L’estate 2022 ci saluta con pochi rimpianti da parte del giardiniere, vista la dicotomia, o l’alternanza, fra siccità, grandine e alluvioni. E ora ci si ritrova con un giardino spesso malconcio, oppure addirittura devastato, e l’incertezza sul da farsi alle soglie dell’autunno.
Dalla siccità alla grandine e alluvioni
Nella prima parte, in giugno e luglio, tutta l’Italia è stata afflitta da una siccità persistente, causata non solo dall’assenza pressoché totale di piogge, ma anche dalla carenza idrica a livello di acquedotti, dovuta anche alla mancanza di neve sulle vette nell’inverno scorso, che ha portato la gran parte dei Comuni italiani a emanare ordinanze di divieto di annaffiare giardini e orti (i più fortunati hanno potuto bagnare fra le 20 e le 8, molti altri nemmeno in quegli orari).
In agosto invece l’Italia è stata divisa meteorologicamente in due: al Centro-Sud in buona parte è rimasta la siccità condita con temperature ancora elevatissime, mentre al Nord si sono scatenate violente perturbazioni che hanno causato allagamenti e danni da grandine alle piante, oltreché agli edifici.
Siccità: i danni
Le temperature elevatissime, superiori alla media stagionale in ogni zona d’Italia incluse le Alpi, hanno di per sé determinato in molte piante un arresto della crescita, dovuto all’incapacità di determinate specie di tollerare oltre una certa soglia termica senza appunto ridurre al minimo le proprie attività vitali nella migliore delle ipotesi e invece seccarsi nella peggiore. La “quasi dormienza” è stata indotta anche da un altro fattore limitante: l’eccessivo riscaldamento del terreno (con temperature anche di 40 °C), unito alla mancanza di idratazione, ha “avvisato” le radici della situazione inospitale, facendo scaturire anche dall’apparato radicale il segnale di arresto della crescita.
Il disseccamento è stato incentivato anche dalla mancanza d’acqua, dovuta all’assenza di precipitazioni e al razionamento di fornitura dell’acqua d’acquedotto o all’esaurimento di fonti di pozzo o falda. Anche in questo caso esistono specie ad alto fabbisogno idrico (per es. tutte le piante erbacee) e altre a bassa richiesta (per es. piante legnose, succulente ecc.), che indubbiamente hanno sopportato meglio la situazione avversa.
Per il futuro, ovvero già da questo autunno, è necessario privilegiare queste ultime rispetto alle prime, dato che il fenomeno di “calore elevato + mancanza d’acqua” è destinato a durare, a essere la nuova normalità.
Siccità: cosa fare in autunno
La combinazione dei tre fattori avversi ha determinato la moria di molte piante erbacee, soprattutto se coltivate in vaso, per le quali l’unico destino è l’eliminazione, in particolare per quelle annuali. Per le perenni bisogna prima tagliare i rametti a 5 cm dal colletto: se nell’interno sono ancora verdi, la pianta se ben annaffiata (ma senza annegarla) può gettare nuovamente, se invece sono secchi l’esemplare è probabilmente morto (si può annaffiare e osservare se il terriccio si asciuga velocemente, nel qual caso con buona probabilità le radici sono vive e potrebbero emettere nuova vegetazione, mentre se il substrato rimane umido a lungo è morto anche l’apparato radicale).
Anche le piante legnose ne hanno risentito, in particolare gli arbusti e gli alberi piantati nell’ultimo anno, ancora privi di un apparato radicale in grado di ricercare fonti idriche in profondità. Su esemplari le cui foglie sono interamente secche, vale anche in questo caso il consiglio di potare i rametti a 10 cm dal ramo portante e osservarne l’interno: se è ancora verde, ci sono buone speranze di ripresa, e viceversa (ma anche in questo caso, prima di espiantare il soggetto, è bene provare ad annaffiare e vedere se emette nuovi getti entro l’inizio di ottobre). Su arbusti con foglie e rami solo parzialmente disseccati, serve una potatura che dimezzi la lunghezza dei rami ancora verdi e che tagli alla base quelli secchi, nonché la ripresa delle annaffiature – se possibile – ma senza esagerare con le quantità (la pianta ha comunque una superficie fogliare ridotta e ridotto sarà il consumo idrico).
