“Morbido come la seta”, così diciamo comunemente per indicare il non plus ultra in fatto di sofficità e carezzevolezza. La seta è un materiale naturale, ricavato dal bozzolo di un bruco, appunto il baco da seta (Bombix mori), che produce il filo solo se è stato prima nutrito in abbondanza con le foglie di un grazioso quanto utile alberello, il gelso.
Oggi la seta arriva tutta dalla Cina, patria sia del baco da seta sia del gelso, da dove la farfalla giunse in Europa nel XV secolo, diffondendosi a macchia d’olio soprattutto in Italia: nel ’700 e ’800 la bachicoltura fu un pilastro dell'economia nazionale, tanto che all’inizio del ’900 producevamo 70 milioni di kg di bozzoli freschi l'anno, e molte zone del Paese, a partire da Como, hanno costruito la propria fortuna su questa industria. Dal Dopoguerra, l’allevamento è costantemente calato, per motivi economici e ragioni legate alla qualità della vita, con una drastica diminuzione della produzione (oggi ferma a meno di 100mila kg l’anno), che ci costringe alle importazioni dall’Oriente.
Ma chi è stato bambino negli anni ’60 può aver avuto ancora la fortuna di vedere i bachi in azione, e sicuramente può aver visto tutta la Val Padana, ma anche le colline prealpine e appenniniche, costellate di filari di gelsi bianchi, retaggio dell’intenso allevamento dei bachi da seta. Le grandi foglie dell’albero costituivano il cibo per i bruchi che in due mesi producevano il bozzolo sericeo, buona fonte di guadagno per le famiglie contadine. I tronchi fungevano da sostegno permanente per le viti (che, infatti, erano chiamate “maritate”). E poi rimanevano i dolci frutti, di cui fare scorpacciate o marmellate.
Oggi, anche nel raro caso in cui a scuola se ne parli, di bachi e di seta, è più facile che i bambini vedano un leone in uno dei tanti parchi-zoo italiani che non un Bombix. E altrettanto inavvistabili sono pure i gelsi, ed è un vero peccato, perché questo albero generoso molto dà e nulla chiede.
Prima per il frutto, poi per le foglie
Originario dell’Asia, dalla Turchia fino alla Cina, il gelso annovera due specie da frutto, il bianco e il nero (rispettivamente Morus alba e M. nigra, dal colore dei frutti), 10 specie ornamentali e numerose varietà. Fu prima il nero ad arrivare in Italia, in epoca romana, facendosi apprezzare anche da Plinio il Vecchio e dal nipote Plinio il Giovane per la dolcezza dei frutti. Il bianco venne importato da Ruggero II di Sicilia dall’Asia Minore nel XII secolo e anch’esso coltivato per i frutti, sebbene meno aromatici e gustosi.
Al ’500 risale l’impiego di questi alberi per la bachicoltura: divennero in breve così importanti che le genti di campagna iniziarono a portare in processione, nel giorno dell’Ascensione, un ramo di gelso, in modo da esporre alla benedizione del Signore l’intero albero per assicurarsi la prosperità dei bachi da seta.
Presenti in tutta Italia, entrambe le specie diventano alberi imponenti, alti fino a 15 m il bianco e 10 m il nero e larghi altrettanto, con chioma rotondeggiante ed espansa (sono ottimi per ombreggiare d’estate), data da foglie caduche, alterne, intere, da ovate a cordate e a volte trilobate, lunghe fino a 15 cm, di colore verde brillante e con lamina inferiore glabra nel gelso bianco, più scure, dentate e con la pagina inferiore pelosa nel gelso nero. La fioritura, in aprile-maggio, è data da fiori unisessuati nel bianco (specie monoica) e sia unisessuati che ermafroditi nel nero, comunque insignificanti, tanto che l’evento passa inosservato. I frutti maturano da maggio a luglio sul gelso bianco e da giugno a settembre sul nero: assomigliano visivamente alle more, ma botanicamente si chiamano “sorosio”, e hanno rispettivamente colore bianco giallognolo o rosato (sono già dolci anche immaturi) oppure porpora-nero (aciduli se acerbi) a maturità.
Frutti da riscoprire
Già dalla metà della primavera sono pronti i frutti (comunemente detti “more”), che si raccolgono scalarmente, prelevando con molta delicatezza quelli maturi, cioè che si staccano con una leggera pressione delle dita. È preferibile che l’albero abbia dimensioni contenute, per poter appoggiare facilmente la scala e raggiungere tutte le “more”, la cui raccolta non è semplicissima proprio per la delicatezza e le piccole dimensioni. Una pianta adulta, lasciata libera si svilupparsi, può produrre fino a 200 kg di frutti, molto appetiti anche da piccioni, tortore e merli.
