Nel cuore verde d’Italia, troverete in ogni stagione dell’anno un prelibato piatto di tagliatelle al tartufo: in Umbria nascono in abbondanza nei boschi spontanei tutte le specie commestibili di tartufo. Ma non basta: oggi la ricerca scientifica permette addirittura di “coltivare” i tartufi, attraverso le piante tartufigene, appositamente “inseminate”, cioè micorrizate, con le diverse specie del prezioso fungo ipogeo (che cioè cresce sotto terra). Ne parliamo con Moreno Moraldi, responsabile dell’Azienda vivaistica regionale Umbraflor, e fra i maggiori esperti italiani di produzione di piante tartufigene.
1 Quali sono le piante tartufigene?
Numerose sono le piante che possono produrre i tartufi: fra le più importanti ci sono le querce (soprattutto roverella, cerro e leccio), le diverse specie di carpini, tigli, salici e pioppi, il nocciolo, il faggio, il cisto e le principali conifere presenti in Italia.
2 Quali specie di tartufo sono coltivabili?
Il tartufo più pregiato è quello bianco, ma la sua coltivazione è ancora a livello sperimentale. Buoni risultati si ottengono invece dalle piante micorrizate con tartufo nero pregiato, tartufo scorzone estivo e uncinato autunnale, tartufo moscato e tartufo bianchetto o marzuolo. È importante che a ogni tartufo sia abbinata una pianta con esigenze ambientali simili. Ad esempio il tartufo nero pregiato o lo scorzone, che preferiscono terreni asciutti e soleggiati, non potranno mai dare buoni risultati se abbinati a pioppi e salici che vivono in ambienti umidi.
3 Come esser sicuri che la piantina è micorrizata?
Sul mercato esistono molti vivaisti che vendono piantine micorrizate. Spesso si incontrano seri professionisti, ma è anche possibile trovare venditori con pochi scrupoli che, facendo intravedere il miraggio di raccolte garantite in pochi anni, propongono piante “miracolose”. È bene sapere che, dalla messa a dimora delle piante, passeranno circa 10 anni prima di raccogliere il tartufo. Per non avere sorprese sulla qualità delle piante micorrizate è importante rifornirsi presso strutture che offrono serietà ed esperienza di lunga data. Le piantine devono essere accompagnate dal passaporto delle piante (documento fitosanitario), dalla certificazione di provenienza del seme e dalla certificazione di idoneità alla tartuficoltura rilasciata da una struttura accreditata, meglio se non coinvolta con il vivaista. Sono da preferire i vivai che dispongono delle certificazioni ISO 9000 o ISO 14000, cioè l’obbligo per il produttore di adottare un sistema di regole, responsabilità, controlli, ecc. che consentono di monitorare gli interventi colturali e i prodotti utilizzati.
4 Dove si coltivano le piantine micorrizate con il tartufo nero pregiato?
Il Tuber melanosporum o tartufo nero pregiato di Norcia, oltre che in Umbria, si trova spontaneo anche nelle Marche, Abruzzo, Molise, Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Toscana, Lazio e Campania. Ha esigenze ben precise: preferisce terreni poveri, permeabili e calcarei, tollera anche la presenza di argilla se il drenaggio è ottimo. I suoli preferiti sono quelli del Giurassico e del Cretaceo. Vive dai 300 metri fino a oltre i 1.000 s.l.m., in posizioni soleggiate al Centro-Nord e in quota, mentre al Sud e alle quote basse si trova spesso in esposizioni a est, ovest e nord.
Simili al tartufo nero pregiato sono anche il Tuber brumale fo. moschatum (tartufo moscato), il T. aestivum (scorzone) e il T. aestivum fo. uncinatum (scorzone d’autunno o uncinato). Questi ultimi, detti “tartufi minori”, offrono invece produzioni abbondanti e hanno esigenze meno rigide: si adattano anche agli ambienti non perfetti, purché sia assicurato un buon drenaggio delle acque nei primi strati del suolo. Per questo vanno presi in considerazione quando si desidera creare una tartufaia su terreni non idonei per il tartufo nero pregiato. Secondo l’esperienza del Vivaio Il Castellaccio di Spello (PG), che da oltre 25 anni opera nel settore, centinaia di tartuficoltori hanno ottenuto ottimi raccolti di tartufi minori, che sono spontanei dal Piemonte fino alla Calabria e nelle isole.
5 Come ottenere buoni risultati?
È importante “copiare” l’equilibrio raggiunto dalla natura. Bisogna utilizzare le stesse specie di piante presenti nel luogo, micorrizate in vivaio con le medesime specie di tartufo che si raccolgono spontaneamente nella zona o in terreni che hanno condizioni ambientali identiche. Se non è possibile “copiare” dalla natura per assenza di tartufi spontanei o di elementi di conoscenza, è indispensabile effettuare le analisi fisiche e chimiche del terreno, e consultare i tecnici specialisti del settore per valutare se è giustificato l’investimento.
