Come siamo cambiati negli ultimi 40 anni… Alzi la mano chi, oggi, sa com’è fatta una nespola selvatica, ha assaggiato le bacche del sambuco o sa riconoscere al volo quelle del sorbo! Sono tre frutti “dimenticati”, cioè alimenti comuni soprattutto nelle campagne fino agli anni ‘60 e poi abbandonati, soppiantati da frutti più redditizi come mele e pere o più sfiziosi come le fragole.
Data l’importanza della biodiversità, e per evitare che la globalizzazione mondiale ci appiattisca il gusto sugli stessi, pochi sapori, vale la pena di recuperare questi frutti del passato (ma ancora coltivati e reperibili presso mercatini e agriturismi) per tre buone ragioni: innanzitutto, la curiosità gastronomica è indice di apertura verso il mondo e di buona salute psicologica; secondo, si tratta di frutti privi di residui chimici, visto che gli alberi che li producono non vengono attaccati da malattie e parassiti; terzo, potreste scoprire sapori deliziosi e abbinamenti insoliti che vi conquisteranno…
Nespole da ammezzire
Quando si parla di nespole, oggi il pensiero corre subito ai frutti arancioni, simili ad albicocche, pronti in maggio… Ma le nespole color del sole appartengono al nespolo del Giappone (Eriobotrya japonica), pianta importata in Italia alla fine dell’800. Nei secoli precedenti la parola “nespole” si riferiva ai frutti del nespolo selvatico o di Germania o del Nord (Mespilus germanica), un grazioso alberello, molto decorativo per la candida fioritura primaverile e l’arrossamento autunnale delle foglie, proveniente, a dispetto del nome, dall’area balcanica.
Per secoli questa nespola, color marrone rugginoso, rotondeggiante e con 5 semi, è stata considerata una vera leccornia: Greci e Romani la dedicarono al dio Saturno, e gli erboristi ritenevano potesse curare molti mali. Ampiamente coltivato fino a metà del secolo scorso, nelle campagne, dove ha sfamato centinaia di generazioni di italiani, oggi è una pianta in disuso, a favore di altri frutti già commerciabili al momento della raccolta.
La nespola, infatti, si raccoglie in ottobre quando non è ancora pronta per il consumo: la sua polpa è ancora troppo ricca di tannini e, ammorsandola, si ricava la sgradevole sensazione di allappamento. I frutti vanno quindi lasciati maturare (“ammezzire”): un tempo si stendevano in unico strato sulla paglia… come dice il proverbio, “con il tempo e con la paglia, maturano anche le nespole”. Oggi si pongono in cassette di legno, in un locale fresco, aerato e asciutto per 30-40 giorni. A maturazione divengono morbide, dal sapore dolce-acidulo, e vanno consumate in fretta perché a questo punto non si conservano a lungo, andando incontro a una veloce fermentazione.
Oltre alla specie, le varietà selezionate ancora reperibili sono Goccia, dal frutto piccolo con sapore aspro che matura all'inizio di novembre, e Gigante d'Olanda, dal frutto di grandi dimensioni, polposo, molto dolce a maturazione completa che avviene a fine ottobre.
Le nespole sono ricche di zuccheri e di vitamina PP, ma sono note per le loro enormi proprietà astringenti, dovute al contenuto in tannini, che rimane comunque elevato anche a maturazione. Risultano pure diuretiche perché apportano 250 mg di potassio per etto.
Si gustano così come sono, oppure bollite nel vino nuovo o anche trasformate in una deliziosa marmellata dal gusto asprigno, ottima con le carni rosse e la cacciagione. È semplicissima da preparare: lavare 1 kg di nespole, metterle in una pentola d’acciaio inox con 500 g di zucchero, 5 dl d'acqua e la scorza di mezzo limone non trattato tagliata a strisce; portare a ebollizione e lasciare cuocere, mescolando di tanto in tanto con un mestolo di legno o di acciaio, finché la frutta si disfa; passare la purea al setaccio o al passaverdure per eliminare i semi; rimettere sul fuoco e fare addensare, mescolando, fino a ottenere la giusta consistenza, invasare a caldo e chiudere subito.
A proposito di dolcezze, ecco una curiosità che rende giustizia alla nespola selvatica: fino alla metà del secolo scorso il dessert delle domeniche autunnali nelle campagne padane consisteva nel ridurre in poltiglia la polpa ben matura, cospargerla di zucchero vanigliato, irrorarla con maraschino e gustarla come dolce al cucchiaio!
