Morbida (in gergo tecnico si dice “fondente”), succosa e infinitamente dolce oppure croccante, granulosa e dolce-acidulo-aromatica: i patiti della pera si dividono fra queste due grandi categorie. Osiamo azzardare che i veri estimatori preferiscono la seconda, proprio per la componente aromatica inconfondibile alle papille gustative, mentre chi ha un palato meno raffinato si orienta verso la prima, attirato dalla dolcezza. Oltre a soddisfare un gusto più evoluto e raffinato, gli estimatori si ritroveranno anche con un benefico effetto di regolarità dell’organismo, visto che i granelli altro non sono che cellule particolari, le “sclereidi”, ricchissime di fibre…
Ben lo sapevano già gli antichi Romani: il naturalista Plinio (I sec. d.C.) già ne elencava 40 varietà coltivate, apprezzate non solo per la puntualità quotidiana ma anche per le proprietà dissetanti.
10 varietà e 2 Igp
Delle oltre 200 varietà attualmente esistenti in Italia, quelle coltivate industrialmente si riducono a una decina circa: la Kaiser (con frutti grossi), la William (una tra le più diffuse al mondo, dai frutti molto dolci), la Abate Fétel (una delle migliori), la Passa Crassana (la più diffusa in Italia tra le pere a maturazione invernale), la Decana del Comizio (tra le più coltivate al mondo, col frutto grosso), la Conference (la più diffusa in Europa nei pereti specializzati). Guarda caso, tutte varietà antiche, cioè esistenti da almeno 60 anni.
E quelle moderne? Segnano il passo, annoverando William Rosso o Max Red Bartlett (una William a buccia rossa, molto bella), Carmen e Tosca (estive, anche loro a buccia rossa, molto gradita al consumatore) e poche altre. In pratica la moderna ricerca frutticola non è ancora riuscita a creare varietà in grado di sostituire le molteplici virtù, sia di coltivazione sia di gradevolezza al palato, espresse dalle “magnifiche sei vegliarde”.
A riprova, il fatto che le uniche due Igp sono state assegnate a zone geografiche dove si coltivano per la maggior parte proprio queste antiche varietà. Alla Pera dell'Emilia Romagna Igp, prodotta nelle province di Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Bologna, Ravenna, appartengono pere Abate Fétel, Cascade, Conference, Decana del Comizio, Kaiser, Max Red Bartlett, Passa Crassana, William, ottenute con tecniche tradizionali e rispettose dell'ambiente, per ricavare prodotti di alto livello qualitativo, reperibili su tutto il territorio nazionale.
La Pera mantovana Igp, tutelata dal Consorzio Perwiva, comprende Abate Fétel, Conference, Decana del Comizio, Kaiser, Max Red Barlett e William, tutte coltivate in provincia di Mantova, dove la pericoltura risale al XV secolo. Documenti del 1475 la attestano come la coltura più diffusa e importante, anche se esclusiva dei nobili e degli ecclesiastici: nei giardini dei monasteri e nei broli delle corti signorili si incrociavano varietà diverse per ottenere frutti sempre più gustosi. Oggi la produzione avviene sotto l’egida della lotta integrata. In zona è tradizione consumare le pere al naturale, abbinate a formaggi quali Provolone, Parmigiano Reggiano e Pecorino.
Tipicità su e giù per l’Italia
A livello locale e amatoriale, per fortuna, sono molte altre le antiche varietà sopravvissute all’industrializzazione, dalle quali ricavare deliziosi sapori e incomparabili godimenti.
Gode attualmente di un vento di riscoperta la Pera Madernassa cuneese (d'Alba e della Valle Grana), derivate da un incrocio di Martin Sec, che ha poi sostituito nella coltivazione già all’inizio del Novecento. Grossa, succosa, dalla polpa semi-fine e dalla buccia verde-giallastra, ha la sua fine ideale cotta nel vino e leggermente caramellata.
Fa parte dei Presidi Slow Food il veneto Pero misso della Lessinia, del quale sono rimasti circa 200 alberi, in Valpolicella. Citata su "La Pomona Italiana", atlante dei fruttiferi realizzata dall'agronomo Giorgio Gallesio tra il 1817 e 1839, deve il nome dialettale veronese “misso” al fatto che si consuma sovramatura, cioè quando ha colore scuro e polpa consistente ma non più dura. Deve quindi subire un processo di ammezzimento: i frutti si raccolgono acerbi e si pongono in una cassetta di legno al fresco e al buio finché, dai primi di novembre e sino a febbraio, risultano pronti per il consumo, sia tal quali, sia trasformati in torte, marmellate, succhi, distillati, sidro. I coltivatori aderiscono all'associazione Antica Terra Gentile, che promuove il metodo biologico, la biodiversità agroalimentare e la difesa del territorio.
