Le palme sono tra le essenze di portamento arboreo che più si addicono ad ornare parchi e giardini mediterranei. Lo slancio del tronco e l’equilibrio del fogliame e delle chiome compatte conferiscono una sensazione di armonia e bellezza che già i popoli più antichi e gli autori classici erano in grado di apprezzare.
Le Phoenix
Le palme del genere Phoenix sono assai diffuse nel verde dei climi miti: il loro nome ricorda la fenice, il mitico uccello capace di risorgere dalle proprie ceneri. In realtà sembra che la denominazione risalga agli antichi Greci che conobbero queste piante grazie ai Fenici.
Sicuramente la palma più frequente nelle aree mediterranee e subtropicali è la Phoenix canariensis, specie endemica delle Isole Canarie, caratterizzata dal robusto stipite solitario, che nelle situazioni più felici s’innalza fino a 15 m, sormontato da un elegante ciuffo di lunghe e numerose foglie. Produce frutti di colore giallo arancio, simili ai classici datteri, ma più piccoli e con poca polpa. La palma delle Canarie si adatta anche ai terreni più poveri, con ottimi risultati negli ambienti urbani e costieri.
La Phoenix dactylifera è la parente africana della P. canariensis: è ben conosciuta e coltivata nei climi caldi nordafricani per la sua proprietà di produrre i gustosi datteri ricchi di polpa. Si differenzia per lo stipite pollonante più snello e slanciato (fino a 20 m) rispetto alla specie delle Canarie. Presenta una chioma più rada con foglie più strette e rigide dalla colorazione verde grigio e sfumature bluastre, tipiche delle piante originarie delle aree battute dal sole. È infatti leggermente più sensibile ai rigori invernali.
Durante lo sviluppo di entrambe le specie è opportuno eliminare le foglie più vecchie alla base della chioma, che comunque tendono a seccare e a cadere sotto i colpi dei venti. L’operazione tende a evidenziare inoltre il fusto ornamentale conferendo eleganza e slancio alla pianta. L’osservazione delle cicatrici presenti sul fusto dopo il distacco del fogliame facilita l’individuazione del tipo di palma. Nel caso di P. dactylifera la trama sullo stipite è caratterizzata da evidenti losanghe, che negli esemplari di P. canariensis risultano notevolmente più appiattite. A confondere le idee per quanto riguarda la determinazione della specie ci si mette anche madre natura, dato che negli ambienti dove crescono entrambe le palme si possono incontrare anche degli esemplari ibridi.
Palme esotiche o nostrane
Oltre alle specie appartenenti al genere Phoenix esistono molte altre varietà di palme idonee ai nostri giardini. C’è la Jubaea spectabilis o Palma del Cile, dal grande tronco, l’Erythrea edulis dalle ampie foglie a ventaglio e le spettacolari infiorescenze, le slanciate Washingtonia, tipiche dei viali californiani ma ormai assai diffuse anche sul litorale ligure e in altre località costiere mediterranee, la rustica Chamaerops excelsa, idonea agli ambienti più freddi e diffusa anche in Italia settentrionale.
Ma se vogliamo qualcosa di autoctono la scelta cadrà sulla nostrana Chamaerops humilis detta anche palma nana o palma di San Pietro, diffusa allo stato spontaneo lungo il mediterraneo e sulle coste più calde della nostra penisola. Viene detta nana perché in natura ama gli ambienti più difficili e rocciosi dove raramente supera uno o due metri di altezza, ma se è coltivata in giardino può avere sorprendenti sviluppi fino a 5 metri. Presenta foglie palmate ed è specie pollonante, con una grande quantità di getti alla base, che dovremo selezionare per formare un’armonica composizione.
Di quali dimensioni si reperiscono queste palme?
C’è l’imbarazzo della scelta: dal vaso di 24 cm di diametro fino a esemplari di 12 m d’altezza. Oltre tale misura non risultano più movimentabili su un camion e divengono un trasporto eccezionale, con un’incidenza dei costi di trasporto molto elevata.
Fino a quale taglia è possibile il fai-da-te d’impianto?
Si può far da sé con vasi di diametro fino a 50 cm. per misure superiori è consigliabile affidarsi al vivaista o a personale specializzato che, previo sopralluogo, deciderà se impiegare la gru o meno. Oggi è possibile farsi garantire per iscritto l’attecchimento della pianta.
Potendo far da sé, quali sono gli accorgimenti per avere successo?
Il segreto fondamentale consiste nell’assicurare acqua sul fondo, cioè fare in modo che le radici peschino in profondità, e nel mantenere il colletto all’asciutto, per esempio con materiale drenante posto sulle pareti della buca. Se sul fondo l’acqua tende a ristagnare un po’ e il terreno è argilloso, la situazione è perfetta, visto che, nel settore, per queste palme vige il detto “piedi nell’acqua e testa all’asciutto”. La buca dev’essere larga quanto le dimensioni del vaso in cui l’esemplare è contenuto in vivaio. Non accorciate le radici al momento dell’impianto e interrate tutta la zolla, una volta svasata. Non trascurate l’irrigazione, che dev’essere abbondante: l’apparato radicale può scendere fino a 100 m di profondità per assorbire acqua, come avviene nel deserto. Queste piante tollerano fino a –9 °C; inoltre P. dactylifera è abbastanza resistente alla salinità, e quindi è idonea a zone costiere.