Se meteorologicamente parlando non esistono più, le mezze stagioni permangono per quanto riguarda i fattori fisico-climatici: è indubbio che con l’arrivo dell’autunno le ore di luce diminuiscano sensibilmente, per giungere alla fine al di sotto del fabbisogno minimo necessario alle piante per effettuare la fotosintesi clorofilliana, l’operazione indispensabile ai vegetali per ricavare l’energia vitale. Quando l'illuminazione solare raggiunge i livelli più bassi, assolutamente insufficienti per l'utilizzo da parte di quasi tutte le piante, queste si vedono costrette ad arrestare i processi fisiologici: è la luce, più che il freddo, a segnalare ad alberi e arbusti caducifogli che sta arrivando il momento di… spogliarsi e andare a riposo!
Le temperature, infatti, oltre a variare di anno in anno il proprio andamento, incidono in maniera diversa a seconda della specie vegetale: alcune piante tropicali hanno freddo già a +15 °C, mentre le Conifere resistono fino a –30 °C e il melo addirittura sino a –40 °C. Non è quindi il termometro a suggerire la caduta del fogliame, anche se la discesa sotto lo zero, nelle foglie non predeterminate a resistere al freddo, provoca la rottura delle cellule a causa del congelamento dell’acqua in esse contenuta, con conseguenze drammatiche di lacerazione dei tessuti fogliari.
Semplicemente, le foglie servono sostanzialmente per svolgere la fotosintesi: quando questa operazione risulta impossibile, il fogliame non ha più ragione di rimanere sui rami e quindi cade. Alla dormienza autunno-vernina, le piante si preparano secondo un "rituale" ben preciso e immutabile. Il primo passo, inavvertibile a occhio nudo, si svolge per i sempreverdi e per i caducifogli già in agosto quando, anziché produrre vasi dalle pareti sottili e dal lume ampio – come avviene in primavera – l'albero crea vasi poco pervii e dalle pareti ispessite, da utilizzare come ulteriore sostegno meccanico per il tronco impegnato a reggere, eretto e stabile, il peso delle intemperie (soprattutto vento e neve). Ne consegue che sarà minore la quantità di linfa che raggiunge le foglie, che infatti incominciano qua e là a ingiallire, soprattutto se non piove a sufficienza.
Quando, a fine settembre-inizio ottobre, le ore di luce calano vistosamente (più di 2 ore in meno rispetto al 21 giugno), scatta per le latifoglie – è proprio il caso di dirlo – l’“allarme rosso”, nel senso che il fogliame si arrossa (o s'indora) prima di cadere miseramente al suolo. Il distacco è provocato dall'arrivo, alla base del picciolo, di grandi quantità di acido abscissico (lo stesso che interviene sul picciolo dei frutti a maturazione avvenuta) per sciogliere le connessioni che tengono le foglie collegate al ramo. Basta allora il più lieve soffio di vento a provocare un'asciutta pioggia dorata, aranciata o infuocata.
Per i mesi successivi, infatti, non solo le foglie non servono più alla pianta, non potendo fotosintetizzare, ma anzi potrebbero trasformarsi in un elemento dannoso, allorquando il vento spirasse impetuoso scuotendo le fronde irrigidite dal gelo (e, per legge fisica, un segmento rigido si spezza più facilmente di uno elastico). E quando le piogge torrenziali e ininterrotte appesantissero il robusto apparato fogliare, o la neve copiosa oberasse i rami fogliosi, gli alberi conserverebbero ben poche speranze di oltrepassare indenni nella loro integrità l'inverno. Ecco spiegato il perché della consueta e spettacolare caduta autunnale delle foglie, che riguarda la maggior parte degli arbusti e alberi – i cosiddetti “caducifogli” – alle nostre latitudini.