Il papavero è un fiore facile e bello, in tutte le sue specie: dall’umile papavero dei campi o rosolaccio (Papaver rhoeas) all’appariscente papavero orientale (P. orientale), dal prolifico papavero islandese (P. nudicaule) al regale papavero da oppio (P. somniferum).
Il papavero da oppio è il più seducente tra tutti i papaveri: alto (fino a 150 cm), dalle foglie grandi, glauche ed elegantemente dentellate sul bordo, con corolle grandi (fino a 12 cm di diametro), di un rosa intenso, semidoppie o doppie e, nella var. laciniatum, con petali finemente frangiati.
Papavero da oppio: coltivazione vietata
Un vero spettacolo della natura che però, purtroppo, in Italia non si può ammirare: la legge 1041/54 del 22 ottobre 1954, inerente la Disciplina del commercio, della produzione e dell’impiego delle sostanze stupefacenti, ne proibisce la coltivazione, la raccolta delle capsule e l’estrazione di oppio grezzo o di altre droghe, a meno di non chiedere un’apposita autorizzazione, da rinnovare ogni anno, rilasciata dall’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica. È la Guardia di finanza a controllare comminando, in caso di contravvenzione alla norma, la pena della reclusione da uno a sei anni e la multa da 3.000 a 26.000 euro.
In realtà, questo papavero viene coltivato nei giardini dei Paesi anglosassoni e del Nord Europa, inclusa l'Austria e, da lì, nelle vallate del nostro Alto Adige, dove l'uso, ormai secolare, è esclusivamente ornamentale: i semi, che non sono in vendita in Italia, si ricavano dalle piante coltivate l’anno precedente, riseminandoli la primavera successiva e perpetuandole all’infinito.
I suoi semi, del tutto innocui e facilissimi da raccogliere dalla capsula matura, si usano per insaporire pane e dolci (famosissimi proprio quelli dell’Alto Adige) e forniscono un olio (contenente lecitina, che abbassa il colesterolo) ottimo per condire l'insalata.
Papavero da oppio: la droga
L’estrazione della droga era attività comune presso Egiziani, Greci e Romani, che avevano dedicato la pianta a Morfeo, dio del sonno; il poeta Omero affermava che più non scorrono quel dì a chi lo riceve, lacrime sul volto; il medico Paracelso, nel XVI secolo, diceva che spegne il dolore, così come l'acqua spegne il fuoco.
L'oppio in campo medico entrava anche in tutti i preparati contro la tosse ed era il costituente principale del laudano, medicinale composto da oppio, zafferano, cannella e garofano in acqua e alcol che, grazie all'oppio e non certo agli altri ingredienti, calmava ogni tipo di dolore.
Oltre ai problemi patologici connessi all’impiego come droga, l’oppio può causare un avvelenamento che porta alla pazzia: è chiamato "meconismo" da Mecone, amato dalla dea greca Demetra che, non potendo vivere con lui, lo trasformò in papavero da oppio per alleviargli la pena d'amore che l’aveva fatto impazzire senza ritorno.
Proprio per la droga, il papavero da oppio, bello e vistoso, è l'inconsapevole protagonista di guerre sanguinose. La sua coltivazione è diffusa prevalentemente nelle aree dell'Asia centrale e orientale: Afganisthan, Pakistan, Myanmar (ex Birmania), India. Le coltivazioni indiane sono prevalentemente controllate e indirizzate all'industria farmaceutica mondiale, per la produzione di morfina e altri antidolorifici e di codeina, impiegata nella cura della tosse. Le coltivazioni illegali, ora molto diffuse anche in Tailandia, Laos e Vietnam, sono invece quelle che alimentano l'industria mondiale dell'eroina.
L'oppio è un narcotico ricavato dal lattice emesso dai frutti immaturi di Papaver somniferum. Per ricavarne la droga bisogna incidere trasversalmente la grossa capsula immatura per farne colare il lattice bianco dal quale, attraverso un processo di essiccazione ed estrazione chimica, si ricavano diverse droghe, come oppio ed eroina, e anestetici come la morfina.
Attraverso una lavorazione chimica e l'addizione di prodotti sintetici, l'oppio viene trasformato nella sostanza killer che è alla base dei grandi traffici internazionali di mafia e di affari basati sulla vendita di morte, sfruttando la povertà e l'ignoranza delle popolazioni locali, spesso obbligate a sostituire le coltivazioni locali con il bello e terribile papavero: è l’estrema povertà a spingerle verso questa coltura a “nullo costo e alta resa”.