior parte dalla Spagna, poi dal Portogallo e dal resto del bacino Mediterraneo. Alcuni, ma oggi sempre meno, provengono dal nostro Meridione, dalla Puglia soprattutto». Si ricorda infatti che in Puglia vige, dal 29 maggio 2007 lalegge regionale “Tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi secolari della Puglia” (n. 39 del 03/10/2006) emanata con lo scopo di tutelare i cinque milioni di olivi secolari e monumentali, prevedendo forme di promozione per la loro conservazione in loco e stabilendo sanzioni da 30.000 fino a 500.000 euro.
Quale significato riveste questo fenomeno dal punto di vista ecologico e ambientale?
«Nei casi in cui è necessario compiere opere di urbanizzazione in zone dove crescono olivi, è sicuramente meglio estirparli e venderli piuttosto che abbatterli: l’olivo infatti è una pianta che si lascia estirpare e traslocare, è un albero forte e capace di rigenerarsi, per questo esistono tanti soggetti plurisecolari. Il problema è che spesso, soprattutto negli anni scorsi, si tratta di una speculazione... Se è giusto recuperare le piante destinate all’abbattimento, è invece sbagliato lo scempio del paesaggio.
Un discorso diverso riguarda quegli olivi che erano stati piantati dagli agricoltori per produrre olio: in questo caso è una loro facoltà quella di estirparli e venderli quando, dopo 30-40 anni, non sono più produttivi, per sostituirli con piante giovani. Il boom ci fu qualche anno fa: i produttori potevano vendere per migliaia di euro piante che ormai producevano pochissime olive e non erano quindi più redditizie per l’agricoltura».
Quali sono i prezzi di vendita?
«I primi olivi, alla metà degli anni ’90, furono venduti a cifre astronomiche: fino a 30.000 euro per piante magnifiche, anche di 5 o 6 secoli. Oggi l’offerta è superiore alla domanda, cosicché si trovano grandi olivi secolari e pregevoli a soli 5.000 euro. Quelli meno anziani e più piccoli, venduti direttamente dagli agricoltori, vengono offerti anche a 500 euro rispetto ai 2.000 o 3.000 di qualche anno fa».