Il farfaraccio è tra le prime piante spontanee a fiorire a fine inverno. Un tempo si usava in erboristeria, ma ora non più.

Pianta erbacea perenne, con grosso rizoma carnoso coperto di scaglie, orizzontale nel terreno anche per 2 m di lunghezza. Dal rizoma, in febbraio-marzo spuntano gli scapi fiorali squamosi alti 10-30 cm che portano ciascuno un capolino composto da circa 40 fiori centrali (fiori del disco) tubulosi, ermafroditi ma in realtà maschili, e da circa 300 fiori periferici (fiori del raggio) ligulati e femminili, tutti di colore giallo. Il frutto è un achenio cilindrico, con pappo di peli bianco-sericei. Le foglie spuntano dopo la fioritura, direttamente dal rizoma quelle basali, che sono ovate e cordate con margine dentellato, verdi superiormente e bianco-tomentose di sotto; lungo il corto fusto le altre foglie che somigliano a squame.

Farfaraccio, dove trovarlo

È presente in tutta Italia, fino ai 2500 m d’altitudine, molto comune nei luoghi umidi e a bordo strada, dove preferisce l’esposizione a nord e i terreni argillosi.

Come coltivare il farfaraccio

In quanto pianta spontanea, non è reperibile in commercio. Per coltivarla è necessario prelevare una porzione di rizoma (circa 5 cm) in primavera durante la fioritura, oppure alcune infruttescenze ancora munite dei semi con pappo. È necessario che la posizione di destinazione sia soleggiata durante l’inverno e inizio primavera, e ombreggiata nei restanti mesi, nonché con terreno fortemente umido. Non richiede particolari cure.

Principi attivi del farfaraccio

Tutta la pianta è attiva e contiene alcaloidi pirrolizidinici, flavonoidi, carotenoidi, triterpeni, mucillagini, tannini, resine, cere, olio essenziale, glucosidi amari e petasine. Nei secoli passati e sino ai giorni nostri è stata utilizzata nelle affezioni respiratorie (mal di gola, tosse, catarro, bronchite, enfisema ecc.) e gastriche (gastrite, ulcera), ma anche come diuretico, in effetti con successo. Tuttavia recentemente la ricerca scientifica ha appurato che gli alcaloidi pirrolizidinici (senkirkina, tussilagina, senecionina) sono epatotossici per l’uomo e addirittura negli animali possono causare il tumore al fegato, oltre a essere mutageni nei confronti del DNA cellulare.

Pertanto il farfaraccio non solo è controindicato, ma è addirittura pericoloso e non va più utilizzato a scopo terapeutico in erboristeria, ma neppure in cucina (i boccioli e i fiori appena aperti venivano aggiunti, crudi o cotti, alle insalate).

Per approfondire

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