Se nel bacino del Mediterraneo furono i Fenici a scoprire la versatilità della quercia da sughero, in Sardegna il suo impiego risale a più di 3.000 anni fa, visto che nei nuraghi sono state rinvenute urne con coperchio in sughero. Quando i Romani sbarcarono sull'isola, che consideravano alla stregua di un grande supermercato ove rifornirsi, approfittarono del sughero per farne sandali e galleggianti per le reti da pesca, ma anche per sigillare le anfore che trasportavano vino e olio sardi a Roma. Da allora, attraverso il Medioevo fino allo sfruttamento industriale, col sughero sono stati prodotti i componenti e gli oggetti più svariati, destinati all'uso quotidiano.
Oggi vengono prodotte ogni anno 300mila tonnellate di sughero, provenienti da Portogallo (51%), Spagna (32%), Italia (6%), seguiti da Marocco, Tunisia e Algeria (9%) e Francia (Corsica, 1%). Da noi il primato va alla Sardegna, con 120mila quintali (85% del totale nazionale) prodotti ogni anno, a dispetto degli “incidenti di percorso”, come il devastante incendio nel 1993 delle maestose sugherete galluresi (il 95% dei boschi sardi). Seguono poi Sicilia, Lazio e bassa Toscana (Maremma), che portano nel complesso la produzione nazionale a 150mila quintali, il 70% dei quali utilizzati nell’industria enologica per realizzare 1,5 miliardi di tappi (www.sugheronaturale.it).
Demaschiatura, processo delicato
L’“oro morbido”, come lo chiamano sull'isola, si ricava da piante che abbiano almeno 20-30 anni d'età attraverso la demaschiatura, ovvero la spoliazione della quercia da sughero per ricavarne la preziosa scorza, operazione che viene praticata da personale esperto che, con una speciale accetta, incide la scorza superficiale senza danneggiare i delicati tessuti sottostanti. Il procedimento si attua sulla stessa pianta – per legge – ogni 10 anni: di conseguenza, poiché la sughera è molto longeva, non è raro incontrare alberi di 500 anni che sono stati decorticati una cinquantina di volte. Se non intervenisse la mano umana a liberarlo, l’albero comunque lascerebbe cadere il proprio “cappotto” per poter crescere ancora più rigoglioso, produrre più ossigeno e assorbire più anidride carbonica.
La scorza, dello spessore di circa 7,5 cm, viene incisa in corrispondenza della prima biforcazione dei rami, aprendola fino al piede con un taglio longitudinale. Le piante “denudate” appaiono così di un impudico colore rosso sangue che contrasta con il grigio della scorza residua e il verde scuro del fogliame ma, se la mano è stata abile, non soffrono e anzi, nel giro di pochi mesi, avranno rigenerato lo strato di corteccia mancante.
La prima scorza che si rimuove nella vita dell’albero è irregolare e spugnosa, di colore grigio: viene detta comunemente sugherone o sughero maschio (donde il nome demaschiatura). Dopo la rimozione del sughero maschio, il tessuto sottostante produce ogni anno nuovi strati di tessuto suberoso più compatto e più regolare, detto sughero femmina o gentile, con una fitta screpolatura prevalentemente longitudinale e meno profonda.
Dal “letto di caduta” nel bosco, le scorze (che in questa fase si chiamano “plance”) subito dopo l'estrazione vengono trasferite nei cortili delle fabbriche dove resteranno per circa 6 mesi a stagionare. Infine, bollite e pressate (due procedimenti a basso dispendio energetico), perderanno la loro curvatura naturale e saranno pronte per venire lavorate secondo le diverse destinazioni d’utilizzo.