Fate particolare attenzione nella raccolta dei frutti neri, perché macchiano la pelle e soprattutto i tessuti (oltre che tutto ciò con cui vengono a contatto).
Essendo rapidamente deperibili, i frutti si conservano solo per qualche giorno in frigorifero. Ricchi di mucillagini, che li rendono emollienti e rinfrescanti dell’apparato gastrointestinale, nonché leggermente lassativi, si differenziano solo per il contenuto in antociani tipico dei frutti neri, che risultano così anche benefici per l’apparato circolatorio. Per questo, i frutti neri sono molto richiesti dall'industria cosmetica, anche biologica, per ricavarne creme di bellezza a base di estratti vegetali: in casa, la polpa pestata e amalgamata con miele d’acacia si può utilizzare per una maschera lenitiva e nutritiva per la pelle secca (ancora una volta, attenzione alle macchie!).
Apportano pochissime calorie perché scarseggiano in zuccheri, abbondando invece in acqua. Il sapore è semplicemente dolce in quelli bianchi, dolce-acidulo e aromatico nei frutti neri.
Le “more” si possono consumare così come sono perché una tira l’altra, oppure condite con succo di limone e miele o zucchero, o nelle macedonie, in torte e crostate di frutta e nella sangria. Ma si possono anche trasformare in marmellate biologiche, gelatine, sciroppi e sorbetti: in Sicilia, oltre al gelato al gelso nero, è una vera prelibatezza, estasi celestiale di sapori e profumi, la granita di gelsi (naturalmente neri), con o senza aggiunta di panna...
Ricetta: la marmellata di more di gelso
- Lavare accuratamente 1,5 kg di more di gelso bianco o nero. Porre sul fuoco, in una pentola d’acciaio inox, a fiamma bassa, aggiungendo acqua fino a un terzo dell’altezza della massa di frutti.
- Quando, mescolando, le more si disfano, aggiungere 350 g di zucchero di canna. Se i frutti sono bianchi, si può aggiungere a piacere il succo di due limoni o una stecca di vaniglia per aromatizzare.
- Continuare la cottura a fiamma bassissima, mescolando spessissimo, finché il composto si addensa: la marmellata è pronta quando scende lentamente dal cucchiaio di legno. Invasettare in contenitori di vetro puliti e chiudere subito.
Comodo perché il gelso fa tutto da solo
- Se c’è un albero da frutto facile da coltivare, questo è il gelso, bianco o nero che sia. Prospera in qualunque ambiente, dalle rive del mare fino alla media collina (5-600 m di quota), da Nord a Sud, su qualsiasi tipo di terreno, argilloso, sassoso, povero o pendente, con l’interessante risvolto di frenare l'erosione del suolo e bloccare i movimenti franosi.
- Non va annaffiato, se non nel primo anno dopo l’impianto in modo che attecchisca bene. Si concima ogni autunno con un fertilizzante organico tipo letame ben maturo, stallatico secco, compost o humus. L’unico accorgimento, al momento dell’impianto (che deve prevedere uno straterello di drenaggio sul fondo della buca), è l’inserimento di un robusto tutore a cui assicurare il fusto, soprattutto se il terreno è in pendio. Preferisce una posizione soleggiata o a mezz’ombra, ma vive ugualmente anche in ombra (produrrà meno frutti).
- Non richiede potature, se non per eliminare rami secchi o spezzati, oppure per contenerne l’esuberanza: tollera ogni genere di taglio, compresa la capitozzatura (che però è assolutamente sconsigliabile perché, nel tempo, indebolisce la pianta). La resistenza alle malattie fa sì che non richieda l'impiego di fitofarmaci.
- Per riprodurlo, si utilizza la talea di ramo dell’anno precedente, da prelevare in estate. La riproduzione da seme è invece sconsigliabile, perché possono passare anche 10 anni per avere i primi frutti. Non è possibile innestare il bianco sul nero o viceversa, perché le due specie sono incompatibili.
- Fra le due specie, per tradizione si preferisce il bianco che, pur sporcando il terreno o la pavimentazione sottostante al momento della fruttificazione, perlomeno non macchia indelebilmente la superficie, come fa il gelso nero. Le more, infatti, cadendo si appiccicano alle pavimentazioni, costringendo a lavaggi manuali faticosi o al passaggio dell’idropulitrice.