6 Dove coltivare le piantine micorrizate con il bianchetto?
Il Tuber borchii, o tartufo bianchetto o marzuolo, matura da dicembre ad aprile e si trova spesso lungo le zone costiere, nelle aree interne ben soleggiate su terreni calcareo-argillosi o sabbioso-limosi, dal livello del mare fino a oltre 1.500 m s.l.m. è l’unico tartufo che, pur preferendo terreni alcalini, si adatta bene anche a quelli neutri o subacidi. È spontaneo in tutte le Regioni d’Italia in simbiosi con le conifere, ma anche con le querce, il faggio e i pioppi. Pur essendo un tartufo che si adatta ai diversi ambienti, i migliori risultati con le piantagioni artificiali si ottengono dove il tartufo è già presente a livello spontaneo o dove le condizioni ambientali sono simili a quelle desiderate dal fungo.
7 Dove si coltivano le piantine micorrizate con il tartufo bianco pregiato?
Il Tuber magnatum (trifola o tartufo bianco di Alba e di Acqualagna) è sicuramente il tartufo più pregiato. È l’unico tartufo del quale è sconsigliata la coltivazione perché, dalle prove finora effettuate, non sono emersi, salvo rari casi, risultati certi e ripetibili.
8 Come procedere per una produzione amatoriale?
Per una produzione amatoriale sono sufficienti anche poche decine di piante. Se si ha la certezza che il terreno corrisponda perfettamente alle esigenze di una specie ben precisa di tartufo e di pianta, si può realizzare una tartufaia monospecifica. In caso contrario, conviene mettere a dimora un mix di piante e tartufi ritenuti più adatti, per ridurre il rischio di mancata produzione.
9 Quali accorgimenti adottare per l’impianto?
Innanzitutto si effettua l’analisi del terreno, che costa meno di 100 euro. Se le dimensioni dell’investimento che si vuole realizzare giustificano la spesa, è sempre meglio conoscere a fondo almeno i dati chimici e fisici del proprio terreno. Per l’impianto della tartufaia, che va fatto in autunno, bisogna ripulire il terreno dalla vegetazione presente. Prima dell’estate è utile un passaggio incrociato con il ripuntatore, fino in profondità, per rendere il terreno meno compatto; segue una frangizollatura o un’aratura molto leggera. Una lunga esposizione al sole dell’estate del suolo lavorato favorirà l’eliminazione di molti funghi presenti sul terreno, possibili concorrenti del tartufo. Al termine dell’estate, si effettuano ripetuti passaggi con l’estirpatore, per eliminare le malerbe che nascono dopo le piogge. Poi si effettuano lo squadro e il picchettamento a una densità che varia dalle 300 alle 500 piante per ettaro. Alle querce, la cui chioma da adulte raggiunge grandi dimensioni, si possono riservare spazi più ampi. Per maggiori e dettagliate informazioni si consiglia di scaricare la brochure sulla tartuficoltura dal sito www.umbraflor.it
Nel tardo autunno, o in primavera per i terreni posti oltre i 700-800 m s.l.m., sarà sufficiente aprire con la zappa delle piccole buche nelle quali mettere a dimora le piante. Se non piove subito dopo, sarà necessaria un’irrigazione per pressare il terreno sulle radici. Per i primi due anni di vita della pianta bisogna continuare a irrigare, se non piove. È indispensabile eliminare di continuo la vegetazione infestante ed eseguire sarchiature poco profonde che mantengano il terreno smosso in superficie. Dal quarto anno in poi, soprattutto nei terreni dove il suolo viene eroso dalla pioggia, può essere consigliabile, al posto delle lavorazioni superficiali, lo sfalcio delle erbacce ripetuto più volte, così come farebbe un buon giardiniere. Si devono correggere, inoltre, le eventuali anomalie della forma del fusto e dei rami con potature che formino una chioma simile a un cono rovesciato, in modo che i raggi del sole arrivino fino alla base del tronco. Sono da bandire tassativamente le concimazioni e i trattamenti chimici con tutti i prodotti che possono raggiungere le radici a partire dalle foglie o scendendo nel terreno.
10 E se, dopo tante cure, le piantine non producono o smettono di produrre?
Quando si effettua un investimento, ci si aspetta sempre un ritorno costante nel tempo. Se questo non avviene, cioè se le piantine non producono o smettono di produrre, bisogna analizzare a fondo, con l’aiuto di tecnici specialisti, i motivi che hanno portato all’insuccesso e rimuoverne le cause.