Descrizione
Il fungo penetra nell’albero attraverso ferite preesistenti (da potatura, da gelo o da urto), ma anche per le aperture naturali (stomi, lenticelle) o mediante l’epidermide dei rametti. Il micelio (il corpo fungino) si sviluppa nei tessuti della corteccia provocandone la morte, mentre il fungo produce una sorta di piccole pustole nere, visibili all’esterno sulla corteccia, contenenti i conidi (organi riproduttivi). Questi vengono trasportati dall’acqua piovana, infettando altre regioni dello stesso albero o altri esemplari.
La malattia non riguarda solo il cipresso comune, C. sempervirens: attacca anche C. macrocarpa (la prima a esser stata colpita e ad aver diffuso il parassita nel mondo), C. arizonica, C. lusitanica ecc., e altre Cupressacee come Thuja orientalis, Cupressocyparis lejlandii e Juniperus communis. Circa l’80% degli esemplari di cipresso è ritenuto molto sensibile.
Quando compare e che danni fa
I periodi più favorevoli allo sviluppo del patogeno sono la primavera e l’autunno, quando è più facile trovare la coincidenza di 25 °C di temperatura e del 100% di umidità, l’optimum per il fungo. Viceversa, l’inverno, troppo freddo, e l’estate, troppo secca, portano a un blocco dell’infezione (così come stagioni intermedie non corrispondenti all’optimum), a cui però può seguire una notevole recrudescenza della malattia.
Le piante colpite emettono gocce di resina sulla corteccia più giovane e all’inserzione dei rametti sul tronco: incidendo superficialmente si nota un imbrunimento dei tessuti corticali malati, nettamente diversi da quelli sani adiacenti di colore biancastro. Poi compare una zona necrotica di colore marrone-rossiccio leggermente depressa che in seguito si allunga. L’albero cerca di isolare i tessuti malati, producendo nuovo tessuto sano che cozza contro la parte morta: ne scaturiscono deformazioni e fenditure dalle quali cola abbondante resina (infetta), a determinare l’escrescenza denominata “cancro”. Infine, quando i tessuti morti abbracciano tutto il diametro del tronco o del ramo, la porzione sovrastante si secca: la chioma ingiallisce, si arrossa e poi ingrigisce.
Prevenzione e cura
Sorvegliate i vostri cipressi quando si verificano una o più delle seguenti situazioni: l’inverno è stato molto rigido (causa di ferite da gelo) e la primavera è tiepida e umida (condizioni che incentivano il propagarsi delle spore del fungo); il decespugliatore colpisce in modo accidentale il tronco, ferendo la corteccia in profondità; la pianta presenta molti giovani rami, la cui ascella è una sede d’elezione in cui si deposita il fungo; l’albero è infestato da coleotteri scolitidi che scavano gallerie entro l’asse o all’ascella dei rametti, perché gli insetti possono veicolare il fungo, in quanto le femmine depongono le uova su rami già deboli, magari proprio per la presenza del cancro; molti uccelli si posano sull’albero: le zampe potrebbero essere contaminate dopo aver appoggiato su rami infetti, e le unghie possono provocare microferite; una grandinata di forte intensità ha colpito la zona: facilmente i chicchi più grossi e pesanti, al contatto violento con la corteccia, la lesionano, creando delle aperture nel legno; si è verificato un nubifragio preceduto o accompagnato da vento intenso, che trasporta i conidi nell’aria.
Potate le piante sane solo se è veramente necessario a eliminare rami pericolanti. È buona norma disinfettare la chioma con sali di rame ogni volta in cui si compiono ripuliture delle fronde (che possono comportare ferite accidentali).
I trattamenti chimici preventivi, in zone già bonificate, sono poco efficaci e vanno riservati a piante di elevato valore paesaggistico, per le quali prevedere tre trattamenti – due in primavera e uno in autunno – con prodotti a base di rame.
Gli esemplari in cui la malattia è allo stadio iniziale si possono potare: bisogna decorticare la zona infetta fino ai tessuti sani sui quali si procede al taglio di risanamento (30 cm al di sotto del punto di transizione fra le due zone). La ferita va protetta con mastici disinfettanti.
Se il cancro ha attaccato il tronco o una grossa branca ma non interessa più di un quarto della circonferenza è possibile asportarlo chirurgicamente: una volta delimitata l’area necrotica, la corteccia sana va incisa fino al legno intorno al cancro e va asportata. Poi si rimuove anche la porzione necrotizzata del legno e si ricopre la ferita con mastice. L’operazione, costosa e da effettuarsi a opera di personale specializzato, è giustificabile solo nel caso di alberi di elevato valore.
Le piante morte o gravemente malate vanno abbattute e distrutte per diminuire la carica infettiva nell’ambiente. Anche i residui (ramaglia, cortecce, segatura, ceppaia, radici) vanno rimossi e bruciati. Evitate la riproduzione di piante ammalate, estirpando eventuali nuovi nati da una pianta infetta.
Se desiderate di nuovo un cipresso, scegliete uno dei 4 cloni, denominati Bolgheri, Italico, Mediterraneo e Agrimed 1, selezionati e brevettati dal Cnr per la resistenza al cancro e prodotti in esclusiva dall’Azienda vivaistica regionale UmbraFlor. I primi tre sono caratterizzati da chioma stretta e appressata al tronco, mentre il quarto ha rami eretti con forma più globosa, ma non presentano differenze estetiche o botaniche rispetto agli altri cipressi diffusi in Italia.
Non ripiantate un nuovo cipresso nella stessa buca di quello morto per cancro: spostate la posizione della nuova pianta a distanza di qualche metro dalla vecchia buca.