Sugherete a rischio estinzione
È un’arte antica, oggi a rischio: nel 2010 Wwf, Assoimballaggi e Federlegno hanno lanciato una campagna di salvataggio dei 2,2 milioni di ettari (225mila in Italia) di foreste da sughero che sono in pericolo nel Mediterraneo. Queste sugherete assorbono ogni anno 14 milioni di tonnellate di anidride carbonica, il gas responsabile dell’effetto serra: l’assorbimento è maggiore proprio negli esemplari decorticati; inoltre rappresentano un tratto caratteristico del paesaggio mediterraneo. Le foreste si sono conservate nei secoli proprio perché erano funzionali all’industria del vino, fornendo l’elemento considerato per secoli essenziale: il tappo di sughero, un materiale leggero ed elastico che garantisce la perfetta chiusura della bottiglia.
Negli ultimi anni però, dopo la concorrenza dei tappi a corona, sono arrivati anche quelli di silicone e di vetro a minacciare la sopravvivenza delle sughere: soluzioni più economiche e garanzia di una maggiore conservabilità del vino. Eppure, dati i prezzi di vendita dei vini di qualità, non sarebbe difficile ammortizzare il maggior costo del tappo di sughero; quanto alla conservazione, la ricerca ha già messo a punto una tecnologia che offre garanzie contro al contaminazione da parte di microrganismi fungini all’origine del cosiddetto “sapore di tappo”. Tanto che proprio la Francia, lo scorso anno, ha avviato una campagna di sensibilizzazione (www.jaimeleliege.com) a favore dei tappi in sughero naturale. Buoni motivi per riprendere ad adottare il vecchio, rassicurante tappo di sughero.
E se non bastasse, si può leggere quanto riporta il Programma Cork Oak Landscapes (www.panda.org): secondo questo rapporto del Wwf, nel 2015 l’utilizzo dei tappi di sughero potrebbe scendere fino al 5% del totale, il che porterebbe a non più di 19mila tonnellate di sughero estratto: il fenomeno comporterebbe già nel 2020 la perdita del 75% delle sugherete del Mediterraneo occidentale, per una superficie pari ai 2/3 della Svizzera; ne conseguirebbe la perdita di oltre 60mila posti di lavoro (oggi sono 100mila gli addetti) e la scomparsa di numerose specie già a rischio di estinzione, tipiche della sughereta. Per citarne solo alcune, la lince e l’aquila imperiale iberiche, il cervo berbero e quello sardo, il gatto selvatico in Spagna e in Italia ecc.
Le sugherete abbandonate, infatti, diverrebbero facile preda di speculazioni edilizie, che aprirebbero le porte alla distruzione di delicati ecosistemi, oggi mantenuti dall’industria del sughero secondo i dettami Fsc (vedi oltre), in genere situati nelle zone più panoramiche e dolci delle coste mediterranee: un’eventualità imperdibile per chi desidera arricchirsi senza tanti scrupoli.
Boschi per suoli acidi
Infatti, le sugherete sono caratteristiche della zona occidentale dell'area mediterranea, dal Nord Africa marocchino, algerino e tunisino alla Penisola Iberica e all'Italia, dove le troviamo principalmente in Sardegna, ma anche lungo il versante tirrenico della Penisola, dalla Toscana fino a Calabria e Sicilia. La localizzazione a ovest deriva da ragioni climatiche, poiché le sughere necessitano di un clima molto caldo e piuttosto arido, assolutamente privo di gelate invernali, come appunto si incontra solo verso occidente. Fanno parte dei cosiddetti boschi sempreverdi temperato-caldi che ricoprono le zone a ridosso delle coste fino ai 600-700(-1.000) m d'altitudine, in un tripudio di specie della macchia mediterranea, come la fillirea, il corbezzolo, il laurotino, l'erica arborea, il mirto e la dafne gnidia, oltre al cugino leccio, altra famosa quercia sempreverde, come la quercia troiana.
Le sughere prediligono terreni acidi, siliceo-argillosi, tollerando anche i suoli sabbiosi o sassosi, mentre aborrono la presenza di calcare attivo. Non per nulla il suolo della Sardegna è geologicamente costituito da rocce a reazione acida, che danno in superficie terreni poco profondi, tendenzialmente sabbioso-limosi, abbastanza ricchi di sostanza organica, ma poveri o addirittura privi di calcare totale e attivo (pH mediamente di 5-5,2). È una situazione che non favorisce il processo di mineralizzazione, il che significa che la quantità di sostanze nutrienti disponibili per le piante superiori è estremamente ridotta. Le querce da sughero ovviano al problema stringendo un'intima amicizia con una serie di funghi simbionti, che aumentano quasi all’infinito la rete radicale di ricerca nel terreno e di assorbimento dei minerali.
