Da questa minuta pianta spontanea sono state ricavate le numerosissime varietà coltivate che tutti conosciamo e consumiamo: insalate come il cicorino, la scarola, l’indivia, l’insalata belga (witloof) e i radicchi (rosso, verde e variegato), e ortaggi quali la cicoria (dalle grandi foglie incise di colore verde scuro, molto simili a quelle della pianta selvatica), la catalogna e le romane “puntarelle”.
Spontanea e coltivate sono accomunate da un tratto, derivante appunto dalla specie selvatica: il gusto gradevolmente amarognolo (derivante dall’intibina), che indica un’azione benefica sul fegato, combattendo l’insufficienza epatica e biliare; inoltre è aperitiva, digestiva, diuretica e disintossicante. Grazie all'alto contenuto di vitamine e sali minerali è ricostituente ed energetica; l’ingente quantità di ferro e clorofilla la rende antianemica; le mucillagini e fibre ne fanno un emolliente delle mucose e della cute irritate, ma anche un rinfrescante e un delicato lassativo. Infine, è indicatissima per i diabetici perché lo zucchero contenuto è l'innocua inulina.
Com'è fatta la cicoria selvatica
La cicoria selvatica (Cichorium intybus) è una Composita annuale erbacea, caratterizzata da una radice simile a una piccola carota chiara, da cui si erge un fusto poco ramificato, alto da 30 a 60 cm. Le foglie sono lanceolate e abbraccianti il fusto (amplessi cauli), ma leggermente diverse fra la base e la parte alta della pianta. Da maggio a ottobre produce “fiori” ligulati, grandi 2-4 cm, di uno splendido color indaco. Come per tutte le Ligulacee, i fiori permangono ostinatamente chiusi nelle giornate umide e prive di sole, per schiudersi solo al tepore dei raggi.
La coltivazione
Coltivarla è semplicissimo a patto di riuscire a reperirne le sementi (che raramente si trovano in vendita in bustina), per esempio raccogliendo i capolini spontanei appena dopo che gli acheni (semi) sono arrivati a maturazione. In primavera si spargono i semi su qualunque terreno, purché ben drenato e soleggiato, anche in vaso. Va bagnata poco e non necessita di concimazione. Si può autoriseminare da un anno all’altro lasciando andare a seme alcuni capolini.
Come si raccoglie
La cicoria selvatica è diffusa uniformemente in tutta Italia, dalle coste ai 1.200 m di quota. Si raccomanda di raccogliere solo piante cresciute in zone incontaminate (nasce anche nelle aiuole spartitraffico in città…).
Fra maggio e luglio si raccoglie la pianta tagliandola alla base, si pulisce e si appende a testa in giù finché non è ben secca. Poi si staccano i fiori e le foglie conservandoli separatamente in barattoli di vetro scuro ben chiusi.
Nonostante il sapore amarognolo, sarebbe meglio riuscire a bere le tisane senza addolcirle…
Rimedi naturali con la cicoria selvatica
- Per depurare l’organismo: bollite 15 g di foglie per 5 minuti in una tazza d'acqua, lasciate in infusione per 15 minuti, filtrate e bevete 2 tazze al giorno a digiuno per 20 giorni.
- Come diuretico: bollite 25 g di fiori e foglie per 10 minuti in una tazza d'acqua, filtrate e consumate una tazza la mattina a digiuno.
- Per combattere una leggera anemia: bevete un bicchiere di succo (ricavato centrifugando 300 g di foglie fresche) la mattina a digiuno per almeno un mese.
- Come lassativo dolce: bollite 5 g di foglie per 10 minuti in una tazza d'acqua, filtrate e assumete una tazza prima dei pasti.
- Per donare un colorito roseo alla pelle: infondete 5 g di foglie fresche per 10 minuti in una tazza d'acqua, filtrate e bevete 3 tazze al giorno per 15 giorni.
- Per chiudere piccole ulcerazioni: fate un impacco di foglie fresche pestate da applicare interponendo una garza tre volte al giorno.
Fra realtà, storia e leggenda
• Nell'antichità era un’importante pianta medicinale: il medico Dioscoride la consiglia per fortificare lo stomaco, il naturalista Plinio come rinfrescante, il medico Galeno come “amica del fegato”.
• Nel Medioevo però la mancanza di cibo portò finalmente ad apprezzarne le qualità gastronomiche e nutritive, sia per l’uomo sia per gli animali, del fogliame e perfino dei vistosi fiorellini.
• Nel XVIII secolo si scoprì che la carnosa radice, essiccata, tostata e macinata, offre un decente e salutare (mantiene le proprietà della pianta) surrogato del caffè, ancora oggi in uso: in Italia fu ampiamente utilizzata durante le guerre napoleoniche, la prima e la seconda guerra mondiale.
• In passato si riteneva che le foglie fresche fossero in grado di restituire le forze a uomini e animali esausti per la calura estiva; essiccate, invece, si impiegavano per tisane depurative e contro l’itterizia.
Il caffè di Prussia
La carnosa radice, dopo esser stata essiccata, frantumata, tostata e macinata, si pone nella moka per ricavarne il cosiddetto "caffè olandese".
La bevanda viene chiamata anche “caffè di Prussia” perché Federico il Grande, fondatore della potenza militare prussiana, nel XVIII secolo ne favorì fortemente la produzione.
La torrefazione trasforma in caramello gran parte dell'inulina (zucchero simile all'amido), che assume un colore più scuro, un odore più aromatico e un sapore più amaro di quello del caffè.