Si sono diffuse anche in Italia, da una ventina d’anni, le cosiddette “rose da bacca”, così chiamate perché, oltre a regalare una splendida fioritura in primavera, se non si recide il fiore sfiorito, in autunno donano anche lo spettacolo di rami carichi di frutti gialli, arancio, rossi, porpora, di forme e dimensioni variabili tra 1 e 3 cm di diametro, con buccia brillante o opaca, liscia o solcata da spine, creste, punte ecc., che possono permanere anche fino a marzo (se gli uccellini non ne fanno un ricco banchetto), pennellando con una nota di colore la stagione più grigia.
Si tratta per lo più di rose botaniche coltivate, alcune delle quali selezionate in varietà “da bacca”, anche se le rose botaniche selvatiche, come la Rosa canina, non sono da meno quanto a spettacolarità dei frutti.
La denominazione adottata, “bacca”, è molto semplice e facile da memorizzare: sarebbe ben più difficile ricordarsi la terminologia tecnica, che assegna ai frutti il nome di “cinorrodi”! Ma non è la definizione esatta: dal punto di vista botanico, infatti, i frutti della rosa non sono bacche, a cui assomigliano solo per la forma, bensì appunto cinorrodi, dal greco kunòs, cane, rhodon, rosa.
E il cinorrodo, dal punto di vista botanico, è un falso frutto: come nella fragola, non è l’ovario a ingrossarsi come dovrebbe essere, bensì il ricettacolo fiorale che diventa carnoso e si ripiega a mo’ di piccolo orcio, racchiudendo quasi completamente all’interno i veri frutti, che sono costituiti dagli acheni (i “semi”) pelosi.
Se si ha la pazienza di eliminare gli acheni e i relativi peli, che possono causare irritazioni alle mucose, lingua compresa, questi frutti ben maturi ci ricompenseranno con un sapore dolce-acidulo inimitabile e con una quantità di vitamina C di 30 volte superiore a quella degli agrumi: ecco perché durante l’ultima guerra mondiale chi viveva in campagna non conosceva l’influenza!
Per beneficiare delle loro virtù, i cinorrodi si possono consumare freschi, durante una bella passeggiata in campagna, oppure trasformati in marmellata o in gelatina: oltre a quelli delle rose selvatiche come R. canina e R. pendulina, sono indicati i frutti della R. gallica ‘Officinalis’ (che in Francia è nota come “rosa del farmacista” per la produzione della famosa “confettura di Provins”) e della R. rugosa.
Se invece si desidera solo ammirarli, le rose che non possono mancare in giardino per l’abbondanza di frutti sono: la R. helenae, che si riempie di grappoli penduli di piccoli frutti arancione dopo una bella, ricca e unica fioritura giallo pallido; la R. filipes ‘Kiftsgate’, una delle più esuberanti, conosciuta sia per l’esagerata fioritura bianca, sia per i suoi ricchi e fitti grappoli di piccoli frutti rosso vivo; la ‘Rambling Rector’, che si ammanta in primavera di piccoli fiori dal forte e speziato profumo, bianchi e semidoppi, e si ricopre in autunno di mazzi di piccoli frutti arancioni.