La sughera dalla pelle rugosa
Albero maestoso e longevo, dalla crescita molto lenta, la quercia da sughero (Quercus suber) è una specie autoctona mediterranea che raggiunge al massimo i 20 m d'altezza e i 18 m di diametro della chioma. Ha una chioma globosa irregolare, data da foglie semplici, ovali-acuminate, orlate sul margine da 4-5 dentelli pungenti: sono foglie coriacee, perché rimangono per tutto l'anno ad affrontare i rivolgimenti meteorologici, con una pagina superiore verde scuro lucido compensata da quella inferiore grigio-biancastra per la presenza di peluria. In primavera inoltrata, sui rami contorti si fanno largo i fiori, a sessi separati (è una specie monoica), quelli maschili in lunghi amenti verdognoli, e quelli femminili da soli o in piccoli gruppi all'ascella delle foglie. Da questi ultimi nasce il frutto, una piccola (2-3 cm) ghianda ovale, protetta per metà da una cupola emisferica squamosa, di cui sono ghiottissimi i cinghiali.
Ma la parte che interessa maggiormente l'uomo, da migliaia di anni a questa parte, è la scorza (o corteccia), spessa e suberosa, di colore grigio-giallo-brunastro, profondamente solcata da costolature longitudinali: sughero viene dal latino suber, mutuato da un vocabolo greco che significa “pelle rugosa”. La Natura l’ha creata appositamente per proteggere il tronco della pianta dal caldo, dall’aridità, dal fuoco (che le sughere attraversano del tutto indenni) e dal gelo. Un materiale impareggiabile che merita di essere trasmesso alle generazioni future…
Quercia da sughero: elogio della lentezza
La sughera non è un albero per chi ha fretta: se si decide per la semina della ghianda, per ottenere una pianta alta 1 m devono passare almeno 7-9 anni. Meglio quindi rivolgersi a un vivaio, dove acquistare un esemplare di perlomeno 1,5 m d’altezza: il prezzo di vendita, elevato, è commisurato al tempo di allevamento in vivaio. D’altronde, se si desidera iniziare a percepire le potenzialità di questo maestoso albero, non resta che comperare un soggetto già sviluppato: altrimenti, può essere un investimento nei confronti dei propri figli e nipoti che beneficeranno della pianta adulta.
È una specie riservata alle zone mediterranee, laddove le oscillazioni termiche non siano troppo marcate e soprattutto la minima invernale non vada per lunghi periodi intorno o sotto lo zero. La posizione preferita è al sole pieno, ma è tollerabile anche la mezz’ombra. È preferibile che, almeno per i primi 10-15 anni d’età dell’albero, sia presente una protezione nei confronti dei venti freddi invernali.
Il substrato deve essere acido o subacido: dato il costo della pianta, si sconsigliano tentativi di coltivazione su terreni non adatti, perché qualunque correzione (con torba, zolfo o gesso) non solo non è risolutiva, ma comporta uno sviluppo stentato dell’esemplare.
Non è consigliata la coltivazione in vaso, se non per i primi 10-15 anni di sviluppo della pianta, trascorsi i quali è necessario l’impianto in piena terra.
L’impianto e le cure successive seguono le indicazioni valide per qualunque albero: una buca sufficientemente ampia da ospitare anche uno strato di drenaggio di almeno 10 cm, una buona concimazione organica, un paio di tutori per assicurare la tenuta ai venti, abbondanti annaffiature per tutto il primo anno successivo. In seguito la sughera va concimata in autunno e in primavera, meglio se con un prodotto organico, come il letame, oppure con un fertilizzante per arbusti acidofili. Non necessita di potature, se non per eliminare rami spezzati, secchi o malati.
