alluvione piante melograno
Melograno dopo l’alluvione, i cui effetti si vedono sui rami bassi, mentre il resto della pianta sembra rimasto integro (Foto Vivaio Benini).
Dopo un mese dall’alluvione in Emilia-Romagna l’esperto Roberto Malagoli propone nuovi consigli sul recupero di giardini e piante

È passato un mese dalla terribile alluvione in Emilia-Romagna e, dopo due articoli, che potete leggere qui e qui, piuttosto titubanti sul futuro dei giardini e delle piante dopo il passaggio dell’acqua (nonostante i tanti consigli descritti per salvarle), finalmente possiamo darvi notizie positive e speranzose: la Natura è veramente incredibile quanto a resilienza di fronte alla difficoltà!

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Roberto Malagoli, Esperto di gestione del verde.

Abbiamo parlato nuovamente con il Paesaggista Roberto Malagoli, progettista e curatore del verde di Studio Ma.Ma, Esperto di area Professionale e Qualifica per il rilascio delle attestazioni ai giardinieri per la Regione Emilia-Romagna (tel. 335 6922366, Facebook, www.studio-mama.it). I segnali che ha colto nella sua ultima visita nelle terre alluvionate sono di parziale recupero, nonostante i danni siano ancora ingenti e la crosta limosa sia ancora spesso in loco.

È passato un mese: come si è evoluta la situazione dei terreni alluvionati?

Per fortuna, si è evoluta in senso positivo! Nell’immensa sfortuna, abbiamo avuto due grandi vantaggi.

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Differenza di vegetazione fra le parti con limo asciutto fittamente crepacciato e la zona centrale con limo ancora bagnato e zonato in placche (Foto Vivaio Benini).

Il primo: se una simile catastrofe si fosse verificata in autunno, con temperature indirizzate all’abbassamento, l’umidità sarebbe rimasta e la suola di limo si sarebbe “plastificata” in loco per mesi, diventando veramente inamovibile e asfittica. Invece, dopo le esondazioni è arrivato subito il caldo, che ha permesso una “veloce” asciugatura del limo [NdR Chiamato comunemente "fango”, vedi articoli precedenti] e dei terreni.

Il secondo: i suoli della Romagna non sono fortunatamente molto argillosi, prova ne è il tipo di coltivazioni che la natura del terreno consente, bensì a prevalenza sabbiosa. Quindi è questa terra leggera e sabbiosa, fertile e ben lavorata, che l’acqua, nel suo impeto, ha asportato e ridepositato su tutti i terreni circostanti: se si fosse trattato di terreno pesante e argilloso, ora avremmo una suola compatta e impenetrabile stesa su tutti i terreni invasi dalle acque. Ma per fortuna non è così.

Andiamo con ordine: che ne è allora della crosta di limo che tutti vediamo nelle immagini televisive o sui social, e i Romagnoli hanno nel proprio giardino?

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La crosta di limo fessurata ha permesso la rinascita dell’erba (gramigna). (Foto Vivaio Benini).

Il grande caldo arrivato subito dopo il ritiro delle acque ha fatto sì che la crosta limosa dapprima si sia fessurata in “dischi” grandi grossomodo come un piatto. Questi poi, con l’insistenza dei raggi solari, a distanza di un mese si sono ulteriormente fratturati in dischetti grandi quanto un piattino da caffè e probabilmente si fessureranno ancora in parti ancora più piccole. In sostanza, anziché formare un mantello impermeabile e uniforme che soffocava il terreno sottostante e ogni forma di vita, il limo solidificato si è crepato, permettendo così il passaggio dell’aria e della luce, senza che il suolo rimanesse per troppo tempo asfittico. Il che ha permesso all’erba sottostante di non morire, o almeno di non morire completamente.

alluvione pianteLa prova sta nelle foto qui a fianco di Andrea Benini dei Vivai Benini a Bagnile di Cesena, che riprendono lo stesso giardino del precedente articolo: nella prima foto vediamo la situazione 7 giorni dopo l’alluvione, con un mantello fessurato in grandi dischi e nessun segno di vita. La seconda mostra invece i dischi crepacciati in pezzetti più piccoli e, soprattutto, i ciuffi d’erba che dal suolo ancora coperto salgono fra le crepe, da cui sono entrate la luce e l’aria.

