La mimosa l’hanno scelta come grazioso omaggio in occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale della Donna, perché è il primo fiore della stagione, assai gradevole a vedersi, intensamente odoroso e soprattutto durevole e, provenendo da maestosi alberi, di facile e abbondante disponibilità nelle zone mediterranee. Quale tributo migliore, per il gentil sesso, di un soffice piumino, gentile e delicato, che simboleggia il pudore femminile al punto da meritare il nome “mimosa”, derivante dal latino mimus, “mimo”. A indicare una pianta sensibilissima, capace di cambiare rapidamente aspetto movendo le foglie al minimo alito di vento o tocco di una mano. E quindi l'enorme adattabilità delle Donne...
Però, a essere pignoli, la mimosa non sarebbe esattamente il fiore più adatto: il tripudio di “piumini” gialli altro non è che una sfacciata esibizione di potenza maschile. Si tratta infatti del coacervo di stami (gli organi riproduttivi maschili) le cui antere (gli apici), appoggiando la punta del naso per aspirarne il profumo, rilasciano il polline sotto forma di polverina color giallo oro.
Se però ci pensiamo bene, regalare un mazzolino di mimosa, fatta di soli fiori maschili, sta a indicare che la Donna è potente quanto un uomo, ha gli stessi "attributi" di un maschio, la stessa forza virile. E quindi ben venga l'omaggio della mimosa a tutte le Donne, che da sempre dimostrano quanto in realtà siano infinitamente più forti degli uomini, in tutti i frangenti della vita, inclusa la resistenza fisica a ogni accidente. Non per niente la durata media della vita delle Donne è superiore a quella degli uomini...
Mimosa, acacia, robinia
Certo è un fiore assai strano, per appartenere alla grande famiglia delle Leguminose (quella del fagiolo o della Robinia pseudoacacia, per intendersi): scomparsi – o, meglio, mai apparsi, visto che rientra in una sottofamiglia primitiva – i petali che fanno assomigliare la corolla a una minuscola farfalla, sono stati gli stami ad assumere il compito di farsi notare.
E poi c’è la perenne confusione con la robinia, chiamata comunemente “acacia” e solo dopo il 1753 ribattezzata da Linneo “pseudoacacia”: in realtà solo la mimosa dovrebbe fregiarsi dell’appellativo “acacia”, poiché il suo nome botanico è proprio Acacia dealbata. Peccato però che nessuno mai la chiami così.
Dunque una pianta dai molti equivoci: ma vale la pena di porsi tanti interrogativi, o non è piuttosto meglio ammirarla, se si è fortunati abitanti di zone mediterranee, nella sua veste primaverile di nuvola gialla riccamente profumata, oppure beneficiare con gioia del gradito omaggio al proprio essere Donna?
Coltivatela così
La mimosa resiste solo laddove la temperatura non scende sotto lo zero in inverno: i danni da freddo sarebbero sempre notevoli, a volte fino a compromettere la vita della pianta stessa. Anche se gli inverni sempre più miti ormai permettono di coltivarla in piena terra anche in Val Padana, posizionandola in un angolo del giardino molto soleggiato e riparato dai venti di tramontana.
Non cimentatevi nemmeno se il suolo è di tipo calcareo, fonte di clorosi e di crescita stentata: il terreno preferito ha una reazione tendenzialmente acida; è fertile, umido ma privo di ristagni idrici. Collocatela in pieno sole, al riparo dai venti freddi ai quali è molto sensibile. Necessita di annaffiature abbondanti nel periodo estivo e moderate in autunno-inverno.
Può essere coltivata in vaso, soluzione utile per i climi freddi poiché si può ricoverare in serra fredda o riparare con telo non tessuto durante la cattiva stagione: naturalmente non produrrà quel trionfo di fioritura che caratterizza gli alberi in piena terra, ma – se ben concimata nei primi anni – giusto quel tanto che basta a togliersi la soddisfazione.