È Presidio Slow Food anche la Pera cocomerina, detta anche Pera briaca a causa della polpa che, nel raccolto più tardivo, assume un intenso colore rosso, simile al cocomero. Coltivata sull’Appennino cesenate, è piccola (20-60 g di peso), ovoidale, dolce e molto profumata, dal vago sentore moscato e di sorba. Purtroppo si conserva ben poco: va mangiata subito, alla fine di agosto quando maturano le precoci e alla fine di ottobre quando sono pronte le tardive a polpa rossa. Diffusa solo nella zona di produzione, è però reperibile anche in marmellata o sciroppata.
La Toscana offre diverse tipicità: nel Fiorentino si reperisce, non senza qualche difficoltà, la Pera Gentile, pronta già in giugno, di colore verde brillante con polpa dura e dolce, perfetta col pecorino toscano. Le province di Firenze e Arezzo conservano la Pera Coscia, pronta a luglio, di medie dimensioni, affusolata, con buccia gialla, polpa fondente e sapore dolce, acquistabile solo nelle zone di produzione. A Zeri, in provincia di Massa Carrara, c’è ancora qualche esemplare di Pero Rusé, i cui frutti piccoli, gialli macchiati di rosso, dalla polpa dura e acidula si utilizzano solo cotti nel vino con zucchero o miele, per il solo consumo familiare. In tutta la regione si coltivano qua e là i pochi, superstiti peri Curato, che danno frutti grossi, verdi, dalla polpa granulosa, saporita e aromatica; essendo pere invernali (mature da dicembre in poi), sono ottime cotte nel vino rosso; ottenerne qualcuna in zona è veramente difficile: se volete assaggiarla, spostatevi piuttosto in Trentino dov’è ancora relativamente reperibile, in ottobre.
È assurta agli onori della cronaca nazionale grazie alla trasmissione tv “Ti lascio una canzone” la Pera Angelica da Serrungarina nelle Marche: medio-grossa, verde-gialla arrossata dal sole, si scioglie in bocca esprimendo un sapore delicato con note di moscato, leggermente speziato. un tempo veniva serbata per un paio di mesi, da settembre a novembre, ponendola nel tradizionale "melaro", cesto di paglia appeso alla sommità di un albero di gelso.
La palma delle tipicità spetta però alla Campania, con ben sette prelibatezze. Andando in ordine di maturazione, cominciamo con la Pera Spina, tipica dell’Irpinia, in provincia di Avellino: è un frutto piccolo, giallo macchiato di rosso al sole, profumatissimo e succoso, pronto a luglio, una prelibatezza del tutto locale. Segue la Pera Sant'Anna, anch’essa irpina, di dimensioni medio-piccole, a buccia gialla picchiettata di rosso al sole e con polpa succosa e dolce; proviene da pochi vetusti peri ed è pronta a metà luglio. Si passa poi alla Pera Spadona di Salerno, di taglia media e colore verde che diventa rosato al sole, dalla polpa succosa e molto saporita, reperibile solo nella zona di produzione (Picentini e Valle del Sele). Ad agosto-settembre matura la Pera Pennata, coltivata a livello familiare negli orti-giardini della zona di Agerola sui monti Lattari (Na): è una pera di colore verde scuro, di forma rotondeggiante simile a quella della mela Annurca, di sapore pastoso e dolce. È pronta a metà-fine settembre la Pera del Rosario, anch’essa proveniente dalle aree interne dell’Irpinia e superstite nei giardini di poche famiglie: si caratterizza per il colore verde scuro, rugginoso, la forma allungata, il sapore acidulo e la grana evidente. La Pera Mastantuono è forse la più nota, coltivata nell’interno delle province di Avellino, Salerno e Napoli: il frutto è molto piccolo, rotondeggiante, con picciolo corto e buccia giallognola con screziature marroni; a maturazione, in novembre, la polpa è morbida e profumatissima. Infine c’è la Pera Sorba, così chiamata perché si raccoglie a settembre, ma matura da novembre in poi, come le sorbe, a cui assomiglia per il sapore; deriva da poche, antiche piante presenti nell’Alta Valle del Calore e dell’Ofanto (Av).
Terminiamo il giro fra le tipicità italiane con la Sardegna, regione che offre due interessanti curiosità. La prima è la Pera Bianca di Bonarcado, prodotta in tutto il territorio regionale e in particolare nel Montiferru fin dal ’700. Raccolta a maturazione, all’inizio di settembre, ha forma schiacciata, quasi di mela, buccia chiara e polpa succosa e molto aromatica, con rare granulosità. Sull’isola è piuttosto diffusa e reperibile. La seconda è la Pera Camusina di Bonarcado prodotta ancora nel Montiferru, nelle terre a cavallo fra le province di Oristano e Nuoro. È un frutto precoce, pronto già a fine giugno, di taglia media, con buccia gialla e faccetta arrossata dal sole; la polpa è soda, di buon sapore, mediamente succosa, leggermente aromatica, abbastanza granulosa, ed è apprezzata in tutta l’isola.