Gli abitanti della sughereta
Inoltrarsi in una sughereta in qualunque stagione è sempre una sorpresa: se il bosco insiste su un terreno sabbioso, all'imbrunire può capitare di imbattersi in un coniglio selvatico; se invece la foresta confina con cespuglieti e radure, è più facile l'incontro con la lepre; i più fortunati potrebbero avvistare il raro (e particolarmente protetto dalla legge) cervo sardo o il più frequente muflone sardo. Attenzione invece alla vista di un cinghiale, ungulato temibile per la massa d’urto e le lunghe zanne, per giunta minimamente impaurito dall’uomo. Fiabesco, infine, imbattersi in un gregge al pascolo, soprattutto se, con tanta fortuna, si capita nel magico momento del parto di un agnellino o caprettino.
Neanche i micologi rimangono insoddisfatti, visto che è frequente l’incontro con il porcino nero (Boletus aereus) e l'ovolo reale (Amanita caesarea), l'orecchione (Pleurotus ostreatus) e la famigliola buona (Armillaria mellea); senza trascurare, per chi ama la fotografia, la possibilità di ritrarre la mortale amanita falloide (Amanitha phalloides) e le velenose amanite panterina (A. pantherina) e muscaria (A. muscaria). È facile trovare anche la terfezia (Terfezia arenaria = T. leonis), il tartufo delle sabbie che faceva impazzire Fenici, Greci, Romani e Cartaginesi, ma che oggi viene consumato solo in Nord Africa e in Sardegna (soprattutto nell'Oristanese le tuvara de arena sono apprezzatissime).
La Stazione sperimentale del sughero
A Tempio Pausania (Ot), esiste una Stazione sperimentale del sughero, l'unico punto di riferimento scientifico a livello mondiale per il settore del sughero e la prima al mondo a ottenere la certificazione Fsc, il marchio che identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
Qui si studia tutta la filiera dell’“oro morbido”, a partire dal materiale iniziale, le querce da sughero, scelte fra le piante “plus” (che forniscono cioè sughero di qualità I-extra), passando per la lavorazione e la commercializzazione del prodotto, sino ai nuovi prodotti trasformati, come il turacciolo che non produce “odore di tappo”.
Quercia da sughero? Come il maiale: non si butta via nulla!
Del sughero non si butta via niente, come per il maiale: i residui di lavorazione, la polvere e la risulta di manutenzione delle sugherete è un ottimo ecocombustibile, da cui si ricava una cenere perfetta per il compostaggio.
Le ghiande servono per l’alimentazione dei maiali allevati allo stato semibrado; le foglie secche forniscono una lettiera naturale per mucche e pecore.
Raccogliendo i tappi usati e riciclandoli, si ottengono pannelli isolanti e granulato biondo per l’edilizia: sembra che i pannelli da sughero riciclato abbiano proprietà coibentanti ancora maggiori rispetto al materiale vergine.
I mille usi del sughero
Pare che lo scrittore Marcel Proust amasse talmente le proprietà del sughero da farne interamente rivestire il suo studio, per isolarsi dai rumori esterni, del resto confermate dall'utilizzo negli strumenti musicali. Infatti, è un ottimo materiale isolante, tanto che oggi i fogli di sughero vengono impiegati per l’isolamento termoacustico e fonoassorbente di intercapedini, sottopavimenti, sottotetti e sottotegola, e per l’isolamento a cappotto (cioè con rivestimento totale della muratura) interno ed esterno degli edifici. È un materiale ecologico, ampiamente utilizzato nella bioedilizia, perché di origine interamente naturale, in cui le particelle vengono legate fra loro con colle alimentari, le stesse utilizzate per i tappi da vino.
Ma viene anche utilizzato per accessori d’abbigliamento (cinture, scarpe, borse ecc.) e per la casa (casalinghi, oggettistica, artigianato ecc.) e per realizzare giochi e accessori per lo svago.