Il genere Helleborus comprende piante erbacee perenni appartenenti alla famiglia delle Ranuncolacee. Come la maggior parte degli esemplari di questa famiglia, anche l’elleboro è una pianta velenosa, soprattutto prima della fioritura. A dircelo è, prima di tutto, il suo nome: deriva dai termini greci “elein” e “borà”, che insieme significano “cibo tossico”. Ed è così: anche se il tenue odore è abbastanza sgradevole da tenere lontani gli animali domestici, i fiori o i curiosi frutti potrebbero attirare la curiosità dei più piccoli. Se decidessimo di ornare la casa con queste delicate bellezze invernali, sarebbe buona precauzione tenerle fuori dalla portata dei bambini.
Storie e leggende sull'elleboro
Se oggigiorno la sua popolarità rimane scarsa, nell'antichità l'elleboro era molto conosciuto, soprattutto da medici e botanici. Molti sono, infatti, gli autori che hanno lasciato testimonianza dei suoi molteplici e fantasiosi impieghi come rimedio per i mali più svariati: dall'epilessia al tetano, dalla gotta all'idropisia, poi la sciatica, le vertigini...
Leggenda vuole che il primo a utilizzarlo fu Melampo, un pastore che dopo aver osservato l'effetto purgante del fiore sul suo gregge di pecore, si servì dell'elleboro per curare l'infermità mentale di cui soffrivano le figlie di Preto, re di Argo (guadagnandosi la mano di una delle principesse e il dominio su parte del regno!).
Plinio il Vecchio è uno degli antichi studiosi che cita questa leggenda e, appunto, associa ai bianchi fiori dell'elleboro particolare efficacia contro la pazzia. Un'opinione apparentemente diffusa tra i suoi contemporanei: chi “aveva bisogno dell'elleboro” - ovvero, i folli – veniva inviato ad Antycira, vicino Corinto, per soggiornare in mezzo a un paesaggio naturale ricco delle suddette piante.
Esse trovano posto anche all'interno di tradizioni popolari relativamente più vicine ai giorni nostri. In Inghilterra, ad esempio, si dice che spargendo la polvere delle sue radici mentre si cammina, si ha la possibilità di rendersi invisibili.
Una leggenda cristiana ne narra, invece, la nascita: una pastorella povera si recava in visita alla capanna di Gesù Bambino, ma non aveva doni da portargli. Disperata, scoppiò in un pianto tale che commosse un angelo, il quale fece crescere l'elleboro dalle lacrime della giovane, che ottenne così il fiore reciso da regalare.
Ricevere un esemplare di elleboro è piacevole anche e soprattutto ai giorni nostri: nel linguaggio dei fiori questa pianta serve ad augurare la liberazione da uno stato di malessere e angoscia.
Com'è fatto l'elleboro
Poche altre sono le attenzioni che dovremo riservare all’elleboro: queste piante di dimensione variabile (mediamente crescono fino a 30-40 centimetri), originarie delle zone euroasiatiche, ben si adattano alle rigide temperature invernali e all’umidità.
Nessuna fioritura invernale possiede corolle di eleganza così discreta: i fiori hanno dimensioni perlopiù limitate e le tonalità vanno dal bianco neve di Helleborus niger o elleboro nero (ma ad essere nero è solamente il rizoma e l’apparato radicale), al verde chiaro e brillante di H. argutifolius della Corsica, al viola intenso di H. foetidus e alle combinazioni striate o variamente sfumate degli ibridi orientali.
Le corolle contano generalmente cinque sepali, falsi petali che circondano i petali veri dalla morfologia simile ai pistilli (sono infatti modificati per essere in grado di contenere nettare). Essendo più coriacei di normali petali, i sepali dell’elleboro risulterebbero – secondo le ricerche di alcuni botanici spagnoli – maggiormente in grado di contenere e proteggere lo sviluppo dei semi.
L’elleboro riesce a sorprendere anche al termine del periodo di fioritura, quando il suo fogliame verde intenso, lanceolato, comincia a crescere copiosamente e regala decorativi cespugli.
Le specie sono una ventina, generalmente divise in caulescenti (con fusto aereo o caule ben visibile) e acaulescenti. Tra quelle del primo gruppo si annoverano i già citati H. argutifolius e foetidus, mentre nel secondo troviamo la rosa di Natale o elleboro nero, l’elleboro orientale e quello verde.