È una delle prime metafore che si raccontano ai bambini piccoli per spiegare loro il miracolo della riproduzione: c’è un’ape che vola su un fiore per succhiare il nettare e si sporca di polline (il “seme” maschile), poi va su un altro fiore e così trasporta il polline sul pistillo (l’organo riproduttivo femminile) nel quale è racchiuso l’ovario con gli ovuli (i “semi” femminili) affinché si compia la fecondazione che porterà alla nascita del seme e, da esso, in determinate condizioni, della nuova pianta.
Per la stragrande maggioranza i fiori sono ermafroditi, cioè contengono al loro interno gli organi riproduttivi sia maschili sia femminili, anche se ciò non significa automaticamente che i rispettivi “semi” siano in grado di fecondarsi fra di loro: molte piante da frutto, per esempio, sono autosterili. Le piante dai fiori ermafroditi sono appunto definite ermafrodite, vale a dire maschio e femmina assieme. L’ermafroditismo è la situazione più evoluta: è evidente che non è stato semplice arrivare a racchiudere in una singola corolla due organi così diversi, ma è altrettanto evidente la funzionalità dell’operazione, visto che, almeno in teoria, un singolo fiore può già assicurare la perpetuazione della specie. D’altronde, alla specie umana una simile “fortuna” non è ancora capitata…
Il passo immediatamente precedente sulla scala evolutiva è rappresentato dai fiori solo maschili o solo femminili, portati però su una stessa pianta, che viene perciò definita monoica (dal greco, “una sola casa”). Si tratta di specie più antiche, come il larice, l’ontano, la betulla, le querce, il nocciolo e il noce, il fico, le cucurbitacee, il mais, che non hanno dovuto “spendere tempo ed energie” per unificare gli organi in una sola struttura: lasciandoli separati, quelli maschili possono produrre enormi quantità di polline e, portandoli sulla stessa pianta, i granuli pollinici hanno un buon margine di certezza di raggiungere gli ovuli.
Se invece i fiori tutti maschili o tutti femminili sono portati da due piante diverse, piante maschio e piante femmina, la riproduzione è tutt’altro che assicurata: non è detto che nelle vicinanze sia presente un esemplare di sesso opposto in modo da compiere la fecondazione. Quella delle piante dioiche (“due case”) è la condizione più svantaggiosa, infatti è appannaggio di poche piante, le più vetuste in assoluto, quasi “dinosauri viventi”: ginkgo biloba, tasso, cycas, ginepro, pioppi e salici, agrifoglio, alloro, pungitopo, canapa, luppolo, actinidia, papaya, pistacchi, spinacio, asparago e palma da datteri.
La dioicità è stata la prima forma di organizzazione riproduttiva a essere apparsa ed è stata poi sostituita, perché appunto problematica, dalla monoicità, fino ad arrivare, in tempi relativamente più recenti, all’ermafroditismo, la vera marcia in più per la sopravvivenza vegetale.