Sambuco, il viola che fa bene
C'era un tempo in cui non mancava mai un cespuglio di sambuco (Sambucus nigra) vicino a casa: pianta molto versatile, prestava i rami ai bambini che ne ricavavano ottimi fischietti e cerbottane; gli adulti invece lo usavano per tingere le stoffe: la corteccia le colorava di nero, le foglie di verde, i fiori di blu e le bacche di viola. Inoltre, nelle nostre campagne, durante secoli governati dalla magia, il profumo dei suoi fiori favoriva gli amori passionali; un rametto tenuto in tasca allontanava la tentazione del tradimento, e un mazzo di foglie, troneggiante in camera da letto, propiziava la nascita di un figlio maschio. Ma la sua funzione principale, fin dall'Età della Pietra, era quella di fornire, con i suoi frutti, il cibo: in Grecia le bacche di sambuco erano l'Alimento per eccellenza anche dopo l'arrivo del grano, tanto da meritarsi la qualifica di Dono degli dei!
L’arbusto, ubiquitario e poco esigente, si ammanta di false ombrelle (sono infiorescenze a corimbo) in aprile-giugno: spettacolari per grandezza (10-20 cm di diametro), sono in realtà formate da minuscoli fiorellini bianchi profumatissimi, che in agosto si trasformano in piccole bacche nero-violacee, sferiche e lucide, piene di succo viola. I corimbi di frutti maturi vanno recisi facendo attenzione a non sporcarsi con il succo, indelebile sui vestiti...
I frutti, ricchi di vitamina C, acidi organici (malico, tartarico, citrico), mucillagini e pectine, tannini e pigmenti coloranti (flavoni e antociani), sono ottimi antiscorbutici, depurativi e soprattutto lassativi: non bisogna eccedere nell'uso! Nell'Europa del Nord, i frutti sono utilizzati in marmellata con prugne e mele, nelle minestre, per salse e gelatine e per grappe aromatiche.
In Italia sono più tradizionali gli impieghi in sciroppo e marmellata. Il primo si prepara con le ombrelle di frutti ben maturi, accuratamente lavati sotto l'acqua corrente e sgranati a uno a uno in una pentola di acciaio inox: dopo aver riempito giusto il fondo, con una mano si schiacciano per far uscire un po' di succo, che favorisce la cottura; poi si completa la sgranatura. A fuoco medio si portano a ebollizione i frutti, mescolando di tanto in tanto. Quando tutte le bacche si saranno aperte, si passano i frutti in un passaverdure poco per volta, in modo da eliminare semi e bucce per ottenere solo il succo. Si pesa il succo ricavato e si aggiunge zucchero in ragione di 800 g per ogni kg di succo. A fuoco medio si fa bollire per 15 minuti circa, finché il liquido diventa sciropposo; si lascia raffreddare e si imbottiglia. È ottimo per gelati, macedonie, panna montata e, allungato con acqua e limone, per bibite.
Per cimentarsi con la marmellata, si procede inizialmente come per lo sciroppo, con l'accortezza di pesare la pentola vuota: quando la purea avrà raggiunto un po' di consistenza, si toglie la pentola dal fuoco e si pesa con il contenuto; si toglie la tara e si aggiunge lo zucchero in dose pari a metà del peso della purea; si mescola e si rimette sul fuoco. Si fa sobbollire, mescolando spesso, finché la marmellata avrà raggiunto la consistenza desiderata; si invasa a caldo.
Sorbole, che frutti!
“Sorbole” è l’espressione bolognese che significa “perbacco!” e che pare derivi proprio dalla bontà dei frutti del sorbo domestico (Sorbus domestica), che si svela al momento dell’assaggio (a fronte di un aspetto estetico sottotono). Anche questo era un piccolo albero che non mancava mai nei pressi delle abitazioni contadine, alle quali faceva ombra d’estate e dava la bellezza dei fiori in primavera e il sapore dei frutti in autunno.
Per ogni corimbo di fiori si sviluppano 4-6 pomi, del diametro di 2-4 cm, e di colore giallo-rossastro con puntini quando sono acerbi, e bruni quando diventano commestibili. Contengono acidi organici (malico, citrico, tartarico, sorbico), zuccheri, sorbitolo, pectine, un’ingente quantità di vitamina C, tannini, tutte sostanze utili ad affrontare l’inverno senza influenze e reumatismi, né disturbi gastrointestinali.
