Com’è fatto il carciofo
Derivato dal cardo selvatico, il carciofo coltivato è stato selezionato per sviluppare un involucro fiorale molto grande, quasi del tutto commestibile. I capolini fiorali sono portati al termine di ogni ramificazione del fusto, che può raggiungere i 100-120 cm d'altezza ed è circondato da foglie grandi, lobate, a volte spinulose. Se si aprissero, i fiori viola somiglierebbero a quelli delle margherite, ma nel capolino immaturo l’infiorescenza è protetta da brattee strettamente embricate (addossate), mucronate o spinose all’apice, che costituiscono la parte commestibile della pianta.
È una pianta perenne e in coltivazione dura circa 10 anni.
Come coltivare il carciofo
Semina/trapianto: il terreno dev’essere ricco e a medio impasto, con un po’ di sabbia. Prima della semina o della messa a dimora dei carducci, il terreno va arricchito con sabbia per il drenaggio. Poi va lavorato a 40-60 cm di profondità interrando letame ben maturo, compost o ammendanti organici.
La semina si effettua in semenzaio protetto a fine inverno (trapianto a fine maggio), o in semenzaio non protetto a primavera, nel campo a maggio, con sesti d’impianto di 80-120 cm tra e sulle file.
Più frequentemente, si trapiantano tra l’autunno e l’inizio primavera i carducci, cioè i polloni che si sviluppano da gemme nella parte sotterranea del fusto. Si prelevano da piante di oltre un anno e devono avere molte radici e 4-5 foglie ben sviluppate. Per produzioni primaverili si asportano dalla pianta madre in ottobre-novembre, si trapiantano, s’irrigano e si rincalzano con terra o paglia; per produzione autunnale i carducci si asportano e s’interrano in primavera, bagnando molto. Scavate buche distanti tra loro circa 100 cm, evitando di interrarli eccessivamente. Partite sempre da piante perfettamente sane, per evitare la trasmissione di malattie al nuovo impianto.
Cure: predilige climi temperati e asciutti e, nonostante si coltivi in tutta Italia, preferisce il Sud e le coste. Gradisce temperature di 18-22 °C, già intorno a 0 °C può subire danni. Sono adatti terreni di medio impasto, drenati e permeabili, anche se si adatta a suoli argillosi, torbosi o leggermente salmastri. L’irrigazione è necessaria in particolare al momento dell’impianto e con regolarità nel periodo primaverile, per aspersione laterale o per scorrimento. Sarchiate il terreno per rompere la crosta superficiale e facilitare l’irrigazione. Asportate le malerbe. In autunno va eseguita la "scarducciatura", operazione di potatura indispensabile per liberare la pianta dai carducci in eccesso che potrebbero limitarne lo sviluppo vegetativo: si asportano tutti i germogli meno vigorosi, lasciandone solo 1-2 (i più robusti) per pianta. Da 20 mq si ottengono 16-20 kg di capolini.
Malattie e parassiti: contro la peronospora usate un preparato a base di aglio che combatte anche gli afidi, oppure rame; contro l’oidio avvaletevi di bicarbonato sciolto in acqua oppure dello zolfo; contro il marciume radicale e del colletto a volte l’unica soluzione è estirpare la pianta e disinfettare il terreno, ma si può tentare con un preparato a base di equiseto. Contro la nottua del carciofo, che nelle prime fasi del ciclo colturale può penetrare nella pianta giungendo attraverso gallerie fino a foglie e capolini, applicate il Bacillus thuringiensis o il piretro o eliminate la vegetazione colpita; contro le arvicole (topi campagnoli), ghiotte di radici, al momento purtroppo non ci sono particolari sistemi di difesa.
Varietà: la scelta si basa sulla forma dei capolini, sulla spinosità, sul colore delle brattee e sull’epoca di raccolta. Tra gli autunnali, il Catanese ha capolini cilindrici, di media pezzatura e brattee inermi, sfumate di viola su fondo verde; stesse caratteristiche per il Violetto di Sicilia, il Violetto di Brindisi e il Locale di Mola. Per produzioni primaverili il Romanesco è una varietà pregiata, con capolini sferici, grossi e di colore viola su fondo verde, e da brattee inermi; il Violetto di Toscana ha capolini ellittici, di media pezzatura e lievemente spinati. Tra le cultivar spinose, tutte autunnali, consigliabili sono lo Spinoso Sardo, lo Spinoso Ligure e il Violetto Spinoso di Palermo, con capolini compatti, di media pezzatura e di colore verde-violetto.