- Non è coltivabile in vaso: le giovani piante o le talee radicate possono rimanervi al massimo per tre anni, poi vanno trapiantate in piena terra.
Le specie e varietà quasi solo per ornamento
- Del gelso bianco esistono tre varietà ornamentali, ‘Pendula’, ‘Laciniata’ e ‘Fruitless’. La prima, alta circa 3 m e larga 5, ha rami con portamento ricadente, che formano una sorta di “capanna”, molto gradita ai bambini quando l’albero diventa adulto perché i rami arrivano fino a terra; la ‘Laciniata’, di dimensioni analoghe, ha foglie profondamente lobate, molto decorative; ambedue queste varietà producono pochissimi frutti; infine, la ‘Fruitless’ non produce nemmeno un frutto e non sporca assolutamente la superficie sottostante, ma ombreggia molto bene in estate grazie alle grandi foglie.
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L’ornamentale Morus platanifolia è un albero che può superare i 15 m d'altezza, dalla chioma arrotondata e molto espansa, con foglie grandi, palmate, profondamente nervate e incise, lucide, simili a quelle del platano; produce in luglio-agosto frutti di colore rosa-rosso, di sapore meno intenso rispetto alle altre due specie; anche di questa specie esiste la varietà ‘Fruitless’.
- Produce pochi frutti di colore rosso anche M. rubra, chiamato gelso rosso: è un albero alto 12 m e largo 15, poco diffuso, le cui foglie in autunno virano al giallo intenso; ne è stata selezionata anche la varietà ‘Nana’, che tocca solo i 4 m d’altezza.
Come funziona la bachicoltura
- La bachicoltura è un’attività del tutto naturale, ecocompatibile, che non consuma risorse e non lascia residui. L'allevamento del baco da seta si condensa tra la fine di aprile, quando il gelso mette le foglie, e l'inizio di giugno, per l'impossibilità di ottenere un secondo raccolto di foglie. In 40 giorni dall'uovo si ottiene il bozzolo di seta, passando attraverso le quattro successive mute dell'insetto. Durante questo periodo, l'unico ma costante impegno del bachicoltore consiste nel rifornire di fogliame gli insaziabili bruchi e nel ripulire i resti di quanto avanzato.
- Ciò significa lavorare per circa tre ore ogni giorno, ma l'attività è talmente semplice e poco faticosa che veniva condotta da bambini e anziani. Basta possedere una stanza non riscaldata o un tunnel come quelli per colture orticole, dove mantenere una temperatura compresa tra 22 e 25 °C: i bachi infatti soffrono le correnti d'aria. Il seme-baco di Bombix mori può essere richiesto alla Sezione per la bachicoltura di Padova (www.sezionebachicoltura.it), miglior produttore al mondo, in quantità regolata sull'estensione del gelseto. I primi dieci giorni servono alla schiusa dei semi, e nei restanti 25 i bachi, adagiati su telaini, non fanno altro che mangiare.
- Arrivato al 35esimo giorno, il baco segnala l'intenzione di imbozzolarsi dondolando la testa già nel movimento di filatura. È sufficiente fornirgli l'apposita raggiera in plastica (un tempo erano sarmenti di vite o fascine di ginestra, il cosiddetto "bosco") sulla quale il bruco fissa cinque punti d'appoggio, attorno ai quali avvolgere il filo di seta. Questa viene prodotta da una ghiandola secernente sericina, che viene fissata a formare il bozzolo mediante una sostanza collosa secreta da una seconda ghiandola. Il funzionamento di questi due preziosissimi organi è assai delicato, tanto che nei decenni passati l'impiego di alcuni insetticidi (oggi vietati per legge) in frutticoltura li aveva completamente bloccati. In 5-6 giorni il bozzolo è finito, a proteggere la metamorfosi del bruco in farfalla.
- Per evitare lo sfarfallamento, operazione che perfora il bozzolo e interrompe la continuità del filo di seta, non più lavorabile a macchina, i bozzoli vanno essiccati a 50 °C per 15 minuti. Da ogni bozzolo si dipanano 900-1.500 m di filo, generalmente bianco (qui a destra), ma anche colorato, grazie alla selezione di bachi gialli, arancioni, verdi e rossi, per dare tinte irriproducibili artificialmente. Le crisalidi disidratate vengono riutilizzate come mangime per uccelli o esca per pesci.