Due sono le varietà del sorbo domestico: la pyrifera con il frutto che assomiglia appunto a una pera in miniatura, e la malifera che produce invece un frutto somigliante a una piccola mela. I pomi si raccolgono in settembre, recidendo il peduncolo dell’intero corimbo, ma le sorbe o sorbole risultano ancora dure e immangiabili a causa della solita quantità elevata di tannini: vanno anch’esse poste nella paglia e si possono consumare solo quando sono ammezzite, dopo almeno un paio di mesi. Si mangiano così come sono oppure si trasformano in marmellate e gelatine asprigne, salse, o si macerano nell'aceto e nella grappa, che assume un sapore simile al kirsch. In passato i frutti venivano essiccati e macinati per ricavarne una farina da mescolare a quella di frumento, grano saraceno o castagne per fare il pane.
Se ne ricava anche un gradevole liquore dallo spiccato potere digestivo: basta mettere 400 g di sorbe acerbe in uno scolapasta e lavarle sotto l'acqua corrente; asciugarle strofinandole delicatamente tra due canovacci. Prendere un vaso a chiusura ermetica da 1 litro, mettervi le sorbe ben asciutte, 350 g di zucchero, la scorza di un limone non trattato tagliata a strisce, un pezzetto di corteccia di cannella, 3 chiodi di garofano e coprire con 3,5 dl di alcol puro a 95°. Porre al sole per 10 giorni, scuotendo il barattolo quotidianamente, poi lasciare macerare in un luogo buio per 6 mesi agitando una volta al mese. Filtrare il liquido, imbottigliare, chiudere la bottiglia e lasciarlo riposare per altri 4 mesi.
Una sola avvertenza: fare sempre molta attenzione ai semi, che non vanno mai ingeriti perché contengono il velenoso acido cianidrico.
Insoliti fiori del sambuco
Le profumatissime ombrelle del sambuco in fiore non potevano passare inosservate agli occhi dei cuochi: si utilizzano i fiorellini freschi per decorare torte, crostate, creme, budini, macedonie, gelati e sorbetti; per farcire le omelette dolci e per ingentilire le gelatine. Si possono anche friggere (dividere in mazzetti le ombrelle fresche, spruzzarli di liquore, immergerli rapidamente in pastella, friggerli e cospargerli con cannella in polvere); sminuzzare nell'impasto per le tagliatelle; macerare in un buon vino o direttamente nel mosto: in questo caso il bouquet che ne deriva ricorderà il moscato!
Alcuni fiori, seccati e polverizzati, si aggiungono alla farina, per sfornare dolci dall'intenso sentore di sambuco; altrettanto aromatica è la bibita per la prima sete di maggio: in una capace caraffa mettere la scorza di un limone, 50 g di zucchero di canna, 3 ombrelle di fiori freschi; aggiungere 3 dl d'acqua bollente e mescolare fino allo scioglimento dello zucchero; lasciar raffreddare, filtrare e servire con cubetti di ghiaccio contenenti 3-4 fiorellini di sambuco. Sapranno di ananas invece, le mele conservate in uno scatolone, da tenere ben chiuso e all'asciutto, alternate a strati di fiori secchi che, oltre a cedere il profumo, assorbono l'umidità prodotta dalle mele, che rimarranno belle sode per tutto l'inverno.
Con la cacciagione il sorbo degli uccellatori
Le piccole e coloratissime bacche del sorbo degli uccellatori (S. aucuparia) a nord delle Alpi vengono utilizzate in una salsa agrodolce che accompagna i piatti di selvaggina, ma anche di carne di manzo o maiale, delle quali favorisce la digestione. Per la lunghezza di preparazione, va elaborata con un giorno d'anticipo.
Lavare 600 g di frutti di sorbo degli uccellatori sotto l'acqua corrente, staccare i fruttini dal gambo e metterli in pentola a pressione con 1 dl d’acqua; fare cuocere per 10 minuti a partire dal fischio. Versare la purea in un sacchetto di garza a trama non molto fitta, da appendere su una terrina per almeno 12 ore, strizzandolo di tanto in tanto. Il giorno successivo, pesare il succo ottenuto e aggiungervi la metà del peso in zucchero, mescolando bene. In una casseruola fare restringere il composto, cuocendo a fuoco medio e mescolando spesso: la salsa è pronta quando tende ad addensarsi sul cucchiaio.