Consociazioni e rotazioni: limitatamente alle prime fasi di coltivazione, può essere consociato a spinaci, piselli, lattughe, porri, cipolla, cavoli e ravanelli. Nella rotazione la carciofaia segue con profitto diversi ortaggi (patata, pomodoro, carota ecc.).
Carciofo: raccoglierlo e conservarlo
La produzione spontanea è primaverile (fino a giugno per le varietà tardive) ma con tecniche opportune (e utilizzando piante rifiorenti) si può ottenere anche un raccolto nel periodo autunnale, da ottobre, anche se la carciofaia avrà una durata minore (2 o 3 anni). Le raccolte si effettuano tagliando i capolini con 20 cm di di gambo e con brattee ancora ben serrate, da settembre alla primavera.
Carciofo: perché fa bene
È un ortaggio virtuoso, ricco di proprietà, e ancora di più lo sono le sue foglie, che però si utilizzano solo in erboristeria.
Le preziose cinarina e cinoprina sono due principi attivi che, oltre a conferire il sapore delicatamente amarognolo, favoriscono la digestione (anche grazie all'acido malico), stimolano il fegato e la cistifellea, fluidificano la bile, depurano il sangue, abbassano il colesterolo. Ricco di mucillagini e di fibre insolubili (7,6%), l’ortaggio agisce delicatamente sull’intestino con un buon effetto lassativo; al tempo stesso, la presenza di tannini lo rende antidiarroico: in caso di bisogno, mangiate 2-3 carciofi crudi. Con le fibre solubili accelera il senso di sazietà nello stomaco, apportando pochissime calorie (22 per etto e, fra l’altro, non contiene zuccheri, tranne l’inulina, permessa ai diabetici). Infine, rinforza l’organismo grazie al contenuto di calcio, ferro e rame.
Tre sole le controindicazioni: in allattamento, perché dà il sapore amarognolo al latte; in caso di calcoli di acido urico, del quale favorisce la precipitazione; per i soggetti nefritici, perché sovraccarica i reni.
Come cucinare i carciofi
L’ortaggio è in realtà il fiore colto prima di sbocciare: si consumano le brattee carnose di colore verde o violetto, spinate o inermi (le cosiddette "foglie", che botanicamente sono proprio foglie modificate) che costituiscono l'involucro fiorale, e il ricettacolo (il "fondo"); la parte stopposa (“fieno” o “barba”) è costituita dai petali, che in seguito diverrebbero azzurro-violetti, in fase di formazione, a indicare che l'ortaggio è troppo maturo. I capolini vanno consumati subito dopo l'acquisto per evitare che le brattee diventino fibrose e che si sviluppi l’antipatico “fieno”.
È digeribilissimo a crudo tagliato a fettine sottilissime, in pinzimonio o in insalata, dove conserva anche le vitamine A (18 mcg) e C (12 mg), ma anche lessato è un vero toccasana: una volta cotto, fate attenzione a non lasciarlo in frigorifero oltre le 24 ore, perché al suo interno si sviluppa rapidamente un fungo tossico. Conditelo solo con un filo d'olio, e se non apprezzate il sapore amarognolo, consolatevi pensando che è proprio l’amara cinarina il principio attivo benefico (Ernesto Calindri aveva ragione nei suoi caroselli d'epoca!).
Dalla ligure torta Pasqualina fino al romano carciofo alla giudia, l’ortaggio ben si presta a molte preparazioni diverse: lessato, marinato, fritto, imbottito, cotto al forno o sulla griglia, in fricassea o stufato, sono centinaia le pietanze nazionali che si avvalgono del suo gusto, senza contare le conserve sott’olio, sott’aceto, in giardiniera, in salamoia o in crema o paté, per soddisfare anche i palati più raffinati.