Il calicanto d’inverno (Chimonantus praecox, da non confondere con quello estivo, Calycanthus floridus, dai fiori rossi) è caratterizzato da un’esuberanza di rami coperti da grandi foglie lanceolate che maschererebbero completamente i piccoli fiori sessili (cioè nati direttamente sui rami, senza piccioli che li mettano in evidenza) se questi comparissero in estate.
La pianta allora attende che le grandi foglie siano cadute (in genere tra novembre e dicembre, se è sufficientemente freddo) per schiudere i boccioli tra gennaio e febbraio, mesi in cui i fiori sono l’unica parte attiva della pianta. Non si congelano neppure nelle nottate ghiacciate perché le cellule che li formano hanno un punto di congelamento molto più basso del normale (una sorta di “antigelo”).
Senza la concorrenza delle foglie, e per giunta muniti di un profumo soave che si spande a vari metri di distanza, attirano le api che, nelle giornate soleggiate e tiepide, cercano il nettare prelibato che questi fiori contengono: così vengono impollinati con facilità e, quando la stagione ritornerà clemente, l’arbusto sarà già pronto a rilasciare i semi, che potranno germinare avendo a disposizione l’intera estate per fortificare la piantina neonata.
L’insolito periodo di fioritura ha fatto nascere un paio di delicate leggende: la prima narra che durante la fuga in Egitto della Sacra Famiglia, gli arbusti di calicanto aprirono le fronde per nascondere i tre fuggiaschi braccati dai soldati di Erode; per questo, il dono di un rametto esprime l’affettuosa protezione verso chi lo riceve.
La seconda racconta che in un giorno d’inverno, un pettirosso stanco e assiderato cercò un ramo per riposarsi al riparo delle ultime foglie ingiallite prima di riprendere il volo. Molti alberi gli negarono il permesso, solo il calicanto impietosito lo ospitò sotto le ultime foglie appassite per ristorarlo. Il Signore ricompensò allora l’arbusto facendo cadere sul ramo una pioggia di stelle splendenti e profumate: il prodigio si ripete ogni anno al momento della fioritura.