In novembre si completa uno dei grandi fenomeni naturali che segnano i passaggi di stagione: la caduta delle foglie da alberi e arbusti. Le caducifoglie si spogliano del tutto, non senza aver prodotto un grande spettacolo in termini di cromatismi. Rimangono invece ben salde al loro posto le foglie delle sempreverdi, sia latifoglie sia conifere: impavide, attendono impassibili l’arrivo delle intemperie invernali, tramontana e neve comprese, alle quali sopravvivranno sfoggiando un verde cupo che solo in primavera si allenterà, alternato al verde tenue delle nuove foglie in attiva crescita.
È evidente che la Natura deve averle dotate della capacità di resistere indenni alle calamità portate dal Generale Inverno.
Partiamo dalle sempreverdi latifoglie, cioè a foglie larghe e appiattite: fra gli esempi, leccio, agrifoglio, camelie, laurotino, lauroceraso, ligustri, pittosfori, bosso, osmanto, eleagni, evonimi ecc. Notiamo innanzitutto che il fenomeno fra gli alberi è circoscritto a specie tipiche dell’ambiente mediterraneo: è vero che i lecci resistono anche in Val Padana, ma sicuramente sono svantaggiati, in inverno, rispetto alle latifoglie. Non così gli arbusti: quasi tutti tollerano i geli alpini senza batter ciglio.
Merito della struttura particolare delle loro foglie, coriacee per abbondanti depositi di lignina, una sostanza che indurisce i tessuti permettendo loro di sopportare il vento e i fiocchi nevosi e proteggendo i delicati tessuti interni. Dure sì, ma non rigide: devono infatti potersi facilmente piegare per facilitare lo sgrondo della pioggia e lo scrollo dei cristalli di neve. Per maggior protezione, sono anche rivestite di cutina, una sostanza cerosa che consente all’acqua di scivolare via velocemente dalla lamina, isolando ancora di più l’interno.
Nelle conifere (pino, abete, peccio, cedri ecc.), tipiche di zone montuose molto fredde, l’evoluzione della foglia è ancora più spinta, tanto da condensare i tessuti al minimo spessore: la funzione fotosintetica è ugualmente assicurata, ma la superficie è talmente ridotta da non permettere nemmeno l’appoggio dei fiocchi.
Naturalmente anche la fisiologia dell’organismo vegetale collabora alla sopravvivenza del fogliame: i vasi linfatici sono maggiormente ispessiti per evitare che i liquidi interni si ghiaccino e questi ultimi hanno un punto di congelamento inferiore rispetto a una caducifoglia. Ciò significa che le sempreverdi sono in grado di effettuare una modesta fotosintesi clorofilliana anche in inverno, nelle giornate particolarmente miti e soleggiate, sempre che sia disponibile l’acqua nel terreno.
I vantaggi del mantenimento delle foglie sono evidenti: la pianta non perde tempo ed energie in primavera a rimettere tutto il fogliame, né spreca materiali e risorse perdendolo in autunno; è sempre pronta a produrre energia tramite la fotosintesi e rinnova le foglie solo a fine ciclo (dopo 3-6 anni secondo la specie).
Il rovescio della medaglia è rappresentato da rischio di rottura dei rami in inverno in caso di abbondanti nevicate, messo in conto dalla Natura, e dal pericolo di morte nell’evenienza di geli prolungati e intensi: la sopravvivenza della specie sarà comunque già stata garantita dalla disseminazione nell’autunno precedente.