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Vivaio Benini a Bagnile di Cesena: in alto giardino aziendale coperto dalla crosta di limo 15 giorni dopo l’alluvione, qui sopra lo stesso scorcio dopo 30 giorni, con l’erba che spunta.

Quindi significa che il prato tornerà come prima?

Calma! I fili d’erba che si vedono sono prevalentemente di gramigna (Cynodon dactylon), che non per niente “non muore mai”: si tratta di una specie pioniera, che colonizza per prima i terreni nudi e inospitali o si insinua nei tappeti erbosi diradati perché ha bisogno di pochissimo per vivere. Non è detto quindi che le Poe, e le festuche, classiche specie da prato, siano sopravvissute. Tuttavia la gramigna è importante perché contribuisce a dissodare il terreno con i suoi forti fusti sotterranei e pian piano restituisce sostanza organica al terreno, creando un ambiente favorevole per la nascita di altre piante.

Tenendo presente che, come dicevo nel precedente articolo, l’acqua ha portato sicuramente una quantità enorme di semi, e quindi bisogna aspettarsi la nascita di specie (infestanti ma non solo) magari mai viste prima nel proprio giardino.

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Prato polifita in cui la gramigna per prima sta salendo dalle crepe del limo (Foto Vivaio Benini).

Stanti così le cose, è probabile che il prato “all’inglese” impieghi 2-3 anni per ricostituirsi, aiutato dall’uomo, mentre i prati polifiti [<[NdR Costituiti da numerosissime specie diverse, quelle che si instaurano spontaneamente in tutti i tappeti erbosi dopo 3-4 anni dalla semina, e che vanno tosati di frequente per selezionare la presenza delle Graminacee e ridurre quella delle Dicotiledoni] probabile che non manifestino gravi problemi fin da subito.

Passando alla seconda “fortuna”: qual è un suolo argilloso?

Per esempio i calanchi, che caratterizzano l’Appennino emiliano-romagnolo. Vedendoli, così scivolosi nella loro natura a formare ampie “ferite” brulle sui fianchi delle colline, verrebbe da pensare che sarebbero stati i primi a scivolare a valle sotto forma di frane, così abbondanti in tutto l’Appennino emiliano-romagnolo durante l’alluvione e i successivi nubifragi.

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Dove il limo è ancora umido non c’è rinascita di erba: il terreno è rimasto asfittico (Foto Vivaio Benini).

E invece no! Perché sono costituiti quasi totalmente di argilla pura: lo strato superficiale si spacca con l’aridità, ma protegge quello sottostante e, quando piove, diventa subito impermeabile, lasciando scivolare l’acqua sopra di sé ma senza smottare sullo strato inferiore. Non per niente l’argilla pura si adopera per impermeabilizzare il fondo dei laghetti…

Questo conferma anche che la terra portata via dall’acqua alluvionale aveva natura sabbiosa, altrimenti non si sarebbe erosa così tanto al passaggio dell’acqua, rimanendo “incollata” in loco.

Ci sono altri segnali di vita?

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Foglie di quercia imbrattate di limo alluvionale (Foto Vivaio Benini).

Innanzitutto gli alberi: negli articoli precedenti ipotizzavo che si sarebbero salvate in buone condizioni le specie igrofile (pioppi, ontani, salici), mentre avrebbero avuto conseguenze più o meno nefaste tutte le altre. Ebbene, non è così! Ritiratasi finalmente l’acqua, con o senza suola sul terreno, quasi tutti gli alberi non mostrano particolari segni di sofferenza (grazie al periodo prossimo all’estate in cui si è verificata l’alluvione). Certo, il fogliame sui rami bassi sommersi dall’acqua è ancora imbrattato di limo crostoso, e probabilmente cadrà, ma non è detto che siano morti anche i rami che lo portano: aspettate a tagliarli, perché potrebbero emettere nuove foglie.

Tutti gli alberi si possono aiutare da qui alla fine dell’estate con leggere concimazioni, aggiunta di sostanza organica apportata abbastanza di frequente (circa una volta al mese) a riempimento delle fessure che via via si formano nella crosta del terreno, togliendo la crosta di limo quando eccessiva, distribuendo il concime e grattando la terra superficiale per aiutarne la penetrazione.