Trascorso il mese di settembre, se gli esemplari sotto osservazione non hanno dato segni di vita, vanno rimossi. Se si tratta di alberi o arbusti, sarebbe bene non ripiantare nella stessa buca d’espianto, bensì ad almeno 50 cm di distanza.
Dopodiché, i mesi di ottobre e novembre sono perfetti in tutta Italia per rifondere le piante legnose perse: i nuovi soggetti hanno più tempo per adattarsi alla piantagione, con un clima favorevole e una buona umidità nel terreno, mentre la primavera sarà sempre meno idonea alla messa a dimora proprio perché subito dopo il suolo diviene inospitale per il caldo e la siccità.
Grandine: cosa fare subito dopo
Fra le alluvioni e la grandine, la prima è più manifesta nei danneggiamenti riportati dalle piante: fiori, foglie e rami spezzati si notano immediatamente, e il pronto soccorso consiste nel rifilare immediatamente con la forbice tutte le rotture, per evitare che dagli sfilacciamenti possano penetrare le malattie fungine.
Nel caso di siepi o arbusti il cui fogliame sia pesantemente frantumato è bene procedere con una potatura, che anticipa di poco quella da condurre normalmente tra fine settembre e inizio ottobre. Sempre su esemplari legnosi è bene procedere irrorando un prodotto che prevenga appunto le crittogame (funghi): il rame, ma anche la propoli agraria o il sapone molle o il caolino sono buoni mezzi difensivi perché, se ben distribuiti, avvolgono tutta la parte aerea delle piante creando uno schermo difensivo contro le spore (“semi”) fungine. Con i rami spezzati, volendo, si può procedere a effettuare talee: settembre è ancora un’epoca adatta all’attecchimento in vasetto con terra e sabbia.
Alluvioni: cosa fare subito dopo
Le alluvioni sono invece più subdole, perché il danno raramente si manifesta entro pochi giorni. Mentre una pioggia intensa, con raffiche di vento, atterra le piante erbacee, ma generalmente consente poi un rialzo degli steli e una ripresa vegetativa, una grande quantità di acqua che permane stagnante anche solo per qualche ora sul terreno denota una saturazione delle fasce sottostanti, e quindi espone le radici al pericolo di asfissiacon conseguente morte della pianta. Il deperimento avviene entro una decina di giorni dall’evento e consiste in un avvizzimento delle foglie, che rimangono verdi, senza seccarsi, ma appaiono pendenti e molli; solo in un secondo tempo anneriranno direttamente, senza prendere un colore marrone. In questa fase non è più possibile salvare l’arbusto o la pianta erbacea.
L’unica contromisura – peraltro non certamente risolutiva – da prendere appena ci si accorge del mancato assorbimento dell’acqua da parte della terra del giardino o dell’orto consiste nel trivellare il suolo, a distanza di 50 cm dai colletti delle piante, fino ad almeno 30 cm di profondità e far scivolare nel foro, per quanto possibile, ghiaino sottile, in modo da restituire un minimo di aerazione in profondità. L’operazione peraltro non è risolutiva, perché insieme con il ghiaino penetrerà anche l’acqua, ma perlomeno ne faciliterà il deflusso in maniera un po’ più rapida.
A monte, per prevenire ulteriori allagamenti su un terreno evidentemente di natura umida, sarebbe necessaria una lavorazione del terreno tale da incorporare materiale drenante o, in caso di rifacimento totale del giardino, lo sbancamento lungo linee di deflusso per inserire in profondità i tubi di drenaggio convogliando l’acqua in un canale di scolo o, se ciò fosse pedologicamente possibile, inviandola in una cisterna sotterranea di raccolta.
Infine, ça va sans dire, sul terrazzo è necessario rimuovere immediatamente tutti i sottovasi, svuotando l’acqua raccolta negli annaffiatoi. I vasi devono rimanere senza il sottovaso per almeno una settimana, tenendo presente che, dalla Val Padana compresa in su, alla metà di settembre andrebbero comunque rimossi per evitare pericolosi accumuli fonte di ristagno idrico nei substrati.