Pera buona e benefica
Mangiate pere in abbondanza, perché sono remineralizzanti (soprattutto potassio, ma anche calcio, magnesio, manganese e iodio) e tonificanti, e combattono l’anemia. Rinfrescano l'apparato digerente e, quando sono mature, sono digestive in virtù dell’acido malico. Risultano inoltre diuretiche (per l’85% sono fatte d’acqua) e depurative; combattono reumatismi, artrite e gotta. Soprattutto cotte, sono lassative. Grazie alle vitamine del gruppo B, risultano sedative e protettive del sistema nervoso. Visto che contengono levulosio (zucchero), sono permesse ai diabetici, senza esagerare.
I proverbi misurano la popolarità
Mai dividere una pera con la persona amata! In cinese pera si dice “li”, ed è simbolo di longevità. Ma “li” vuol dire anche separazione: fare a metà del frutto, perciò, si dice sia un presagio nefasto. Curiosamente, tra i modi di dire italiani, “dare le pere” ha lo stesso significato, alludendo a una coppia che si separa, come la frutta al termine del pasto segna la fine del convivio e la separazione dei commensali.
“Andare su per il pero” vuol dire abbandonarsi a progetti fantasiosi e irrealizzabili, mentre “cascare dal pero” è il momento della disillusione. “Scendere dal pero” è abbandonare un atteggiamento snobistico e di superiorità; un indeciso cronico, invece, “sta un po’ sul pero e un po’ sul pomo”. Infine, “piantare il pero” è cadere a terra atterrando sulle natiche.
Chi si trattiene troppo a tavola “aspetta le pere guaste” (una composta, ormai in disuso, di pere cotte nel vino, che si serviva al termine del pasto): una digestione impegnativa, tra l’altro, fa “cadere come una pera”, cioè addormentare di colpo. L’imprudente “lascia le pere in guardia all’orso” (che ne è ghiottissimo), ma peggio ancora è “farsi le pere” (drogarsi). Il frutto, poi, è paragonato a due componenti dell’anatomia: uno è il capo, tanto che “grattarsi la pera” indica un momento di dubbio o di indecisione. E l’altro, assai seducente? Vediamo chi ci arriva da sé: in questo caso se ne parla al plurale, e solo per le signore...
L’esercizio del taglio con le posate
Il taglio della pera è uno degli esercizi dei quali Vincenzo Cervio mostra le necessarie attenzioni e le indispensabili evoluzioni: “Ancora che io abbia ragionato a bastanza del modo che si deve tenere per imbroccare e trinciare la mela a tal che facilmente si potrà tralassare di raggionare de la pera, per andar quella quasi imbroccata e trinciata in uno medesimo modo, ma per essere la pera un frutto tanto gentile e apprezzato molto, non ho voluto restare di ragionare di esso, se non altro, almeno per mostrarvi un altro modo d'imbroccare e di trinciarlo ancora.
Volendo adunque trinciare la pera, sia di qual sorte si voglia, tu piglierai la forcina picciola e il coltello picciolo delle frutte e con la punta del coltello tu infilzerai la pera; ma nota che in dui luochi potrai porre la punta del coltello: l'uno sarà di sotto, a canto il fiore, alzando il pero in alto con il picollo di sopra; avendo poi la forcina con li branchi volti disopra e con buona grazia tirando la pera da basso la imbroccherai nel mezo del fiore nella forcina; l'altro modo sarà di porre la punta del coltello nel mezo della pera per il fianco, ma che il taglio guardi in fuora voltando la parte del picollo di sopra, tenendo la punta della forcina volta di sopra, alzando un poco la pera in alto, con grazia la imbroccherai nella punta della forcina, giusto nel mezo del fiore, facendo che il picollo resti disopra; e ognuno di questi dui modi che tu imbrocchi starà bene, purché tu lo facci con grazia; dipoi con il taglio del coltello verso te, tenendo sempre nelle mani di sorte che tu possa arrivar col dito alla punta e con il primo taglio tu cimerai via il picollo di netto; tirandolo poi col taglio verso te, sottilmente ne monderai la pera girando di mano in mano la forcina, per accomodare la pera al taglio del coltello, avertendo sempre a far di modo che tu non spicchi punto della scorza; mondato che tu avrai la pera sopra la forcina con la parte del picollo disopra, tu darai tre o quattro tagli alla pera del picollo fino dabasso con il girare la pera intorno, ma darai ogni taglio di sorte che tu non spicchi niente; dipoi con prestezza caccerai la punta del coltello ne la pera a canto la forcina e con il dito grosso della mano della forcina, tu spingerai un poco la pera in fuora e la desimbroccherai, la qual resterà sopra la punta del coltello e con grazia spingerai la mano del coltello innanzi, porrai la pera sopra il tondo e con il dito lungo la spingerai fuora del coltello e la fari stare nel medesimo tondo; e di questo modo anderai facendo fino che tu avrai finito di trinciare tutte o parte di quelle che faranno di bisogno.
E questo sarà a bastanza per averti mostrato il modo che si deve tenere nel imbroccare e trinciare la pera.
Vi sono ancora di molti altri modi per trinciare le pere, delli quali non ho voluto parlare parendomi che non vi sia il più bello di questo, volendola trinciare sopra la forcina”.