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Vasi di hemerocallis alluvionati al Vivaio Benini.

E poi, nel Vivaio Benini a Bagnile di Cesena, mi hanno sorpreso i vasi delle Hemerocallis: sono rimasti sepolti per alcuni centimetri alla base dal limo, che ha ostruito i fori di drenaggio, per una settimana. Però, ad acqua ritirata, dai buchi sono comparse da alcuni giorni numerose radici, della lunghezza di 10 cm, che “camminano” sul telo da pacciamatura sistemato sotto i vasi. Segno che anche loro non hanno subìto danni ma anzi, sono stati stimolate ad accrescersi in questo strato che alla fine si presenta non del tutto “inospitale”.

 

 

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Dai vasi degli Hemerocallis spuntano nuove radici appoggiate sul telo pacciamante (Foto Vivaio Benini).

Ora cosa bisogna fare per restituire il benessere alle piante del giardino?

Come già detto negli articoli precedenti, rimane sempre valido il consiglio di asportare le zolle di limo laddove sia eccessivo. Dopodiché si vanga apportando in superficie torba, oppure humus o compost, ricavato da erba o foglie morte o altra sostanza organica, volendo con l’aggiunta di sabbia e piccoli grani di lapillo.

Anche se, quando il terreno si crepaccia, tutto quello che è appoggiato sulla superficie (dalle foglie cadute ai semi, agli insetti morti, residui organici ecc.) viene inghiottito dalle crepe, grazie alle precipitazioni che lo trascinano in profondità, contribuendo così ad apportare sostanza organica in profondità. In agronomia è noto che, se un terreno non venisse lavorato per lungo tempo (come succedeva prima dell’agricoltura), avrebbe la struttura e la fertilità di un suolo perfettamente arato, proprio perché è la meccanica della Natura ad aver previsto come riportare autonomamente la terra alla fecondità. Quindi, anche in questa situazione anomala, di crosta limosa persistente, è probabile che la terra non perda fertilità, anzi, che ne guadagni.

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Gli albicocchi alluvionati hanno perduto buona parte dei frutti in fase di maturazione (Foto Vivaio Benini).

Ciononostante, consiglio comunque di rimuovere appena possibile le zolle di limo perché è vero che questo limo è sabbioso, friabile e fertile, ma dove se ne ha la possibilità è meglio asportare la crosta che si riesce a togliere.

Ricordo – amaramente in questo frangente – che le pianure egiziane intorno al Nilo sono state ampiamente fertili e coltivate fintantoché il grande fiume è stato libero di esondare due volte l’anno, ricoprendo i terreni proprio con il limo, in uno strato sottile (2-3 cm) che veniva poi frantumato con l’aratura per incorporare sostanza organica e sabbia alla terra da coltivare.

Il solito consiglio finale?

Abbiate fiducia nelle capacità di resilienza e ripresa della Natura! Lei si riprende sempre, anche dopo le eruzioni, gli incendi, i terremoti e le alluvioni. E non abbiate fretta nel ricreare ciò che c’era prima. È affascinante anche scoprire giorno per giorno che cosa la Natura è in grado di fare: piante che potevate credere morte o fortemente danneggiate potrebbero riprendersi da qui alla fine dell’estate, e sarà bellissimo assistere alla loro rinascita, lasciando in magazzino la motosega.

Intervenite solo – come indicato nello scorso articolo – sugli alberi di pregio che manifestano gravi segnali di sofferenza, con un espianto di salvataggio o un insufflamento d’aria nel terreno.

E se volete ricreare in fretta una sorta di normalità, non dimenticate di fare un salto nel garden center più vicino: qualche piantina annuale, a basso costo, con i fiori sgargianti tira subito su il morale e fa apparire sopportabile anche questo disastro.

 

Questo è il terzo di una serie di articoli che intende informarvi, man mano che il tempo passerà, su cosa fare per avere di nuovo un bel giardino dopo l’alluvione in Emilia-Romagna. Il nostro esperto Roberto Malagoli vi racconta il da farsi, settimana dopo settimana: non perdetevelo!

Continuate a seguirci! Stay tuned!

Giardino sotto l’alluvione: cosa fanno le piante un mese dopo - Ultima modifica: 2023-06-15T10:25:54+02:00 da Elena Tibiletti